L’OCCHIO DI VETRO. L’intervento della giovane scrittrice argentina che ha commosso la platea del XXXIX Meeting dell’Amicizia tra i Popoli in corso nella città di Rimini

Veronica Cantero Burroni, 16 anni, cinque libri all’attivo
Veronica Cantero Burroni, 16 anni, cinque libri all’attivo

L’incontro con il Papa, che ho chiesto di mettere in questo video di presentazione, il Suo abbraccio e le Sue parole, mi introducono con precisione al tema di questo incontro: “E’ possibile essere felici”.

Perché quello che mostrano quelle immagini è stato un momento di felicità. Al punto che posso dire, usando una sola frase, che essere felice nella vita è sentirsi abbracciato. E quando è così, quando è quella l’esperienza predominante, succede che anche la vita si guarda in un altro modo, con l’occhio di vetro, come disse il Papa ai giovani a Cuba. In quell’occasione, mentre si trovava a Cuba nel 2015, cioè tre anni fa – io avevo 13 anni – il Papa citò uno scrittore latino-americano del Guatemala, Miguel Angel Asturias, che aveva detto: “Noi persone abbiamo due occhi: uno di carne e un altro di vetro. Con l’occhio di carne guardiamo ciò che vediamo. Con l’occhio di vetro guardiamo ciò che sogniamo”[i]. Io l’ascoltai quando lo diceva a Cuba e mi stupii, mi rimase impressa questa faccenda dei due occhi, l’occhio di carne e l’occhio di vetro. (…). Cosicché quando ero in piazza S. Pietro aspettando l’inizio dell’udienza, avevo sul tavolino della mia sedia a rotelle una copia del Ladro di ombre. El ladron de sombras è l’ultimo libro che ho scritto, pubblicato giusto nel 2016 e avevo la speranza di poterglielo regalare. Finalmente ci fu l’opportunità di assistere all’udienza di quel mercoledì primo giugno. Tra tutto il viavai e l’emozione arrivò il grande giorno, ma ancora non avevo scritto una dedica. Ormai in piazza San Pietro, a lato della scalinata dove mi avevano portato gli aiutanti del Papa, incominciai a pensare a ciò che dovevo dire a lui, al Papa. La prima cosa che mi venne in mente fu un “Grazie”. Ma grazie perché? Cos’era concretamente ciò di cui volevo ringraziarlo? Allora rammentai il discorso ai giovani, quello dell’occhio di vetro, della prospettiva di vita che Dio mi regalava per avermi creato con due occhi.

E così mi venne da scrivergli queste parole sul frontespizio del libro che mi ero portata per dargli: “Caro Papa Francesco, ti dedico questo libro per ringraziarti di tutto ciò che mi hai insegnato. Mi hai insegnato ad usare il mio occhio di vetro e il mio occhio di carne, perché questo è un sogno per me, un sogno che oggi vivo…”.

Addirittura, nello stesso discorso ai giovani cubani il Papa parlava anche di sognare, diceva che “nell’obiettività della vita deve entrare la capacità di sognare, e un giovane incapace di sognare è rinchiuso in sé stesso. Ognuno sogna a volte cose che non accadranno mai. Ma sognale, desiderale, cerca orizzonti, apriti, apriti a cose grandi!”[ii].

Mi sembra che sognare, così come il Papa ha utilizzato l’idea, è lo stesso che desiderare. Egli diceva ai giovani di Cuba che la cosa più cara che abbiamo è la capacità di desiderare, desiderare cose grandi per le nostre vite e per le persone che ci circondano.

2. Il Papa in quello stesso discorso disse anche: “Sogna che il mondo con te (grazie a te) può essere diverso. Sogna che se tu metti il meglio di te stesso, puoi far sì che questo mondo sia diverso, sia più bello”[iii].

Lo penso sempre riferito alla mia vita. Qual è il mio modo di contribuire perché il mondo sia diverso? Come posso farlo se ho questa limitazione motoria?

La risposta l’ho trovata nella scrittura, perché se io non avessi questa limitazione sono assolutamente certa che non mi sarei dedicata a scrivere. Credo di poter dire che la mia condizione fisica mi permette di essere più attenta alla realtà; grazie ad essa sono capace di osservare negli altri con maggiore profondità di sguardo i movimenti che io non posso fare.

Perciò dico sempre che essere sulla sedia a rotelle non è tanto la mia croce, quanto piuttosto la ragione, la condizione di grazia che mi spinge a dedicarmi alla scrittura. Penso che ogni circostanza ha senso, perché la mia famiglia mi ha insegnato fin da piccola che a Dio non sfugge nulla, che non vi sono casualità.

