La storia di John Jairo “Popeye” Velásquez è stata raccolta e pubblicata dalla rivista colombiana Semana. Popeye, questo il soprannome con cui veniva chiamato dai suoi, è stato arrestato nel 1990. Lavorava per Pablo Escobar, leader del cartello di Medellin abbattuto nel dicembre 1993. Velázquez, alias Popeye, ha ucciso personalmente 300 persone e ha collaborato con l’eliminazione di circa 3000. I numeri se li attribuisce da solo con uno sprezzo per la vita che fa accapponare la pelle di chi lo ascolta parlare in registrazione video. E’ l’unico sicario ancora in vita di quelli al soldo di Escobar, caduti uno dopo l’altro sotto il fuoco della polizia colombiana o altri sicari concorrenti. Popeye ha scontato sino ad ora 23 anni di carcere. Ne deve fare altre sette. Le sue dichiarazioni a Semana, e la registrazione che le filma, mostrano un personaggio tranquillo, distaccato. Che enuncia i misfatti come se nulla fosse. Anche la soppressione di persone care che ha eseguito senza fiatare. E’ il caso, per esempio, della fidanzata e il suo migliore amico che ha assassinato su ordine di Escobar.
“Lei si chiamava Wendy Chavarriaga. Una donna molto bella. Era stata fidanzata del patrón (Escobar, NdA.) ma è rimasta incinta e per lui la famiglia era sacra. Un figlio fuori dal matrimonio era impensabile. La face abortire con la forza e da quel momento lei decise di vendicarsi. Io l’avevo già conosciuta, ma poi ci incontrammo di nuovo in una discoteca, abbiamo cominciato a uscire assieme e ci siamo innamorati. Il patrón andava informato di tutto e gli parlai: gli chiesi il permesso di fidanzarmi con lei, me lo dette, ma mi disse di stare attento”, ha raccontato Popeye alla rivista colombiana.
“Lei, nella sua ossessione di vendicarsi del patrón per averle fatto perdere il bambino diventò informante di un gruppo di ricerca. E il patrón, che aveva il suo servizio di intelligenza da tutte le parti, registrò una conversazione dove lei stava parlando con un tipo che aveva contatti con la DEA (Sezione antinarcotici, NdA). Il patrón mi ha chiamato, mi ha fatto sentire la registrazione e mi ha dato l’ordine. “Popeye, vaya y matela”. Gli ordini non si discutevano e così è toccato a me. Lei non sa cos’è uccidere una persona che uno adora”.
Popeye ha assassinato anche il suo migliore amico. “Ho ammanettato Quici e l’ho portato nel sottoscala. Era un vero uomo, muy varon, e l’unica cosa che mi ha detto era se potevo leggergli alcuni salmi della Bibbia prima di sparare. Ho rimediato una Bibbia e gli ho letto tutto quello che voleva gli leggessi. Poi gli ho sparato”.
Popeye era devoto a Escobar. Un genio per lui, “forse del male” precisa con un accenno di incertezza, “ma comunque un genio”. Uno che bisognava seguire. Il giorno più triste della sua vita è quando lo hanno ucciso, nel 1993. Per lui Pablo Escobar non era un assassino. “Credo che non abbia ucciso più di 20 persone in tutta la sua vita. Prima di tutto era un leader, un organizzatore di banditi e un grande sequestratore”.
Per il sicario le morti erano più che giustificate. Il prezzo della lotta. “Sentivo di essere in guerra, una guerra giusta contro l’estradizione”. Di qui quella che chiama “la specialità” del cartello di Medellín, l’assassinio di poliziotti. Ognuno con il suo prezzo sulla testa. 2 milioni per un poliziotto, tre per un sergente, dieci per un tenente, 30 per un maggiore, 50 per un colonnello e 100 per un generale. Ne ho uccisi direttamente 25 all’incirca” aggiunge. “Ma dirigevo quasi tutte le operazioni e credo che in totale ne abbiamo uccisi 540” precisa subito dopo.