LEGALIZZAZIONE DELL’ABORTO E ANOMALIA ARGENTINA. Inizia la discussione parlamentare. I preti delle villas danno la faccia: “Con i poveri, abbracciamo la vita”

Il vescovo Gustavo Carrara
Il vescovo Gustavo Carrara

Il dibattito sulla legalizzazione o meno dell’aborto in Argentina è arrivato in parlamento. Gli opposti schieramenti hanno eletto i loro “oratori”, 15 a favore e 15 contro, che ieri, martedì 10 aprile, hanno fatto sentire le proprie ragioni davanti ad un paese che non aveva tra le priorità una tale discussione prima che il presidente Mauricio Macri desse luce verde al cammino legislativo di progetti di legge che prevedono diversi gradi di liberalizzazione della pratica abortiva. La parola, nel frattempo è passata anche alla piazza, con manifestazioni di sostegno e di opposizione, l’ultima delle seconde una multutudinaria marcia che il 27 marzo ha portato nelle strade di Buenos Aires decine di migliaia di argentini con repliche in simultanea nei piccoli e grandi centri della vasta provincia argentina.

C’è qualcosa che va subito osservato nel modo come procede la mobilitazione sociale contro la legalizzazione dell’aborto nel paese sudamericano, e che fa, del caso argentino, un qualcosa di singolare nel panorama di tutto il continente.

Innanzitutto, la persuasione della gerarchia che pur muovendosi con prudenza non crede che la partita abbia già un risultato scontato. Nello schieramento parlamentare favorevole alla liberalizzazione, sostanzialmente di area governativa, gli incerti sono numerosi ed anche i contrari, che hanno malamente digerito l’iniziativa del presidente Macri di procedere sul terreno della liberalizzazione. Una sapiente pressione fatta di lucidi argomenti e divisioni potrebbero ampliare le divisioni e far mancare i numeri all’approvazione del disegno di legge.

La seconda anomalia del caso argentino è rappresentata dalla leadership della resistenza alle proposte filo abortive, un mix di settori sociali che travalica i confini confessionali e che vede negli ambienti più umili rappresentati dai così chiamati “curas villeros” la punta di diamante. La presa di posizione dei preti delle baraccopoli argentine contro l’aborto, e gli argomenti addotti, ha avuto un peso notevole nel dare coraggio e iniziativa all’opposizione all’aborto.

I 22 sacerdoti che lavorano nelle villas miseria di Buenos Aires hanno approvato e diffuso un documento che più ancora degli appelli pro-vita ha fatto breccia nell’opinione pubblica. Nel testo rilevano che il tema dell’aborto non era presente nella piattaforma elettorale del governo del presidente Mauricio Macri e che “alcune proposte provenienti da altri settori sociali – riteniamo che questa [dell’aborto] sia una di esse – prendono i poveri come giustificazione per i loro argomenti” con il proposito di mettere in chiaro che quella enunciata dal disegno di liberalizzazione non è una esigenza avvertita nei loro ambienti: “Si parla di tasso di mortalità per aborto delle donne dei quartieri più poveri” osservano nel documento, ma “la prima cosa da fare nei nostri quartieri è combattere la povertà con determinazione determinata e in questo lo stato ha gli strumenti migliori. Con quasi il 30% dei poveri – dietro ai quali ci sono volti e storie – ci sono discussioni che dovrebbero essere prioritarie” dichiarano alludendo al fatto che quella sull’aborto non è una di esse.

Tutti argomenti che sono risuonati puntualmente anche nell’aula del congresso nel primo giorno di discussione, e a cui ha dato voce il vescovo “villero” di Buenos Aires, Gustavo Carrara*. Emblematico il suo intervento.

Buona sera, in primo luogo vorrei dire grazie per la possibilità di essere qui, e per il lavoro di ascoltare attentamente ciascuno degli interventi. Il mio cercherà di seguire lo spirito del documento che abbiamo elaborato con i preti delle villas, lo scorso 16 marzo: “Con i poveri abbracciamo la vita”.

1.Quando viene negato il diritto più elementare – il diritto a vivere – tutti i diritti umani sono appesi a un filo. Perché ogni opzione per la dignità umana ha bisogno di basi che non siano soggette a discussione, al di là di ogni circostanza. Altrimenti, questa opzione diventa molto fragile. Perché se appare qualche pretesto per eliminare una vita umana innocente, appariranno sempre delle ragioni per escludere da questo mondo alcuni esseri umani che disturbano. Appariranno le circostanze.

