DONNA ROSARIO, MORTA DI TRISTEZZA. Mentre le ruspe delle società minerarie squassano la terra dei suoi avi nella Cordigliera del Cóndor dell’Amazzonia ecuadoriana

Sfrattata dalla propria terra (Foto Carlos Herrera-Confidencial)
Sfrattata dalla propria terra (Foto Carlos Herrera-Confidencial)

Nonna Rosario Huari, di nazionalità shuar, è morta sulla soglia dei 120 anni. Nell’ospedale le hanno diagnosticato una polmonite, e il suo corpo stanco non è stato in grado di reagire per difendersi e superare l’infezione. Nella comunità dicono che è morta triste. Era stanca, sì, perché negli ultimi anni l’angoscia l’ha consumata velocemente. Lei, come molte anziane shuar della Cordigliera del Cóndor nella Amazzonia ecuadoriana, potrebbero raccontare molte storie riguardo il significato della lotta per il diritto di vivere nella propria casa.

Forse l’autopsia sul suo corpo diagnosticherebbe disperazione, dolore e angoscia. È morta senza poter bere l’acqua del fiume che per molti anni ha dissetato e alimentato i suoi figli. Si è spenta vedendo la sua terra scossa da macchinari enormi, sconvolta dal frastuono di ruspe e camion, dalla polvere, da gente venuta da altri luoghi che non fa nessuno sforzo per conoscere i vicini. Lei, come altre 30 famiglie di questa comunità nella provincia di Zamora Chinchipe (nel sud dell’Ecuador, nella regione amazzonica, N.d.T.). è stata sfrattata diverse volte da casa sua, cacciata da una coppia molto difficile da sconfiggere: le società minerarie e lo stato. La sua casa sorgeva su una terra ricca di minerali che hanno un alto valore commerciale, per questo la Cina si vuole impossessare di quel posto, dove abitano gli spiriti dei suoi padri, delle nonne, dove ci sono cascate, la manioca, il banano, il suo orto.

Non accade solo in Ecuador, ma nei 9 paesi della grande Pan amazzonia, dove società private e stato, entrano come padroni e signori dei territori.

Donna Rosario è stata sepolta qualche settimana fa dai suoi famigliari e dalla sua comunità. Suo figlio Mariano, ha dovuto caricare il suo corpo spossato, alla ricerca di un luogo per la sua prossima dimora. Lei deve alimentare la selva e le cascate, con la sua saggezza e la sua forza, ma nemmeno adesso ha dove andare. Rosario è morta preoccupata e senza speranza. Per più di un secolo si è presa cura del territorio che ha ereditato dai suoi nonni, lì ha cresciuto i suoi figli, nipoti e pronipoti. Suo figlio ritorna a casa con il dolore dell’assenza di sua madre, ma anche con il dolore dell’incertezza, Mariano, continua a ricevere pressioni perché abbandoni il suo spazio, il suo territorio e la sua comunità. La società ECSA vuole quel pezzo di terra, per costruire le grandi infrastrutture della prima miniera a cielo aperto del paese.

In Ecuador, è probabile che per tanti siano invisibili, ma ci sono molte persone che soffrono a causa del petrolio o delle miniere, sono molti coloro che come doña Rosario muoiono in questa lotta, che non è personale, ma parla del futuro. William, Luis, Rosa Elvira, Don Borja, le sorelle Guamán, Diego, Elvia, e tanti altri continuano ad essere infastiditi, istigati, minacciati, cacciati. Le famiglie di Tundayme resistono con coraggio e forza e difendono il loro diritto di esistere.

*Caritas Ecuador

REPAM, Red eclesial panamazonica

Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio

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