COLOMBIA. MENO ARMI, PIÚ COCA. Si estendono le piantagioni di cocaina nonostante il disarmo della guerriglia. Adesso superano il caffè come prodotto di esportazione

La coca è il terzo prodotto più esportato del paese (Foto DPA-J. Motte via DW)
La coca è il terzo prodotto più esportato del paese (Foto DPA-J. Motte via DW)

Pablo Escobar, emblema di tutti i narcotrafficanti colombiani, è stato abbattuto nella città di Medellín quindici anni fa da agenti colombiani con l’aiuto della DEA statunitense; due anni fa la principale guerriglia della Colombia che sulla produzione di droga aveva fatto la sua fortuna ha firmato un accordo di pace e deposto le armi liberando il territorio che occupava. Ma la coltivazione della coca non è diminuita. Tra un evento e l’altro vari capi di cartelli colombiani sono stati arrestati ed estradati negli Stati Uniti, e diversi piani per la sostituzione delle coltivazioni di coca sono stati lanciati dal governo Santos prima di lasciare il comando al neoeletto presidente Ivan Duque. Nonostante questo la superficie coltivata a coca non solo non è diminuita ma ha continuato ad espandersi con inarrestabile progressione. Fino ai nostri giorni che vedono la pianta dalla quale è ricavata la cocaina ai suoi massimi livelli storici.

Lo attesta il nuovo rapporto delle Nazioni Unite che attraverso il proprio Ufficio contro la droga e il crimine ha appena diffuso dati da cui risulta che le piantagioni di coca occupano attualmente una superficie di 171.000 ettari (dati del 2017), con un aumento del 17% rispetto all’anno precedente. Il dato complessivo conferma una tendenza che non ha praticamente avuto battute d’arresto dal 2013 ad oggi: la terra utilizzata per la coltivazione della coca è cresciuta, in media, il 45 percento ogni anno. Non solo, ma il rapporto segnala che il raccolto delle ultime stagioni è anche tre volte più produttivo rispetto al 2012. L’attività di esportazione di cocaina nel 2017 ha sfiorato i 2.700 milioni di dollari, un mercato impressionante, più grande, per esempio, di quello del caffè, le cui esportazioni nel 2017 sono state di 2.500 milioni di dollari. Leggendo il rapporto e facendo qualche rapida comparazione si evince che il mercato della cocaina, se confrontato con altre entrate legali della Colombia, è inferiore solo all’esportazione di petrolio e carbone.

Le cifre delle Nazioni Unite sono abbastanza coincidenti con quelle di un analogo rapporto elaborato nel mese di giugno dagli Stati Uniti e che hanno fatto dire al presidente Trump che la Colombia deve fare di più nella lotta alla produzione di droghe, sottintendendo neppure tanto velatamente che da questo dipende il livello di aiuto futuro al paese che fino ad oggi si attesta sulla cifra di 10.500 milioni di dollari a partire dall’anno duemila. Non sono buone notizie per il paese andino, anche in considerazione del fatto che il presidente americano dedicherà proprio alla Colombia, in dicembre, la prima visita al continente latino-americano.

Il rapporto delle Nazioni Unite rappresenta un duro colpo per la percezione che la Colombia stesse vincendo la doppia battaglia contro i suoi nemici storici: la droga e i gruppi armati che la commerciavano. I livelli di produzione di coca dimostrano invece che il governo non ha mai finito di riprendere il controllo dei territori occupati dai gruppi ribelli quando hanno firmato gli accordi di pace del 2016.

Pochi giorni fa il nuovo presidente Ivan Duque ha annunciato la presentazione imminente di un nuovo piano per combattere il traffico di droga che nei suoi propositi dovrà rafforzare “le capacità di interdizione aerea, marittima e terrestre” della Colombia e “smantellare completamente le reti di approvvigionamento”. I dettagli del nuovo piano non si conoscono, primo fra tutti se ricorrerà all’uso massiccio di sostanze chimiche irrorate per via aerea, una tecnica che è stata sospesa per un periodo dal suo predecessore Juan Manuel Santos per le preoccupazioni che l’agente di base, il glifosato, potesse essere cancerogeno.

Anche il programma di sostituzione delle coltivazioni previsto dagli accordi di pace non ha dato ancora i risultati attesi, anzi, a detta di tecnici coinvolti nei controlli avrebbe addirittura prodotto conseguenze impreviste. Quando i coltivatori di altre colture hanno notato i benefici delle sovvenzioni ricevute da coloro che precedentemente coltivavano la coca, cominciarono a coltivare la pianta proibita solo per ottenere dal governo le sovvenzioni per sostituire il raccolto. E nei casi in cui il governo non ha pienamente rispettato gli impegni, hanno continuato con la coltivazione illecita.

Un terzo nodo collegato alla produzione di coca riguarda i cosiddetti leader sociali delle comunità. Sempre secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite ne sarebbero stati assassinati 295 tra dicembre 2016 e giugno 2018, quasi sempre per opporsi o denunciare il traffico.

Un quarto problema è rappresentato dall’impatto della coltivazione di coca sul patrimonio forestale della Colombia. L’espansione delle piantagioni è causa diretta di deforestazione, un fenomeno quest’ultimo che negli ultimi anni è raddoppiato nel territorio nazionale. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite il 34% delle piantagioni di coca identificate sono state piantate in aree che erano foreste nel 2014.

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