I MESSICOAMERICANI. Sono 30 milioni negli Stati Uniti. Ci si aspetta che i loro discendenti si integrino o si “assimilino” come i migranti europei. Ma è possibile? Ed è un bene che lo sia?

Prima minoranza
Prima minoranza

I sociologi, i creatori delle politiche pubbliche e il pubblico in generale stanno cercando di capire in che modo i migranti e i loro discendenti entreranno a far parte della società statunitense, e per questo paragonano le loro esperienze con quelle degli immigrati europei nei termini del loro processo di integrazione avvenuto un secolo fa o ancora prima. I messicani – che rappresentano il gruppo di popolazione più esteso e ampio di migranti verso gli Stati Uniti – non sono l’eccezione, ci si aspetta che i loro discendenti si integrino o si “assimilino” come i migranti europei dei secoli scorsi. L’esperienza europeo-americana di incorporazione è descritta abitualmente utilizzando come concetto di riferimento la “assimilazione”, dove gli immigrati o eventualmente i loro discendenti si trasformano in parte indistinta della società dominante. Le esperienze degli europei – nella loro maggioranza poco qualificati nel secolo XIX e all’inizio del secolo XX – si adeguano effettivamente al modello di assimilazione accettato. D’altro canto, un numero sempre più grande di sociologi osserva che ciò non costituisce sempre un beneficio per i migranti della seconda metà del secolo XX, che non sono omogenei e trovano circostanze e condizioni distinte quando arrivano negli Stati Uniti. I migranti di oggi provengono nella loro gran maggioranza dall’America Latina e dall’Asia, dispongono di capacità eterogenee e di percorsi educativi diversi, e molti si inseriscono in mercati del lavoro che offrono minori opportunità che anteriormente. In altre parole, l’esperienza dei migranti attuali nella società statunitense è più variata e incerta di quella che i modelli anteriori potevano permettersi.

Per complicare ulteriormente questa problematica, alcuni esperti come il politologo Samuel Huntington hanno fatto osservare che alcuni dei nuovi migranti non possono assimilarsi alla cultura nordamericana, e che costituiscono una minaccia per l’unità nazionale statunitense. Donald Trump ha presentato argomenti di questo tipo riferendosi al carattere morale deficitario dei migranti messicani. Affermazioni simili riguardo al processo di assimilazione spesso implicano preoccupazioni culturali, economiche e politiche nei confronti dei nuovi migranti, che d’altra parte sono simili a quelle prese in considerazione durante i cicli di immigrazione precedenti. In ogni caso, è importante realizzare un esame attento dell’evidenza per disegnare politiche adeguate di immigrazione e di incorporazione dei migranti.

Per esaminare il livello e la complessità del processo di incorporazione contemporaneo i messico-americani, con la loro storia, le loro proporzioni (dimensione della popolazione) e la loro diversità, costituiscono un gruppo unico e importante. Le loro molteplici generazioni, la varietà dei loro precedenti di classe, i tipi di città e le comunità in cui sono cresciuti, così come i tratti della loro razza, rivelano molto rispetto ai vari standard di incorporazione dei migranti nella società statunitense attuale. Diversamente dallo studio della maggioranza degli altri gruppi non europei, lo studio dei messico-americani permette agli analisti di prendere in esame i risultati sociologici in adulti di terza o quarta generazione a partire dall’immigrazione.

Secondo i dati dell’ufficio del Censimento del Governo degli Stati Uniti, più di 30 milioni di persone di origine messicana vivono attualmente in questo paese, e 13 milioni di loro sono migranti. I messicani costituiscono il gruppo di maggioranza di migranti negli Stati Uniti (28%) di modo che quello che accada a loro e ai loro discendenti riflette in buona misura quello che succede ai nostri giorni con il resto dei migranti.

D’altra parte, i messicani hanno “continuato ad arrivare in America” durante più di 150 anni (molto prima che lo facessero i nordamericani), e perciò ci sono varie generazioni di messico-americani nati negli Stati Uniti che si possono studiare. Ironicamente, gli analisti hanno ignorato il fatto che la immigrazione messicana è parte del vecchio o classico periodo dell’immigrazione —vista innanzitutto come immigrazione europea— così come della nuova immigrazione. Ciascuna di queste generazioni, sempre più staccata dall’esperienza di immigrazione di prima generazione, ci permette di capire l’incorporazione.

