MIGRANTI. COSÍ L’AMERICA LATINA AFFRONTA L’EMERGENZA. 13 paesi unificano le rispettive politiche davanti alla migrazione venezuelana, una delle più grandi della storia

Venezuelani in entrata
Venezuelani in entrata

Cosa fare con la migrazione dal Venezuela che ha raggiunto in poco tempo le proporzioni di un vero esodo? Più restrizioni e più controlli? Un fondo comune di assistenza alle migliaia di migranti che premono sulle frontiere e a quelli che hanno già varcato i confini nazionali dei paesi limitrofi? Politiche di più ampio respiro orientate all’integrazione nel tessuto delle rispettive società? Quello che l’Europa stenta a fare davanti alle ondate migratorie dall’Africa, i paesi dell’America Latina lo stanno mettendo a tema in questi giorni, premuti dalla emigrazione dal Venezuela che ha già portato 2,3 milioni circa di venezuelani (7,5 per cento della popolazione di 30,6 milioni) fuori dai confini nazionali, di cui 1,6 milioni emigrati dal 2015, quando la penuria di medicinali e cibo è peggiorata e l’iperinflazione ha polverizzato i salari.

L’esodo, perché oramai di questo si tratta, ha le sue direttrici naturali: Colombia, Perù ed Ecuador sono i principali destinatari del flusso migratorio, che diventa via via più intenso anche verso altre nazioni sudamericane, come il Brasile e il Cile. L’urgenza di concordare una politica comune e coordinata che affermi i principi umanitari dell’accoglienza è nei fatti, considerando anche che il Venezuela, come i paesi verso cui si dirigono i suoi cittadini, hanno tradizioni immigratorie considerevoli nel loro passato, tanto sul versante dell’accoglienza dei grandi flussi dall’Europa, come su quello dell’emigrazione verso gli Stati Uniti o l’Europa in cerca di lavoro o per ragioni di sicurezza.

Da queste esigenze nasce il summit di Quito svoltosi questa settimana per cercare di fare fronte all’emergenza che si è prodotta ma anche per elaborare politiche positive di più lungo termine adeguate alla sfida rappresentata dalla nuova migrazione.

I punti sottoscritti nelle due giornate di lavori sono 18 in totale e conformano la così chiamata “Dichiarazione di Quito sulla mobilità umana dei cittadini venezuelani nella regione” sottoscritta da Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, Messico, Panama, Paraguay, Perù e Uruguay.

Un punto delicato recepito nel documento finale è quello dei titoli di viaggio dei migranti. Le delegazioni riunite nella capitale dell’Ecuador hanno chiesto al governo del Venezuela di “adottare urgentemente misure prioritarie per la fornitura tempestiva di documenti come carte di cittadinanza e passaporti”, tra le altre, la cui mancanza ha ostacolato le procedure di immigrazione di migliaia di persone. La mancanza di tali documenti ha generato “limitazioni al diritto alla libera circolazione e alla mobilità” dei venezuelani, nonché “difficoltà nelle procedure di immigrazione” e “effetti sull’integrazione sociale ed economica ” nei paesi ospitanti.

Ottenere un passaporto è diventato sempre più difficile in Venezuela per la scarsità di carta e inchiostro, e procurarsi un appuntamento negli uffici migratori può richiedere mesi. Allo stesso tempo i paesi firmanti la dichiarazione hanno deciso di accettare i documenti di viaggio scaduti dei venezuelani come documenti di identità validi a fini migratori.

Altri punti considerati nella “Dichiarazione di Quito” sono orientati a coinvolgere nell’assistenza migratoria l’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) e l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), per combattere il traffico di esseri umani e il traffico di migranti.

Di grande importanza l’impegno assunto dagli undici paesi riuniti a Quito per garantire l’accesso dei venezuelani ai servizi sanitari del paese che li riceve, l’istruzione pubblica in vigore, le opportunità nel mercato del lavoro nazionale, così come l’accesso al sistema di giustizia vigente.

La Dichiarazione si conclude con un appello al governo del Venezuela ad accettare la collaborazione dei governi della regione e delle organizzazioni internazionali per alleviare la crisi migratoria.

All’importante dichiarazione mancano due firme: quella della Bolivia e della Repubblica Dominicana.

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