Lo scrittore più famoso del mio paese, Borges, una volta ha detto: “Qualsiasi destino, per vasto e complicato che sia, consiste in realtà di un solo momento: il momento in cui l’uomo comprende per sempre chi è”[iv]. È proprio profonda questa frase: “Qualsiasi destino, per vasto e complicato che sia, consiste in realtà di un solo momento: il momento in cui l’uomo comprende per sempre chi è”.

Allora, tra i dieci e gli undici anni ho cominciato a chiedere a Lui, Dio, non il perché, ma piuttosto per quale fine mi aveva regalato questa condizione; ed Egli mi disse: “Io ti do questo dono affinché attraverso di esso tu possa mostrare alle persone che in qualunque circostanza loro possono essere sé stesse”.

3. Uno dei personaggi del Ladro di ombre si chiama Massimo.

È a scuola, e gioca con la sua ombra durante l’ora di ginnastica, vedendo divertito come il suo specchio oscuro, la sua ombra, imita ogni suo movimento con estrema precisione. Guarda, anche, cosa riflettono gli specchi degli altri, ma guardando attentamente si accorge che molti dei suoi compagni non hanno ombra. Come poteva succedere ciò? Si incamminava verso la porta con quella domanda in testa. Così inizia tutto, osserva che un compagno esce alla fine della scuola con qualcosa, un panno oscuro o qualcosa di simile, che pende dallo zaino che porta in spalla….

Bene, io mi sono dovuta mettere nei panni di Massimo per descrivere ogni movimento nella classe di ginnastica e posso affermare che in quel momento io mi muovevo con lui, ripetevo i suoi movimenti, li inventavo, gli davo movimento.

Il Ladro di ombre ha ricevuto un premio importante in Italia, il premio Elsa Morante a Napoli[v], e questo piccolo racconto è diventato molto noto in Argentina. È così che spesso sono invitata a incontri con ragazzi della mia età oppure anche più piccoli. Faccio di tutto per incontrarli, mi piace rispondere alle loro domande, sul racconto, sui personaggi e pertanto sulla vita.

Cerco di comunicare che anche loro sono nati per essere felici. Ognuno di noi ha un dono nascosto che deve scoprire o permettere ad altri di mostrarcelo. Ancor più, propongo loro di non avere paura e di avere il coraggio di lottare per ciò che tanto desiderano, cosi che anch’essi possano vedere la vita con l’occhio di vetro e affrontare con fede, forza e speranza le avversità che li toccano, giorno dopo giorno.

Quando scrivo non ho nessun tipo di limite, mi basta soltanto dare via libera all’immaginazione, connettermi con i personaggi e rispettarli. Sì, rispettarli, perché una volta presa vita, crescono e interagiscono con me. Sembra strano, ma mi è capitato di sentire che a qualcuno di loro non piace far parte della storia o svolgere il ruolo che gli ho assegnato. Quando ciò accade, apro liberamente la porta perché un altro personaggio entri e resti a vivere nella mia piccola casetta fino alla fine della storia.

Per essere più precisa, ruberò un’idea a Dacia Maraini, la presidente del premio Elsa Morante. Ella, nel suo libro “Quando un personaggio bussa alla mia porta”[vi], rivela che quando un personaggio nasce, bussa alla porta dell’immaginazione; lei apre; il personaggio si siede e chiede un caffè e intanto racconta la sua storia. Quando finisce, chiede la cena e anche un letto per andare a riposare. Una volta che il personaggio alloggia comodamente nella casetta della mia immaginazione, io capisco che ho una storia da raccontare al mondo. Il personaggio mi racconta ciò che sente e io lo ascolto attentamente, piano piano diventiamo amici e cominciamo a costruire un altro mondo insieme. Sebbene i personaggi nascano dalla mia immaginazione, arriva il punto in cui maturano e si sviluppano per conto loro, in modo indipendente. Quando arriva quel momento, devo imparare a rispettare le loro decisioni, proprio perché a volte mi fanno capire che sono a disagio con il ruolo assegnato e allora li devo lasciare andare.

Un altro scrittore latino-americano, colombiano di nazionalità, Nicolas Gomez Dàvila, ha una frase straordinaria: “Come può vivere qualcuno che non si aspetta miracoli?”[vii]. Questo scrittore ha scritto molto poco, ma questo aforisma è un tesoro: “Come può vivere qualcuno che non si aspetta miracoli?”. I miracoli non implicano che qualcosa di materiale cambi forma o luogo all’improvviso, o cose strane così.

Cosa significa essere aperti, sperare miracoli? Quando l’ho sentita, sono rimasta stupita, perché mi sono resa conto che amo le parole perché mi danno la possibilità di contemplare ogni cosa per quanto minuscola essa sia, come il miracolo che è di fatto. È ciò che mi mantiene viva, il fatto di poter osservare e dare valore ad ogni dettaglio di questo mondo e scoprire i segreti che nasconde.