Innanzitutto, dobbiamo cominciare con i circa 100 mila messicani che si trasformarono in nordamericani in modo istantaneo a seguito dell’annessione di quasi la metà del territorio che in altri tempi appartenne al Messico. Durante tutto il secolo XIX i messicani si distribuivano in tutte le classi sociali, anche tra i latifondisti, ma verso la fine del secolo sono stati omogeneizzati e “catalogati secondo la razza”, confinati quasi al fondo della struttura lavorativa e segregati in quartieri urbani. I messicani, indipendentemente dal loro livello sociale anteriore, erano percepiti come un impedimento per il progresso e lo sviluppo delle nuove comunità. Nel secolo XX l’immigrazione proveniente dal Messico è stata continua con un primo picco che si è verificato dal 1910 al 1930, e un secondo all’inizio degli anni Ottanta e che è continuato sino ai primi anni del secolo XXI.

Il tema della razza è stato anche importante per l’esperienza messico-americana nel corso della storia. Gli Stati Uniti hanno basato la loro conquista del territorio che in precedenza era messicano (l’attuale sudovest degli Stati Uniti) sulle idee del destino evidente e dell’inferiorità razziale degli abitanti meticci di quella zona. Nel trascorso del secolo XIX e all’inizio del XX il ragionamento basato sulla razza si usò spesso per segregare e limitare i movimenti dei messico-americani. Per esempio, il sistema Jim Crow di segregazione razziale dell’inizio del secolo XX si estese all’est e al centro del Texas, comprendendo San Antonio, che si trovava sul confine sud degli Stati Uniti. I messicani non furono trattati necessariamente come gli afroamericani, ma piuttosto sperimentarono una “essere catalogati per la razza” normalmente di intensità media e diseguale, che spesso dipendeva soprattutto dal periodo e dal luogo.

Prima del Movimento Chicano per i diritti civili, i leader messico-americani sottolinearono strategicamente le loro radici spagnole e cercarono uno status di bianchi per il gruppo per diminuire la loro discriminazione razziale. Questi leader associarono la condizione di bianchi all’obiettivo di ottenere l’assimilazione alla classe media, dato che avevano visto che questo era stato possibile per gruppi come gli europei del centro o del sud, che non erano totalmente bianchi. Ciò nonostante, i messico-americani non si posizionarono con successo sul “binario bianco”. La segregazione allo stile Jim Crow continuò fino agli anni Sessanta, quando nacque il Movimento Chicano tra i giovani messico-americani in risposta alla discriminazione a livello educativo e in altri spazi. Il movimento si oppose alla discriminazione razziale e all’esclusione e utilizzò simboli della colonizzazione storica per ravvivare l’orgoglio etnico e razziale.

Solo pochi messico-americani possono reperire le tracce dei loro predecessori nel sud-ovest degli Stati Uniti prima dell’anno 1848, quando questa zona formava parte del Messico, ma questa esperienza diede un sostegno alla popolazione nel suo insieme. La storia della colonizzazione e la posteriore immigrazione, la persistenza della stigmatizzazione razziale da parte della società statunitense, e le caratteristiche demografiche dell’immigrazione e dell’insediarsi dei messicani in territorio nordamericano fanno sì che il caso messico-americano sia unico nel suo genere.

Nel 1993 abbiamo incontrato varie casse polverose che contenevano i questionari per un sondaggio rappresentativo di messico-americani a Los Angeles e San Antonio nel 1965, nota come il Mexican American Study Project (MASP). Pensavamo che un nuovo sondaggio di follow-up delle persone che li avevano compilati e dei loro figli avrebbe offerto una comprensione poco frequente, ma molto necessaria, delle esperienze di incorporazione intergenerazionale della popolazione messico-americana. Per tal motivo, abbiamo iniziato un sondaggio di follow-up a 35 anni dal sondaggio originale del progetto MASP, che si convertì in MASP Wave I. Abbiamo sottoposto il questionario con successo a 684 intervistati sopravvissuti e a 758 dei loro figli intorno all’anno 2000. Il nostro studio completo è stato pubblicato nel 2008 con il titolo Generations of Exclusion: Mexican Americans, Assimilation and Race.

