COME EVITARE UN “CASO BARROS” NEL FUTURO. Un gesuita cileno del Centro Teologico Manuel Larraín avanza alcune proposte

Le vittime denunciano
Le vittime denunciano

A questo punto è più che probabile che Juan Barros non sarà più vescovo di Osorno di qui a poco. Gli abitanti della città di Osorno, gli osornini come vengono chiamati, rappresentano con il loro rifiuto i molti cattolici cileni che pensano che nessun vescovo dovrebbe essere imposto. Questa circostanza potrebbe riproporsi in casi simili ma, anche se non auspicabile, ci ha insegnato molto.

In questo momento in cui i vescovi cileni si preparano ad incontrarsi con Papa Francesco per riflettere insieme a lui sui fatti e stabilire un piano d’azione, sorgono due domande. Una sull’idoneità di coloro che saranno nominati vescovi in sostituzione di quelli che eventualmente lasceranno l’incarico. Potrebbero essere nove in un arco di tempo relativamente breve. Preoccupa pensare in chi potrebbero essere. Quali nuovi vescovi si potranno caricare sulle spalle il peso della vasta e profonda diffidenza dei fedeli nella loro autorità? Proprio essa, l’autorità, è quello che hanno perso. Oggi non basta l’investitura. La comunione dei battezzati è molto più critica, aspetta che i sacerdoti rendano conto di quello che dicono e fanno.

Per scegliere i nuovi vescovi converrebbe elaborare un profilo dei candidati tenendo conto della realtà in cui ci troviamo. A mio parere dovrebbero possedere almeno queste tre caratteristiche. Devono essere soggetti capaci di connettersi emozionalmente e culturalmente con tutte le generazioni. Quest’empatia non dev’essere una mera simpatia, ma una predisposizione a capire dal di dentro la gente di quest’epoca e la sua cultura, e a condividere e ad avere compassione di tutte le diverse forme di sofferenza umana. Per questo, seconda caratteristica, si richiedono individui con una solida formazione che consenta loro di avere una visione amplia che permetta di usare l’insegnamento tradizionale della Chiesa per aiutare le persone e non per opprimerle.

Queste due caratteristiche devono coesistere assieme nella stessa persona e nello stesso momento. Non c’è più posto per vescovi distanti dal sentire e pensare dei cattolici.

La terza qualità necessaria sarà la credibilità. I vescovi devono essere affidabili. Se i cattolici non si fidano di loro nelle attuali circostanze di crisi di “fede”, mancheranno di un requisito indispensabile. Nel cristianesimo la fede si trasmette con la testimonianza di persone che attestano che Dio, che non fallisce mai, ha cambiato loro la vita. L’empatia e la formazione intellettuale, nel caso delle autorità ecclesiastiche, raggiungono i loro scopi quando la persona ha qualcosa da insegnare perchè lo ha imparato dall’esperienza dell’amore e del perdono di Dio.

La seconda domanda di somma importanza per il presente e per il futuro è su chi sceglierà i vescovi e come lo farà. Oggi come oggi sono i papi che operano la scelta.

Se Francesco avesse ascoltato i vescovi cileni, invece di ascoltare quelli che lo hanno disinformato, la situazione di Barros non sarebbe arrivata a questo punto. Indipendentemente da questo grande errore del Papa, però, il problema è la legislazione ecclesiastica che concede un potere quasi assoluto ai pontefici. Il fatto è che Francesco, in questi momenti, manca della istituzionalità necessaria ad informarsi circa nuovi candidati che potrebbero essere vescovi. Se nel caso della nomina di Barros le pressioni per mantenerlo al suo posto o per toglierlo sono state enormi, la scelta dei candidati a succedergli potrebbe essere caotica. Caotica perchè il processo di informazione necessario per nominare i nuovi vescovi non ottiene i risultati sperati. In chi può confidare il Papa per nominare i nuovi vescovi? L’attuale nunzio ha responsabilità enormi nella situazione che si è creata. C’è da sperare che Scapolo non intervenga in nulla. Anche i vescovi cileni, in gran parte estranei al “caso Barros”, si trovano screditati. Francesco crederà ad alcuni di loro e ad altri no? A chi crederà e a chi no? Il Papa potrebbe risolvere il problema “in modo personale”, ma così facendo rischia di ricadere nella pratica che ha generato questa crisi.

Tutto ciò mi fa pensare alla possibilità che Francesco nomini una persona di grande fiducia –come ha fatto con Scicluna- che appronti un meccanismo ad hoc per riunire le informazioni necessarie e che lo aiuti a valutarle. In molte istituzioni esistono comitati di ricerca che compiono questa funzione. Conosco i meccanismi dell’Università Cattolica e dell’Università “Alberto Hurtado”. Funzionano molto bene. La più alta autorità dell’università realizza la nomina dei rettori dopo aver ascoltato tutte le versioni e aver riunito ogni genere di antecedenti.

Non hanno niente da dire sulla scelta dei nuovi vescovi cileni i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici e le laiche? I giovani, non potrebbero aiutare a definire il profilo di vescovo di cui c’è bisogno?

Nullus invitis detur episcopus, sosteneva Papa Celestino, ovvero “che non ci sia nessun vescovo imposto”. Magari il “caso cileno” apre le porte a una chiesa più democratica, mentre quella odierna soffoca a causa della scarsa partecipazione dei suoi membri.

*Teologo gesuita. Professore della Facoltà di Teologia della Pontificia Universidad Católica de Chile. Direttore del Centro Teologico Manuel Larraín

Reflexión y Liberación

Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio

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