CINQUE ANNI DI PONTIFICATO/1. La parrocchia “ospedale da campo” di Bergoglio nelle villas miseria di Buenos Aires

Festa religiosa in una villa (Foto Marcelo Pascual)
Festa religiosa in una villa (Foto Marcelo Pascual)

Cos’è la parrocchia per Bergoglio? Che immagine ha di questo nucleo tradizionale con cui si declina la presenza del cattolicesimo nel territorio di una nazione, una città o un paese di periferia? Qual è lo scopo, o gli scopi, che una parrocchia deve perseguire secondo l’attuale Papa? E dove il contenuto di questi interrogativi mostra ai suoi occhi una tendenziale forma realizzativa?

É il punto, tra altri caratteristici del pontificato giunto al suo quinto anno, che ci proponiamo di approfondire nei tre articoli che seguiranno. Il primo dei quali ripercorre i riferimenti di Bergoglio alla parrocchia negli anni da arcivescovo di Buenos Aires e in quelli da pontefice.

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Diciamo subito che le parrocchie che sorgono nelle villas miseria della capitale argentina su cui Bergoglio ha esercitato una responsabilità diretta, come vescovo ausiliare dapprima e come arcivescovo poi, contengono il seme dinamico di una risposta all’idea di parrocchia villera promossa e perseguita da Papa. In tutti questi anni di pontificato, Francesco non ha fatto altro che riproporre e precisare questa idea, sottolineando la grande importanza che la parrocchia ha nel disegno d’insieme del suo magistero.

Per capirlo occorre inevitabilmente partire dall’esame del carattere urbanistico e sociale in cui Bergoglio si mosse durante gli anni argentini[i].

Nel perimetro urbano di Buenos Aires –una città che conta circa tre milioni di abitanti, in maggioranza cattolici- sorgono 186 parrocchie, a cui corrispondono altrettante chiese; a queste si aggiungono 102 cappelle, per una media di 16 mila 500 persone per ogni singolo edificio di culto.

Si tratta di un numero di fedeli potenziali a cui i sacerdoti attivi – 817, tra diocesani e religiosi[ii] – difficilmente potrebbero far fronte, neppure per rispondere alle richieste minime di tipo sacramentale e liturgico.

Una osservazione di Bergoglio del 2010, riproposta in diverse altre occasioni da Papa, mostra quanto Bergoglio fosse consapevole del problema: “Poco tempo fa ho spiegato a un giornalista italiano che, secondo i sociologi della religione, l’area di influenza di una parrocchia ha un raggio di seicento metri, mentre a Buenos Aires la distanza tra una parrocchia e l’altra è, mediamente, di duemila metri”[iii]. Non si tratta di una mera annotazione accademica, non per Bergoglio che ne fa discendere la necessità di uscire, andare incontro alla gente, raggiungerla nella lontananza in cui si trova e convocarla a quel singolare tipo di socialità che è la Chiesa. Il concetto di “Chiesa in uscita”, così ripetuto da papa Francesco sin dal momento in cui si affacciò vestito di bianco dalla loggia di San Pietro, Bergoglio lo esprimeva con una immagine efficace mutuata da un sacerdote amico in una delle rare interviste concesse negli anni da arcivescovo della capitale argentina. “Una volta un prete molto saggio”, racconta agli intervistatori Rubín-Ambrogetti non senza una nota d’ironia, “mi disse che ci troviamo di fronte a una situazione totalmente opposta a quella prospettata nella parabola del buon pastore, che aveva novantanove pecore nel recinto ma andò a cercare l’unica che si era smarrita: oggi ne abbiamo una nel recinto e novantanove che non andiamo a cercare”. La conclusione veniva poi tratta in questi termini: “Sono sinceramente convinto che al momento attuale, la scelta fondamentale che la Chiesa deve operare non sia di diminuire o togliere i precetti, di rendere più facile questo o quello, ma di scendere in strada a cercare la gente, di conoscere le persone per nome”[iv].

La considerazione che Bergoglio mostra verso le parrocchie di Buenos Aires negli anni argentini la troviamo in seguito amplificata una volta eletto Papa della Chiesa universale. La riflessione di Papa Francesco in proposito si muove nella tensione tra due poli, quello di una constatata loro insufficienza missionaria ed il valore che assegna alla parrocchia in quanto tale.

Nella prima esortazione apostolica, l’Evangelii Gaudium scritta con Benedetto XVI, papa Francesco mostra di non rassegnarsi alla condizione della parrocchia “come una struttura caduca». Citando l’esortazione apostolica wojtyliana Christifideles laici, ribadirà che essa «continuerà a essere la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie» (CL 26). La parrocchia di Bergoglio rimanda, come si vede, all’idea di dimora domestica, dove gli abitanti nella loro diversa condizione di maggior o minor bisogno materiale trovano attenzione ed accoglienza. “Il luogo in cui i ministeri e i carismi di tutti i fedeli laici, essenziali per la vita della chiesa, possono essere valorizzati. Essa non è, in primo luogo, una struttura, un territorio, un edificio, una comunità di persone che assolvono ad un certo numero di funzioni sociali. Essa è, soprattutto, la famiglia di Dio, fraternità che ha una sola anima, una casa di familia, fraterna e accogliente; è la comunità dei fedeli”.

