Evo Morales è in partenza per Roma dove avrà un colloquio a tu per tu con il Papa. “Hablamos a solas”, parleremo da soli, ha tenuto a dire dopo aver precisato “di essere stato invitato”. Poi, il 16 aprile, disserterà su “Le nuove proposte che provengono dall’America Latina” nel quadro dei 25 anni dalla pubblicazione della “Centesimus Annus” di Giovanni Paolo II celebrati dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali diretta dall’argentino Marcelo Sanchez Sorondo. L’organizzazione del viaggio, o “l’invito” come preferisce chiamarlo l’ex leader dei cocaleros, precede dunque le tensioni di questi ultimi giorni con i vescovi del suo paese che in una lettera pastorale collettiva hanno denunciato la penetrazione delle mafie del traffico di cocaina nelle “alte strutture” dello stato boliviano, puntando anche il dito contro la corruzione “che ha minato la credibilità delle autorità preposte alla lotta contro il narcotraffico”. Accuse pesanti, come si vede, che evidenzierebbero che anche in un paese come la Bolivia, da sempre produttore di cocaina, il narcotraffico avrebbe fatto un salto di scala. Anche per questo il significato del viaggio del pluripresidente al Santa Marta non potrà più essere quello originale.
Morales cercherà nel Papa argentino una sponda alle proprie posizioni o almeno tenderà a vendere così il blitz romano ai propri concittadini. E lancia avvertimenti ai “padri gerarchi della Chiesa” – come li chiama lui –ingiungendo loro di fare nomi e cognomi dei soggetti incistati nel suo governo che sarebbero legati al narcotraffico. Con tanto di minacce nient’affatto velate: non farlo, per Morales, equivarrebbe ad “attaccare il movimento indigeno come già avveniva nel passato”. Ampliando le sue accuse Morales si è detto “dispiaciuto che un gruppo di vescovi” del suo paese abbia “una mentalità coloniale”, incursionando persino nella storia per sostenere la sua filippica: “Pensano che l’impero romano continua ai nostri giorni, che loro hanno l’ultima parola”.
Reduce da una sonora sconfitta nel referendum per spianare la strada alla propria rielezione per un terzo mandato consecutivo in nome del popolo, Morales lascerà la presidenza nel 2018. In che mani è ancora tutto da vedere. I vescovi nella lettera pastorale “Sobre narcotrafico y drogadicción” evidenziano come “l’economia del nostro paese si nutra, in parte, delle risorse provenienti dal narcotraffico, che la distorce (…) Questo falsifica le condizioni economiche del mercato produttivo. Una vera lotta contro questo male deve attaccarlo anche nei suoi movimenti finanziari”.
La sfida di Morales a fare nomi non è rimasta senza risposta. Gli interessati rimandano alle fonti citate nella lettera pastorale: il Rapporto Annuale della Junta Internacional de Fiscalización de Estupefacientes (JIFE), l’annuale Monitoraggio e Coltivazione della Coca 2014 (Uondc 2015), il Rapporto sulla Lotta contro il Narcotraffico, e i Rapporti del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD). Citati anche casi di ex comandanti della Polizia arrestati per i loro rapporti con il traffico di cocaina e riciclaggio di denaro, e istituzioni come la Società petrolifera statale YPFB, “infiltrata da funzionari e contrattisti legati al narcotraffico”.
Una risposta all’ultimatum del presidente Evo Morales ci sarà giovedì 7 aprile, quando gli accusati, ossia l’intero episcopato boliviano, si riuniranno in Assemblea plenaria nella città di Cochabamba. Il portavoce Edwin Bazán ha anticipato che in quell’occasione decideranno “sulla pertinenza o meno di rispondere al governo”.

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