Gli intervistati originali sono stati divisi in parti uguali in tre generazioni: immigrati (prima generazione), figli di immigrati (seconda) e nipoti di immigrati (terza). Utilizzando le risposte dell’anno 2000 abbiamo esaminato il cambiamento in queste quattro generazioni rispetto all’educazione, lo status socioeconomico, l’idioma, il matrimonio misto, la segregazione residenziale, l’identità e la partecipazione politica.

Abbiamo potuto osservare che i messico-americani hanno sperimentato un modello diverso di incorporazione alla fine del secolo XX. Questo ha incluso l’assimilazione rapida in alcune dimensioni, un’assimilazione più lenta o perfino la persistenza etnica in altre; così come uno svantaggio socioeconomico persistente lungo le generazioni.

In termini di parlare l’inglese e sviluppare identità statunitensi forti, questi messico-americani generalmente presentano un’assimilazione rapida e completa nella seconda generazione. Per il resto, mostrano livelli di assimilazione più lenti per quanto riguarda la religione, i matrimoni misti e l’integrazione residenziale, e ci sono comportamenti che possono indicare una persistenza etnica sostanziale. Per esempio, il 36% della quarta generazione continua a parlare correntemente lo spagnolo (anche se solo l’11% sa leggere lo spagnolo), e il 55% sente che la loro origine etnica è molto importante (anche se spesso sentono che “essere statunitense” è qualcosa di molto importante per loro). La scioltezza con cui parlano lo spagnolo evidentemente si deteriora ad ogni generazione, anche se con lentezza.

I risultati a livello educativo e lo status socioeconomico mostrano un’assimilazione minore. La scolarità migliora rapidamente nella seconda generazione in comparazione alla prima, ma si riscontra un gap a livello educativo significativo paragonato con i bianchi non ispanici che perdura fino alla terza generazione e continua fino alla quarta e alla quinta generazione tra i messico-americani. (Questo risultato contrasta con quanto è successo agli immigrati europei del secolo anteriore, che hanno sperimentato un’assimilazione educativa completa nella terza generazione.) Pur avendo visto che le condizioni dei messico-americani sono migliorate nell’anno 2000 se le paragoniamo con quelle che hanno vissuto i loro genitori intorno all’anno 1965, il divario a livello educativo e lo status socioeconomico rispetto ai bianchi non ispanici persiste indipendentemente dalla quantità di generazioni che hanno vissuto negli Stati Uniti. Il Censimento degli Stati Uniti del 2000 ha mostrato che tra i messico-americani di età compresa tra i 35 e i 54 anni, solo il 74% aveva terminato le scuole elementari, rispetto al 90% dei Bianchi non ispanici, l’84% dei negri e il 95% degli asiatici.

Le nostre conclusioni sono in consonanza con quelle di altri studi che utilizzano diverse fonti e basi di dati, includendo la nostra analisi di un sondaggio nazionale di adulti giovani (National Educational Longitudinal Surveys, 1988) che abbiamo pubblicato nel 2017. La nostra scoperta più notevole è che la seconda e la terza generazione di messico-americani e di afroamericani stanno studiando in una proporzione maggiore che i bianchi. Abbiamo mostrato che pochi tra gli intervistati si trovano nella categoria di inattivi, che vuol dire che non hanno finito l’università, non frequentano la scuola e non lavorano a tempo pieno. Il gruppo con migliori risultati è quello dei bianchi, dato che più di un terzo ha ottenuto un titolo universitario, contro il 15% della terza generazione e il 14% della seconda generazione dei messico-americani (gli afroamericani si posizionano alla metà della tabella, tra i bianchi e i messico-americani con un 22%). Tra tutti i gruppi, la percentuale più alta si trova nella categoria “lavorando” (cioè, lavorano a tempo pieno ma non hanno ottenuto un diploma universitario e non frequentano la scuola), circa la metà dei messico-americani si trova in questa categoria. Generalmente, questa informazione dettagliata mostra che i bianchi sono il gruppo più avvantaggiato, dato che è probabile che abbiano un titolo universitario. I messico-americani e gli afroamericani si trovano in svantaggio perché non hanno un titolo universitario; osserviamo però uno sforzo considerevole da parte loro per non uscire dal circuito scolastico.

