Ingrid Betancourt, la più celebre sequestrata colombiana, vive lontano, a Oxford, ma segue da vicino le vicende del suo paese impegnato nei negoziati di pace con la guerriglia che la tenne sequestrata dal febbraio 2002 al luglio del 2008. “Tutte le mattine partecipo anch’io al processo di riconciliazione con le FARC e immagino tutti i miei compagni di prigionia fare lo stesso” ha dichiarato in una lunga intervista al settimanale cileno Somos. “Portiamo addosso come le lumache quella selva che è vissuta con noi tanti anni… e se è questo che possiamo dare come esempio ai nostri figli valeva la pena aver vissuto” tutto quel dolore.
Ancora non se la sente di tornare in Colombia e vive con la famiglia e i figli in Inghilterra, dove studia teologia. Ci sono cose che l’amareggiano per come l’hanno trattata nel suo paese dopo la liberazione, ma il suo giudizio sul presidente Manuel Santos è positivo: “È sintonizzato col paese e lo sta conducendo ad accettare un negoziato di pace con molta maturità, portando al tavolo temi cruciali, problemi ereditati dall’ Indipendenza, la proprietà della terra, gli sfollati…”.
È convinta che anche le FARC siano cambiate e che i negoziati le cambieranno ancora di più. «La guerriglia è stata tradizionalmente chiusa, con una visione del mondo molto stalinista: “noi abbiamo la verità e chi non sta con noi è un nemico”. Credo che le FARC hanno trasformato una sconfitta militare in una vittoria politica, nel senso che hanno saputo rivalutare la loro posizione e stabilire ponti di dialogo con i colombiani. Per la prima volta ci sono comandanti che cercano di convincerci di qualcosa portando argomenti e non con le armi o la violenza. La Colombia sta vivendo un momento straordinario”. “L’opportunità della nostra generazione” la chiama, che se venisse persa potrebbe significare altri 100 anni di guerra. “Per molto tempo le FARC non sono state altro che un cartello della droga. Ma quello che stiamo scoprendo è che sono molto più di questo”.
Conosce bene le discussioni che lacerano la società colombiana, se i guerriglieri, ad esempio, vadano processati prima di consentire loro di accedere alla vita politica. Ingrid Betancourt non condivide questa posizione: “Dar loro un trattamento legale che gli impedisca di fare politica vorrebbe dire misconoscere quello che tutti abbiamo fatto. Anche noi siamo colpevoli di non aver dato altra opportunità a molti colombiani condannandoli ad essere violenti. Che le FARC comincino a fare politica è molto importante perché non abbiamo altro da offrire loro. Non possiamo offrirgli soldi perché ne hanno a iosa. Non possiamo offrirgli armi perché hanno avuto tutte le armi che volevano, non possiamo dargli influenza territoriale perché hanno avuto la metà del paese. Occorre aprirgli le porte della politica, perché ci convincano o siano sconfitte nelle urne, e offrirgli una giustizia il cui scopo siano la riconciliazione e la pace”. Una giustizia, aggiunge, che non significhi cancellare il passato come se niente fosse successo. “Bisogna che le vittime abbiano un risarcimento morale, dirgli quello che è successo, che la società è con loro e che non ignoriamo il loro dolore. Ma allo stesso modo noi che siamo stati vittime della violenza, noi tutti colombiani, dobbiamo assumere la nostra responsabilità perché siamo stati vettori a nostra volta di ingiustizia e di violenza. Abbiamo bisogno di una giustizia costruttiva, no di vendetta”. La costituente, una delle proposte messa dalle FARC sul tavolo dei negoziati che sono ripresi a l’Avana proprio oggi, è un altro tema che divide i colombiani. Ingrid Betancourt spezza una lancia a favore. “Perché no ad una costituente se ne abbiamo già fatta una nel 1991 per un processo di pace molto importante con l’M-19? Se possiamo ottenere la pace dopo 100 anni di guerra e il prezzo da pagare è una costituente, credo che siamo benedetti”.

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