4. Un miracolo è anche quello che mi è accaduto poco tempo fa, poco prima di ricevere l’invito di venire in Italia al Meeting.

Ho appena fatto un intervento alla colonna vertebrale; prima ancora, uno all’anca e poi altri. Davanti a una nuova e faticosa sfida, com’è l’intervento alla colonna vertebrale, non ho potuto fare a meno di iniziare a chiedere che accadesse un miracolo e mi liberasse da questa lotta che non potevo credere che ancora una volta portasse il mio nome, e che ancora una volta dovessi affrontare proprio io. Ero certa che questa circostanza era una prova che Lui poneva sul mio cammino per verificare la mia fiducia e che poi dopo tanta insistenza, Lui sarebbe venuto a soccorrermi una volta di più.

Ma il tempo scorreva e la risposta non era altra che: “Ti devi operare”. Si, certo, mi ha fatto male accettarlo. Ma dal primo istante la mia famiglia e i miei amici non hanno smesso di abbracciarmi, mi hanno fatto notare ed essere certa che ciò che stava per succedere era buono, perché avrebbe sviluppato le mie possibilità di guadagnare cose nuove. In più, mi hanno ricordato che Dio non ti abbandona mai.

Quando sono tornata ad avere la certezza che Lui non mi aveva abbandonato, che non si dimenticava di me, ho iniziato a scrivere le mie preghiere personali. In loro ho riversato fino all’ultima goccia di dolore, i dubbi e le paure che mi portavo dentro. Gli ho chiesto soprattutto che mi donasse cinque cose: forza, speranza, fiducia, pazienza e pace. È stato realmente incredibile!

All’improvviso Dio si è trasformato in un amico inseparabile cui non potevo smettere di raccontare ciò che accadeva ogni giorno. A mia volta io gli chiedevo e tuttora gli chiedo: “Cosa vuoi? Cosa ti aspetti da me? Cosa attendi, cosa speri da me domani?”.

Con il trascorrere dei mesi, l’intervento era sempre più vicino e reale e io mi sono convinta (con allegria) che il tre aprile 2018 mi aspettava impaziente il mio “amico bisturi “come lo chiamiamo io e mio fratello Francisco, anche lui sulla sedia a rotelle. Ma quando avevo già depositato tutta la fiducia che mi è stata donata, quando già non avevo paura di guardare la sfida dritto negli occhi, Gesù mi ha stupito e “Mi sembra che tu ti stia dimenticando di una cosa” –mi ha detto. “Che ne dici se ti dico che aspetto fino all’ultimo momento per stupirti?”.

Cosa?? Cos’è questo?? Perché me lo dici solo adesso?? È ciò che ti ho chiesto dall’inizio o è mille volte meglio?? Glielo chiesi con una commozione mai provata prima. “Ah, non saprei; è una sorpresa!! Rompi l’incarto di questo regalo con pazienza e vedrai!!”.

Il giorno dell’intervento arrivò e terminai di svolgere l’incarto. Non è stato facile, ha implicato molto sacrificio, ma attraverso questa circostanza Dio mi ha dato l’occasione di immedesimarmi con la sua croce portando anche la mia per poi resuscitare con Lui (per me anche questo conta come miracolo, perché significa che chiunque può vivere oggi ciò che Lui ha vissuto più di duemila anni fa).

Con questo voglio dire che essere felice non significa avere un cielo senza tempesta, un cammino senza ostacoli, o un lavoro senza fatica. Essere felice è trovare la forza e la speranza nelle battaglie. Quella forza e quella speranza l’ho trovata nell’abbraccio invisibile ma incredibilmente potente di tutte le persone che hanno pregato e continuano a pregare per me, da allora; grazie a quell’immenso abbraccio e col peso del dolore che mi tocca affrontare per la mia limitazione, sono stata e sono felice.

E perciò, sì, si può dire con molta ragionevolezza e concretezza, che le forze che muovono la storia sono stesse che rendono l’uomo felice!!!

Traduzione dallo spagnolo di Gabriella Mazzoli Picciano


[i] Papa Francisco, Discorso ai giovani cubani, L’Avana, settembre 2015.

[ii] Op. Cit…

[iii] Op. Cit…

[iv] Jorge Luis Borges, Biografía de Tadeo Isidoro Cruz, Hipertexto del Martin Fierro, Buenos Aires, 1949.

[v] Premio letterario italiano dedicato alla scrittrice Elsa Morante

[vi] Dacia Maraini, Se un personaggio bussa alla mia porta, Rai-Eri, Roma, 2016

[vii] Nicolás Gomez Davila, Escolios a un texto implícito, Colombia

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