La conclusione di questo studio è che oggi praticamente non c’è progresso generazionale tra la seconda e la terza generazione in una vasta gamma di indicatori socioeconomici, confermando ancor di più il divario educativo tra i messico-americani e gli europei americani in termini di assimilazione. Sembra che la terza generazione di messico-americani sia arrivata al tetto della sua mobilità socioeconomica in comparazione con gli altri gruppi presenti negli Stati Uniti.

Un’alta percentuale dei messico-americani nel MASP rivendica un’identità razziale non bianca. Anche nella terza o quarta generazione, nella loro maggioranza non si vedono come bianchi e credono che sono classificati a partire dalla loro ascendenza. Quasi la metà riferisce episodi personali di discriminazione razziale. La razza continua ad essere importante per loro, ed essere messicani continua ad essere una categoria simile alla razza nell’immaginario popolare in gran parte del sudovest degli Stati Uniti. Inoltre, lo status di indocumentato presente nell’immigrazione messicana, insieme a grandi dosi di ostilità verso il Messico, può stigmatizzare tutti i membri del gruppo, sia che siano migranti o nati negli Stati Uniti.

Forse a causa della centralità dell’immigrazione per l’economia e per le politiche sociali orientate all’incorporazione dei migranti, gli accesi dibattiti sull’immigrazione di oggi si concentrano rispetto alla questione se i discendenti degli immigrati si assimileranno o no in termini di scolarità e mercato del lavoro. Al circoscrivere i dibattiti sull’incorporazione dei migranti a questi singoli termini, abbiamo trascurato altre dimensioni di tale processo. Il caso messico-americano dimostra con chiarezza che l’esperienza dell’incorporazione ha per natura varie sfaccettature. Presenta inoltre chiare implicazioni rispetto al modo in cui gli statunitensi —accademici, persone con potere di decisione, e anche il pubblico in generale— pensano rispetto all’incorporazione di nuove generazioni di migranti alla loro società. Per esempio, si riscontra una tendenza ad esagerare la consistenza dell’assimilazione in tutte le sue dimensioni. Esaminando la eterogenea popolazione messicana, abbiamo però dimostrato che l’incorporazione in un aspetto determinato può avere conseguenze dirette su altre dimensioni, e in questo modo la velocità e la direzione di queste dimensioni può cambiare in modo inaspettato.

Infine, molti studi anteriori sull’incorporazione hanno enfatizzato un nucleo principale a cui gli immigrati e i loro discendenti si assimilano. Il caso dei messico-americani ci ricorda l’importanza di un nucleo etnico di vecchia data che ha costituito un contrappeso alla forza dell’assimilazione in molte aree urbane del sudovest. Tale nucleo crea uno spazio etnico per i messico-americani nati negli Stati Uniti che costituisce un’alternativa all’assimilazione totale e ai modelli secondo i quali i messico-americani si sarebbero incorporati alla società statunitense, che includevano occupazioni accettabili o posizioni di classe, così come stili culturali e modelli di azione politica.

Agli statunitensi piace ripetere il racconto dell’assimilazione e del successo degli immigrati, ma questa storia non descrive l’esperienza di molti degli immigrati di oggi.  Peggio ancora, insistere sul racconto dell’assimilazione come se fosse la storia di tutti gli immigrati ignora la necessità di politiche che affrontino i loro bisogni e le loro situazioni specifiche. Non farlo —prodotto di un certo ottimismo storico— limita la possibilità di mettere in pratica politiche educative in base alle esigenze dell’economia degli Stati Uniti, che richiede sempre più una forza lavoro e una popolazione istruita, con occupazione e integrata, per poter mantenere i vantaggi acquisiti a livello internazionale. Forse la lezione importante che sta alla base dell’esperienza dell’incorporazione dei messico-americani è il pericolo di cercare di comprendere tutti i migranti secondo un modello unico stabilito per tutti.

*Sociologo. Professore titolare del Dipartimento di Sociologia dell’Università della California, Santa Barbara.

*Professoressa di Sociologia dell’Università della California, Los Angeles.

Nexos (Messico)

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi

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