La storia sembra ripetersi. Gli accordi si avvicinano e la violenza politica si inasprisce. Una strategia per indebolire le fila di chi potrebbe scendere in campo in future elezioni in formazioni politiche dove potrebbero confluire taluni dirigenti della guerriglia una volta deposte le armi. Dall’inizio dell’anno ben 12 esponenti di associazioni per i diritti umani e dirigenti sociali sono stati assassinati in Colombia. La serietà della minaccia l’ha riconosciuta il Ministro degli Interni del governo di Manuel Santos, Juan Fernando Cristo, che ha convocato associazioni di difesa dei diritti umani e raggruppamenti politici come Marcha Patriótica, Unión Patriótica, Cumbre Agraria per formare un équipe di lavoro che suggerisca al potere esecutivo i provvedimenti da prendere per contro arrestare gli omicidi mirati.
E mentre a Cuba le delegazioni del governo e della guerriglia mettono a punto il testo definitivo degli Accordi di pace, in Colombia si guarda con preoccupazione all’escalation di assassini politici che hanno come bersagli esponenti di sinistra, leader sindacali e contadini che fanno parte di movimenti destinati ad assumere protagonismo una volta iniziato il disarmo e la partecipazione delle FARC alla vita politica nazionale.
La situazione ricorda gli anni della sistematica eliminazione di esponenti dell’Unione Patriottica quando ci fu un primo tentativo di accordo nel 1985. Nelle elezioni del 1986 la Unión Patriótica ottenne un importante risultato elettorale che le permise di eleggere un gruppo parlamentare, decine di deputati regionali, sindaci e diverse centinaia di consiglieri comunali. Un risultato che costò caro: più di cinquemila tra dirigenti e militanti furono assassinati, tra cui due candidati alla presidenza, parlamentari, sindaci e consiglieri.

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