2. Quando una donna umile dei nostri quartieri va a farsi la prima ecografia, non dirà: «Vengo a vedere come sta l’embrione o il grumo di cellule», ma dice: «Vengo a vedere come sta mio figlio». Potremmo chiederci: che solidità può avere ancora la difesa di una vita umana? Una legge può definire quando essa possa essere eliminata o meno? In cosa si potrà appoggiare una legge che dice: non è legittimo togliere la vita di un essere umano quando ha più di tre mesi, ma si può ucciderlo quando ha poche ore in meno. Se una legge può definire in quale momento una vita umana può essere eliminata, allora tutto è soggetto ai bisogni circostanziali, alle comodità di coloro che hanno più potere o alle mode culturali del momento. 

3. Se pretendiamo definire o valorizzare la persona umana per lo sviluppo che ha, allora entriamo in quella logica che sostiene che ci sono esseri umani di “prima” o “seconda” categoria. Molte volte guardiamo ai Paesi potenti e “sviluppati” del nostro mondo. In molti di loro, l’aborto è legalizzato. E, in molti casi, i bambini che nasceranno con la sindrome di Down vengono scartati. Quanto insegnano questi bambini a coloro che hanno atrofizzata la loro capacità di amare! La logica dei potenti, dei forti, che decidono su chi ha meno possibilità, è la logica dominante nel nostro mondo di oggi. E anche questo, in qualche modo, si sposta sulla questione della nascita di una bambina o di un bambino.

4. Alcune richieste di altri settori sociali – crediamo che quella dell’aborto sia una di esse – prendono i poveri come giustificazione per i loro argomenti. Si disconosce la cultura della maggioranza delle donne povere. Per loro, i bambini sono il più grande o l’unico tesoro, e non sono “qualcos’altro” tra le molte possibilità che il mondo di oggi offre. Questo spiega perché così tante donne povere fanno di tutto e lavorano ovunque per poter crescere i propri figli. Per la loro sensibilità, è particolarmente tragico abortire, e di solito lo sperimentano come una profonda umiliazione, come una negazione delle loro inclinazioni più intime. Se si vuole davvero aiutare, la prima cosa da fare nei nostri quartieri è combattere la povertà con ferma determinazione e in questo lo Stato ha gli strumenti migliori. Con quasi il 30% dei poveri – dietro ai quali ci sono volti e storie – ci sono discussioni che dovrebbero essere prioritarie. Se invece di affrontare questi seri problemi sociali scegliamo di attentare contro la vita nascente, non facciamo altro che aggiungere la morte a questo cupo panorama.

5. Le mamme che soffrono situazioni drammatiche vanno accompagnate e aiutate durante la loro gravidanza, come fanno molte vicine che aiutano in situazioni difficili, quando non c’è nessun altro tranne loro; o come queste comunità che si organizzano nei nostri quartieri e per esempio vanno nelle “ranchadas” (luoghi dove si accampano poveri e senzatetto, N.d.R) per accompagnare coloro che vivono per strada e incontrano ragazze che sono sole e in stato di gravidanza, assicurano loro un posto e continuano a star loro vicine, prendendosi cura delle due vite. E qui segue un’intuizione molto profonda: non è umano favorire un debole contro uno più debole.

6. Ovviamente la proposta di una vita dignitosa non finisce con la nascita della bambina o del bambino. Hanno bisogno del calore di una famiglia-comunità, hanno bisogno di nutrirsi bene, di un giardino e di una scuola, di accedere a cure mediche adeguate, hanno bisogno che i luoghi d’incontro siano spazi sani e felici in cui possano mostrare il loro potenziale, e via dicendo. E se nel nostro paese la maggior parte dei poveri sono bambini e adolescenti, dovrebbero essere allora privilegiati.

7. Noi come mondo adulto, specialmente se occupiamo ruoli di responsabilità e potere decisionale, dobbiamo avviarci sul sentiero dell’austerità della nostra stessa vita. Noi che occupiamo posti di guida, non possiamo ignorare le ingiustizie del nostro mondo e del nostro paese, non possiamo essere coloro che festeggiano, spendono felici e riducono le loro vite alle novità del consumo, mentre le bambine e i bambini poveri stanno a guardare.

8. Come popolo siamo capaci di puntare più in alto e di sostenere un più profondo rispetto per la dignità dei deboli. Anche se potrebbe non sembrare la soluzione più pragmatica, noi argentini possiamo risolvere i problemi senza strappare la vita di un innocente prima che possa difendersi. Potremmo fare la differenza. Non è inoffensivo aprire la porta dell’aborto. Una logica di morte causerà solo più morte e tristezza.

* Vescovo ausiliare di Buenos Aires

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