FARC. E DOPO LA GUERRA COSA? Negli accampamenti, tra guerriglieri che si interrogano sul loro futuro a pochi giorni dalla firma degli accordi

Conto alla rovescia nel Frente Farc 36. Foto AP
Conto alla rovescia nel Frente Farc 36. Foto AP

Ora che l’Accordo Finale è stato sancito e manca “solo” il referendum del 2 ottobre (gli ultimi sondaggi vedono i SI in vantaggio, con i NO in leggera rimonta), i guerriglieri delle Farc continuano a interrogarsi sul loro futuro. Che fare, dopo la guerra?

Il giornale colombiano El Tiempo è andato a vedere cosa dicono i guerriglieri nel campo misto Isaias Pardo, a 160 chilometri da San Vicente del Caguán (nel centro-sud della Colombia). Li, sono già 23 i mesi trascorsi senza sentire il rumore delle pallottole e delle bombe. E i guerriglieri -confessano- sperano di non doverli sentire mai più.

Le loro uniformi, scrive El Tiempo sono pulite. L’atmosfera è tranquilla, libera dalla preoccupazione per le incursioni dell’esercito. I guerriglieri si svegliano alle 5 del mattino, fanno esercizio e preparano la colazione. Poi, fanno una cosa nuova, che prima d’oggi non aveva senso realizzare: riunioni in cui si spiegano i dettagli degli accordi e i passi che seguiranno. Il tutto per chiarire dubbi e “imparare” senza ambiguità cosa prevedono le duecento pagine e passa sottoscritte a l’Avana dopo quattro anni di negoziati. Una vera e propria “scuola della pace” insomma.

Ma c’è soprattutto una cosa che preoccupa gli oramai ex-combattenti: il loro futuro.

Alcuni dicono -forse sperano- che l’organizzazione non si scioglierà, perché è da anni che sono lì, in quella che è diventata la loro famiglia e l’unico tipo di vita che conoscono. Altri manifestano che sarà difficile tornare alla loro famiglia biologica. “Non posso comparire da un giorno all’altro, dopo 22 anni che non sanno niente di me. Bisogna farlo poco per volta”, racconta uno di loro, chiamato col nome di fantasia di Omar. Anche se non sa nemmeno se troverà ancora qualcuno. Per proteggerli, dice, ha preferito sparire. Il suo rimpianto più grande: gli amici morti nel conflitto. “Quanti morti ci saremmo risparmiati se la pace si fosse firmata 10, 20 o 30 anni fa?”, si chiede.

Ce ne sono alcuni -i più giovani- entrati nelle Farc non molto tempo fa. Come Raúl, arrivato da un anno, appena in tempo per la pace. Uno di loro si chiama Antonio ed anche se ha 22 anni ha già una lunga militanza alle spalle. Si è unito alle FARC dieci anni fa, quando ne aveva appena 12. “Ciò che ho glielo devo alle Farc, qui ho imparato tutto quello che so. Sono entrato per via delle mie condizioni di vita, dovevo lavorare e non potevo studiare”. Secondo lui, il futuro per il gruppo è che tutti continuino come parte dell’organizzazione nella politica.

Tutti, giovani e vecchi, reclute e veterani, sono accomunati dalla stessa incertezza del domani: cosa faranno per guadagnarsi da vivere, cosa impareranno per la vita di tutti i giorni, o più in generale come sarà la re-incorporazione alla vita politica, economica e sociale dei guerriglieri.

Una inquietudine che è anche di Nancy, una ragazza di 26 anni che non ha nemmeno finito le elementari, perché quando entrò alle Farc, all’età di 12 anni, aveva già smesso di andare a scuola. Una cosa però l’ha imparata: “Come uomini e donne abbiamo gli stessi diritti, non possono esistere differenze”. Il contenuto dell’Accordo Finale Nancy non l’ha capito subito “perché c’erano termini difficili”. Però anche per lei, la risposta sul futuro è la stessa dei suoi compagni: continuare in politica, mantenere unita l’organizzazione, lasciare le armi per sempre.

 

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