RAGIONANDO SU CHIESA E GLOBALIZZAZIONE CON METHOL FERRÉ (2). Seconda parte di un excursus storico latinoamericano proposto dal filosofo uruguayano scomparso nel 2009

Globalizzazione 2017
Globalizzazione 2017

I movimenti mendicanti che sbarcano in America Latina sulle navi dei conquistatori e più ancora dopo, con l’arrivo dei Gesuiti nella seconda metà del 1500, sono in qualche modo il punto visibile della coscienza globalizzante della Chiesa. E’ una coscienza che lei riscontra nella Chiesa agli inizi della scoperta e della conquista?

Piuttosto nel XVI secolo. La Chiesa latinoamericana è la prima grande Chiesa figlia della missione “ad gentes” della cristianità europea, effettivamente divenuta mondiale.

Lo storico Helio Jaguaribe parla di tre ondate globalizzatrici: la prima, nel XV secolo, come risultato delle scoperte (rivoluzione mercantile, modificazione delle forme di produzione del medio evo); la seconda, con la rivoluzione industriale e la trasformazione del modo di produrre, reso possibile dalla elettrificazione; la terza ondata spinta dalle scoperte scientifiche e dalle innovazioni tecnologiche della prima metà del XX secolo.

Propendo per considerare la rivoluzione scientifica moderna una tappa della rivoluzione industriale. Quest’ultima, infatti, non è altro che un’accelerazione progressiva e vertiginosa della globalizzazione. Il vapore, il treno su rotaie, il telegrafo, imprimono velocità alla capacità umana di incontro, superando le distanze di schianto.

Due grandi ondate globalizzatrici perciò.

Il processo di globalizzazione contemporaneo – lo abbiamo visto – inizia con l’incontro luso-castigliano con la terra d’America nel cammino verso l’estremo oriente asiatico. In quel momento comincia anche il rapporto centro-periferia dell’Europa con il resto del mondo.

L’America Latina veniva ad essere la periferia transatlantica più immediata del vecchio continente, una sorta di hinterland che si strutturava attorno ai due vicereami indiani del Messico (con base nell’ecumene Azteca, in America Centrale e nelle Antille), del Perù (con capitale Lima, nell’ecumene Incas, estesa alla maggior parte dell’America del sud), e del governatorato del Brasile portoghese. Tale incontro ha significato per l’America il momento d’inizio di una relazione mercantilista con l’Europa, di cui l’Europa manteneva il monopolio.

Alla fine del secolo XVIII le tredici colonie inglesi ottengono l’indipendenza dall’Inghilterra, appoggiate dalla Francia e dalla Spagna. Si uniscono, formano uno stato federato, con un mercato comune interno e una sola politica tariffaria. A fronte della rivoluzione industriale inglese esse lanciano una politica protezionista che agevola il decollo industriale e l’espansione continentale verso il Pacifico. Con l’America Latina è successo l’opposto. Le guerre d’indipendenza e il fallimento del Congresso di Panama disgregano il continente in molti stati separati e isolati tra loro. Un risultato ben lontano da quello perseguito da Bolivar, che voleva unificare l’America Latina in una “Nazione di repubbliche”.

E’ così che la Gran Bretagna, culla dell’industrializzazione, instaura l’era liberale del commercio mondiale con una serie di trattati commerciali stipulati con i singoli stati, a partire dal Brasile nel 1810. Si può dire che inizi in questo momento anche la storia del debito estero latinoamericano, che continua a schiacciare il continente fino ai nostri giorni. L’indipendenza, insomma, inaugura una frammentazione dipendente dall’Inghilterra, il secondo potere globale, successore dell’Impero spagnolo nato dall’unione di Castiglia e Portogallo.

Un latinoamericano, Juan Bautista Alberdi, è il primo a formulare la visione centro-periferia. In un saggio del 1870 parla degli stati continentali. Molto acutamente sostiene che l’evoluzione logica del mondo tende alla formazione di stati-continente come parte di un unico popolo-mondo del futuro, prefigurando così il superamento degli stati-nazione.

In base a ciò che è venuto dicendo la Chiesa latinoamericana di oggi dovrebbe guardare con simpatia alla globalizzazione.

La Chiesa è intrinsecamente globalizzatrice; la sua vocazione cattolica è globale, tende alla totalità; il Regno di Dio è la globalizzazione simultanea di tutta l’umanità di tutte le epoche.

In questa visione la globalizzazione è un movimento intimo della storia.

I «cieli nuovi e la nuova terra» sono l’apoteosi della simultaneità di tutto con tutto.

A cosa è dovuta, allora, una certa sospettosità della Chiesa verso la globalizzazione?

A quello che segnalavo in precedenza: la globalizzazione si perfeziona dopo la caduta dell’URSS e la riunificazione del mondo in un solo polo. In quello stesso anno si redige il cosiddetto “Consenso di Washington”, che segna l’apogeo neo-liberale del globo. Il liberalismo vittorioso dilaga in tutto il mondo, ostentando per di più una certa arrogante sicurezza. Il neoliberalismo si veicola con la globalizzazione, si mescola ad essa, gli dà il tono.

In realtà chi guarda con avversione la globalizzazione guarda con avversione il neoliberalismo. I gruppi antiglobal che si riuniscono assiduamente a Porto Alegre – presenti molti cattolici – identificano globalizzazione con neoliberalismo. Però le due cose non coincidono affatto.

C’è qualcuno, nell’ambito del pensiero cattolico contemporaneo, che ha colto meglio e più a fondo il processo di globalizzazione in atto e le sue conseguenze?

Giovanni Paolo II. Il papato in quanto tale, per missione e per definizione, è il punto di coscienza dell’insieme. Quello da poco concluso lo è stato in modo particolare. Giovanni Paolo II ha pensato la totalità, è intervenuto sull’insieme, è stato un pontefice marcatamente ecumenico, globalizzatore. Un nesso con il Papa, in questo senso, dovrebbe rivestire un valore di particolare significato per un intellettuale cattolico. E’ guardando all’insieme che si vede meglio anche il particolare. Il tutto nel frammento, per parafrasare il titolo di una celebre opera di von Balthasar.

Ci sono stati anni in cui il rapporto con il centro della cattolicità non era molto popolare tra gli intellettuali latinoamericani.

La base cattolica latinoamericana è sempre stata “romana”. Non si è sviluppato un “complesso antiromano” in America Latina. Il cattolicesimo di questi paesi è stato ed è apostolico e romano.

Oggi, essere “romano” è una cosa comunque più rispettabile che in passato, qualcosa di “intelligente”.

Non c’è nazione senza “città capitale”, cioè senza caput unificatore. Nella capitale la molteplicità di una società si sintetizza; la “capitale” è riunificatrice incessante dell’insieme disperso. Per il papato romano vale la stessa legge: è il ri-globalizzatore incessante della convergenza di tutte le Chiese cattoliche nel mondo. Tutte comunicano con Roma, e Roma comunica con esse restituendo loro una nuova sintesi. (Seconda parte)

Prima parte:

RAGIONANDO SU CHIESA E GLOBALIZZAZIONE CON METHOL FERRÉ (1). Prima parte di un excursus storico latinoamericano proposto dal filosofo uruguayano scomparso nel 2009

Da: Alberto Methol Ferré-Alver Metalli, El Papa y el Filosofo, Biblos, Buenos Aires 2013. Edición anterior: América Latina del siglo XXI, Edhasa, Buenos Aires 2006.

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