IL PAPA INCONTRA DUE PRESULI DEL NICARAGUA AL BORDO DELLA GUERRA CIVILE. Si parlerà del dialogo sospeso, della democratizzazione e dei 200 morti in 60 giorni

Il cardinale Leopoldo Brenes, il vescovo Silvio Baéz e il nunzio Waldemar Stanilaw Sommertag (LA PRENSA-JADER FLORES)
Il cardinale Leopoldo Brenes, il vescovo Silvio Baéz e il nunzio Waldemar Stanilaw Sommertag (LA PRENSA-JADER FLORES)

Sabato 30 prossimo, Papa Francesco riceverà in Udienza, e sarà il loro sesto incontro personale, Evo Morales, Presidente della Bolivia. Il governante sarà a Roma già nelle prossime ore poiché ha deciso di accompagnare il nuovo porporato del suo Paese, Toribio Ticona Porco, che il Santo Padre creerà cardinale insieme con altri 13 sacerdoti, giovedì 28 nel suo quinto Concistoro ordinario pubblico.

Nel corso sempre della mattina del 30 aprile, il Pontefice riceverà anche due importanti presuli del Nicaragua – cardinale Leopoldo Brenes e mons. Rolando Álvarez – nazione colpita da un gravissimo conflitto sociopolitico con oltre 200 morti in due mesi e dove la chiesa locale, per volere delle parti, presiede un “Tavolo per il dialogo e la testimonianza” che fino ad oggi ha dato frutti molto scarsi. Di fatto, le sedute del Tavolo per il dialogo sono sospese da oltre una settimana.

Il Pontefice, in concreto, dice un comunicato ufficiale dell’Episcopato del Nicaragua, riceverà fra quattro giorni l’arcivescovo di Managua, cardinale Leopoldo Brenes, che ovviamente prenderà parte anche nel Concistoro di giovedì, e il vescovo di Matagalpa, Rolando Álvarez. Durante l’assenza del cardinale Brenes, se necessario, il Tavolo sarà guidato dal vescovo di León, mons. Bosco Vivas.

Ad oggi le questioni centrali che bloccano ogni progresso nel dialogo, anche se i contatti a distanza continuano come si è registrato in queste ultime dodici ore, sono due. Una è la forte e intensa repressione del governo di Daniel Ortega e di sua moglie Rosario Murillo, Vicepresidente, nella quale sempre più spesso intervengono forze militari non identificate, delle vere bande paramilitari che molti osservatori internazionali associano alla cosiddetta “gioventù sandinista”.

L’altra questione, in definitiva dirimente, e sarà il centro dei colloqui con il Papa, riguarda la democratizzazione del Paese. Ciò che tutte le opposizioni sociali, politiche, culturali ed economiche chiedono veramente, in modo insistente e senza nessuna disponibilità al negoziato, è la fine del governo Ortega-Murillo che costituzionalmente dovrebbe governare fino al 2021.

Al Presidente, tramite lettera scritta presentata nel corso di un incontro personale, la presidenza dell’Episcopato ha chiesto settimane fa di anticipare le elezioni presidenziali dal 2021 al 2019 per dare sbocco all’enorme pressione delle opposizioni e dunque evitare – se possibile – di arrivare ad una vera guerra civile. I prelati sono preoccupati poiché vedono che di fatto, come racconteranno al Papa, la piccola e povera nazione centroamericana è già in una sorta di tragica guerra civile strisciante con 3,3 morti ogni giorno.

Ortega, intanto, fa finta di non sentire, anzi risponde su tutto ma su questa richiesta episcopale, per conto delle opposizioni, il Presidente tace e tace tutto il suo entourage di solito molto loquace.

Nella memoria di tutti, in particolare del Pontefice, della diplomazia vaticana e della chiesa del Nicaragua, è tuttora vivo il ricordo – e brucia come ogni fallimento – della trappola nella quale Nicolás Maduro, Presidente del Venezuela, nazione dove esiste un conflitto per molti versi simile a quello nicaraguense da oltre sei anni, fece sprofondare le buone intenzioni, la disponibilità e “los buenos oficios” della Santa Sede. In questo caso Maduro usò e abusò della buona fede e della generosità della diplomazia del Vaticano e dello stesso Pontefice e perciò alla fine si scelse la strada del disimpegno, limitando la performance della Sede Apostolica ai necessari richiami alla pace e al dialogo e lasciando la governance della crisi nelle mani della Conferenza episcopale locale.

Nel caso del Nicaragua, fin dall’inizio della crisi, la Sede Apostolica ha evitato quanto accaduto con il Venezuela e quindi l’Episcopato locale ha avuto e ha la parola finale. Ora si tratta di consultarsi con il Papa nella prospettiva di un possibile futuro molto difficile e pericoloso: tirarsi fuori dal Tavolo del dialogo se Ortega non anticipa le presidenziali e quindi lasciare il Paese in preda ad una propria e vera guerra civile, molto pericolosa per l’intera regione centroamericana, che Francesco dovrebbe visitare nel gennaio prossimo in occasione della GMG in Città di Panamá.

Torna alla Home Page