ANGELELLI E I SUOI COMPAGNI. Lunedì 14 la commissione teologica vaticana avvierà il lavoro sulla possibile futura beatificazione del vescovo argentino e alcuni sacerdoti ritenuti anche loro martiri

Angelelli guida una processione nella sua provincia, La Rioja, in Argentina
Angelelli guida una processione nella sua provincia, La Rioja, in Argentina

Mons. Marcelo Daniel Colombo, vescovo de La Rioja (Argentina) dal 9 luglio 2013, e quindi successore di mons. Enrique Angelelli (Córdoba, 17 giugno 1923 – Sañogasta, 4 agosto 1976) ha annunciato che in Vaticano, lunedì 14 prossimo, la commissione dei teologi della Congregazione delle Cause dei santi avvierà il lavoro sulla possibile futura beatificazione del vescovo martire argentino. Al tempo stesso inizieranno le indagini e approfondimenti su alcuni sacerdoti ritenuti anche loro martiri. Il dossier, infatti, riguarda “la beatificazione di mons. Angelelli e dei suoi compagni martiri”.

Il processo che riguarda il martirio del vescovo è strettamente vincolato a quello di altri tre uomini assassinati prima di mons. Angelelli: due sacerdoti, Gabriel Longueville e Carlos Murias, uccisi il 22 luglio del 1976, e un laico, Wenceslao Pedernera, ucciso il 26 dello stesso mese. Mons. Angelelli fu ucciso il 4 agosto e quindi ci furono quattro omicidi in 2 settimane.

È stato proprio mons. Colombo ad aprire la causa diocesana di beatificazione di mons. Angelelli – chiusa nell’ottobre 2016 -  la cui morte in un presunto “triste incidente stradale” fu accettata da tutti salvo poi, decenni dopo, capire che in realtà il presule – molto critico con la dittatura militare – era stato ucciso con viltà e vigliaccheria perché cercava di capire i motivi per i quali erano state uccise le altre tre persone che lui conosceva.

Luis Liberti, esperto per la causa di beatificazione del vescovo de La Rioja (1968 al 1976) tempo fa ha spiegato a Vatican Insider: “È un caso abbastanza simile a quello di Arnulfo Romero in El Salvador: i militari argentini, come in America Latina, erano stati tutti battezzati in Chiesa. Qui non c’è un odio della fede diretto ed esplicito, piuttosto vi è un odio verso la sua attuazione e la sua conseguenza fondamentale. Il Papa aveva già seguito la causa in quanto presidente della Conferenza episcopale, arcivescovo di Buenos Aires e cardinale primate dell’Argentina. Ai 30 anni della morte di Angelelli pronunciò un’omelia in cui descrisse quest’uomo come un grande pastore, in un modo molto “letterario” e prendendo spunto da aspetti del Vangelo. Ha definito Angelelli “un pastore che nel suo servizio è arrivato al punto estremo di dare la vita per le sue pecore”».

Il 28 febbraio 2014 il Prefetto della Congregazione per la Chiese Orientali, cardinale Leonardo Sandri, chiamò mons. Angelelli “martire”, cosa nuova, inedita e rilevante. Non era mai accaduto che un’alta autorità della Santa Sede ammettesse pubblicamente che il vescovo argentino morì non perché vittima di un “deplorevole incidente stradale” (che l’Osservatore Romano dell’epoca definì “sospetto”), bensì perché oggetto di un vero e proprio attentato ordito dai vertici della dittatura militare per eliminare un pastore scomodo. Fino a qualche anno fa, per decenni, la versione era una sola in tutti gli ambienti: mons. Angelelli era morto in “un triste e tragico incidente automobilistico”. Lo disse fin dall’inizio la dittatura di Jorge Videla e poi, per anni, lo hanno ripetuto in molti senza accertare la verità. I pochi che dal primo momento parlarono di crimine furono fatti tacere e indicati con il dito come anti-patrioti e bugiardi.

Ora, da qualche anno, tutto è cambiato. Il cardinale Sandri (1), dopo aver ricordato il cardinale Posadas Ocampo e mons. Romero, ha detto: “Il vescovo Enrique Angelelli, ordinario di La Rioja, argentino, morto il 4 agosto 1976 in un incidente automobilistico sospetto e in un contesto di grande coraggio episcopale. Di lui oggi ricordo non solo la sua passione e il convincimento che la sua morte avvenne perché difensore di Dio, della persona umana e del Vangelo, cose sulle quali mi parlava mons. Juan Giaquinta, arcivescovo di Resistenza, ma anche l’omelia dell’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio, a Punta de Los Llanos, il 4 agosto 2006, lì dove è caduto Angelelli. Un giornalista (2) così riportò l’omelia del cardinale Bergoglio: “Riscattò (…) la convinzione che la chiesa de La Rioja era perseguitata ma resisteva integra, con un dialogo d’amore fra il popolo e il suo pastore. [Il cardinale Bergoglio] paragonò gli attacchi subìti da Angelelli con i patimenti di Paolo e i filippesi, attraverso i soliti metodi della disinformazione, della diffamazione e della calunnia”. L’arcivescovo di Buenos Aires parlando sulla morte e la repressione affermò che “Wenceslao, Carlos, Gabriel (i due sacerdoti e il laico uccisi dai militari e sui quali mons. Angelelli stava indagando quando fu trucidato con un finto incidente di automobile) e il vescovo Enrique, con il loro sangue versato, furono testimoni della fede”. [Il cardinale Bergoglio] aggiunse: se qualcuno “si rallegrò pensando a una sua vittoria”, in realtà deve capire che invece “si trattò di una sconfitta degli avversari” del vescovo.

***

(1) Omelia della Messa celebrata per i membri della Pontificia Commissione per l’America Latina (CAL) – Testo

(2) Guillermo Alfieri, Semanario Digital e il libro “E’ l’amore che apre gli occhi”, ed. Rizzoli.

Torna alla Home Page