LO SNODO CILENO DEL PONTIFICATO DI FRANCESCO. Nella crisi che attraversa la Chiesa del paese sudamericano c’è in gioco anche la credibilità del pontificato

Il Papa con i vescovi cileni nel gennaio 2018
Il Papa con i vescovi cileni nel gennaio 2018

Ovviamente attorno agli incontri di Papa Francesco con oltre 30 vescovi cileni in carica ed emeriti appena iniziati esiste grande interesse, cosa più che ovvia dopo la Visita del Pontefice in Cile (18-21 gennaio scorso) e dopo le polemiche  che hanno coinvolto in parte lo stesso Santo Padre su Fernando Karadima e il vescovo di Osorno, Juan Barros, accusato di copertura degli abusi sessuali del primo, suo mentore spirituale, e dopo la drammatica lettera di Francesco all’Episcopato cileno (8 aprile). Ma al tempo stesso esistono anche nella stampa internazionale, nell’opinione pubblica cilena e latino-americana, e più in generale in tutta la Chiesa Cattolica nei diversi continenti, grandi attese e grandi aspettative. Si ha l’impressione di essere di fronte ad un “passaggio fondamentale” del pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

Quanto accadrà in questi incontri, che poi – si spera – sarà raccontato ufficialmente nei suoi contenuti principali, con chiarezza e trasparenza nonché tempestivamente, potrebbe essere decisivo, determinante e dirimente per tracciare un primo sostanziale consuntivo del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Si sa che il Pontefice non parlerà. È stato già detto ieri ufficialmente. Chi parlerà allora? Non si sa ma le possibilità sono poche: un comunicato della Sala stampa vaticana o un comunicato dei vescovi cileni.

Perché si parla di un “passaggio fondamentale” del pontificato?

È buono e saggio tenere presente questa prospettiva seppure a qualcuno può apparire eccessiva o forse estremista. La questione pedofilia nella Chiesa, fenomeno che non si riesce a contenere a giudicare da quanto si legge sulla stampa mondiale ogni giorno (e in quella latino-americana di quest’ultima settimana), è entrata a far parte della credibilità sia del messaggio evangelico sia del magistero dello stesso Santo Padre.  Molti interventi, gesti e decisioni del Papa in questa delicata e drammatica materia hanno contribuito a porla come un contenuto centrale del magistero pontificio. Sono le prese di posizione di Papa Bergoglio quelle che oggi appaiono come richiamo ineludibile e non più rinviabile.

È noto che a Papa Bergoglio si rivolgono appoggi e consensi planetari per quanto ha detto sugli abusi sessuali all’interno della Chiesa, ma è anche ben noto che le critiche nei suoi confronti per ciò che si ritiene ’debolezza’ degli interventi concreti si allargano ogni giorno. L’affaire Karadima-Barros, abusi e successivi insabbiamenti e occultamenti, che nel caso cileno coinvolgono almeno quattro vescovi in carica, sono un banco di prova per il pontificato di Francesco.

Nessuno chiede o auspica un Papa “giustiziere della notte”, ma sono sempre di meno le persone disposte a capire, comprendere e giustificare un eventuale nuovo passo che rinvia sine die, decisioni esemplari e pedagogiche che rappresentino un chiaro e definitivo messaggio di fronte alla terribile realtà degli abusi sessuali di minorenni nella chiesa e di fronte anche alle manovre, tante e ben collaudate, messe in essere per insabbiare le indagini e occultare i fatti e i colpevoli. È giusto che Il Papa non agisca mai sottopressioni esterne o richieste maggioritarie, plebiscitarie. Il suo agire, soprattutto in materie delicate, deve essere sempre “motu proprio”. Per la Chiesa è una garanzia di libertà e autonomia nonché di saggio discernimento. È però altrettanto vero che questa sacrosanta prerogativa del Papa, da difendere sempre, non deve mai interferire con decisioni che devono essere prese con chiarezza e urgenza perché fondamentali e urgenti per la vita delle comunità ecclesiali, tutte e ovunque. La pedofilia nella Chiesa non è un affare che si può ridurre a norme disciplinari che devono far rispettare le gerarchie. Sarebbe facile, semplice, ma fuorviante. La pedofilia nella Chiesa riguarda tutti, dal Papa all’ultimo fedele, e tutti devono diventare un movimento gigantesco per bloccarla, perseguirla, punirla ed estirparla per sempre.

Il momento cileno ricorda in parte la crisi-declino della Chiesa in Argentina la quale s. Giovanni Paolo II, oltre trent’anni fa, apostrofò con tenerezza ma al tempo stesso con grande fermezza: “Chiesa argentina, alzati e cammina!“. Da quanto si può desumere dal Comunicato vaticano di ieri, Papa Francesco in questi giorni non cercherà alibi per giustificare omissioni e tentennamenti, tanto meno menzogne e manipolazioni della verità dei fatti.  Il Pontefice, lo ha detto e lo ha scritto, vuole la verità anche se dolorosa e vuole tutta la verità, oscurata o nascosta a lui ma anche ai suoi Predecessori: Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Papa Bergoglio ora vuole conoscere le responsabilità collettive e individuali in questa lunga e complessa storia. Insomma, vuole creare le vere condizioni che consentano una conversione radicale e profonda per uscire dal buio. E perciò non mancherà di esortare: “Chiesa cilena, alzati e cammina!

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