In Bergoglio la parrocchia è il nucleo primordiale della struttura della Chiesa, il cui valore perdura ai nostri giorni non superato da altre forme di declinazione di una presenza territoriale che si proponga di evangelizzare le città degli uomini. In essa, come vedremo più avanti, gli stessi movimenti ecclesiali nati dopo il Concilio, come le associazioni più tradizionali e finanche le prelature, trovano una loro ragion d’essere e lo spazio per la loro missione negli ambienti più secolarizzati verso cui li orienta il rispettivo carisma.

Nella stessa esortazione post-sinodale citata dal Papa argentino, Giovanni Paolo II introduce l’etimologia della parola “parrocchia” che Bergoglio assume tale e quale e ripropone in una catechesi impartita agli alunni di una scuola media superiore di Buenos Aires mostrando la derivazione greca di “parrocchia” con la sua allusione finale all’oika, ossia alla “casa”[v]. In questa chiave la parrocchia acquista il carattere di una comunità di fedeli che cammina non solo in uno spazio geografico determinato ma in un contesto umano concreto con caratteristiche singolari a seconda del luogo e del tempo.

Con queste premesse magisteriali non sorprende che il 27 luglio 2016, nel dialogo con i vescovi polacchi nella cattedrale di Cracovia, Bergoglio abbia imbastito un vero e proprio elogio della parrocchia, riproponendola come il luogo più favorevole dove può fiorire l’opera apostolica affidata alla Chiesa: la celebrazione dei sacramenti, la lettura del Vangelo, la catechesi, l’oratorio, la carità e le opere per i poveri e per chi ha bisogno, insomma l’ambito territoriale dove può aver luogo il «corpo a corpo» della vita con la proposta redentrice della Chiesa di Dio.

Un precedente relativamente recente risale alla V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano ad Aparecida che aprì Benedetto XVI il 13 maggio 2007 e concluse Bergoglio una settimana dopo portando a termine la redazione del documento finale[vi]. Il testo dedica alla parrocchia diverse proposizioni di ispirazione bergogliana: “cellule vive della Chiesa (170)”, “luogo privilegiato dove la maggioranza dei fedeli ha una esperienza concreta di Cristo e della comunione ecclesiale (170)”, “rete di comunità e gruppi, capaci di articolarsi per fare in modo che i loro membri si sentano e siano realmente disciepoli e missionari di Gesu Cristo in comunione (172)”, “comunità di comunità” (99). Fino a definirne lo scopo ultimo di una parrocchia: “Ogni parrocchia deve arrivare a concretizzare in segni di solidarietà il proprio impegno sociale nei diversi ambienti in cui si muove, con tutta “l’immaginazione della carità (176)”.

OSPEDALE DA CAMPO. Per introdursi più a fondo nell’esplorazione della parrocchia bergogliana e di quella villera – che ne è la traduzione più esemplificativa – è utile andare a rileggere una delle prime interviste del pontificato, rilasciata da Papa Francesco a soli quattro mesi dall’elezione e nella quale usò una espressione che fece il giro del mondo.

Nel colloquio di sei ore avvenuto il 19, il 23 e il 29 agosto 2014 Francesco tracciò un identikit inedito di sé, senza nemmeno trascurare le sue preferenze artistiche. Nelle risposte il Papa analizzava il ruolo della Chiesa oggi e indicava quelle che a suo modo di vedere dovevano essere le priorità dell’azione pastorale. In un passaggio dell’intervista, riprendendo l’incipit della domanda dell’intervistatore parlò della Chiesa come di un ospedale da campo dopo una battaglia. La risposta che dette in quella occasione al direttore di Civiltà Cattolica, il gesuita Antonio Spadaro, merita di essere citata per intero. «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità». Ed ecco l’espressione fausta: «Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite… E bisogna cominciare dal basso»[vii].

L’espressione “ospedale da campo” ritorna nel settembre del 2014 in un contesto diverso, quello di un convegno internazionale su uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, la quarta costituzione apostolica promulgata da papa Paolo VI. In quell’occasione il Papa avvertì gli astanti a non riempire la Chiesa di regole che allontanano la gente da essa. “Avremo tutto chiaro, tutto ordinato, ma il popolo credente e in ricerca continuerà ad avere fame e sete di Dio”, e l’umanità ferita e sofferente cercherà sollievo altrove”. Quindi ripropose l’immagine di una Chiesa ospedale da campo che si fa vicina e prossima alla gente[viii].

In un importante discorso al clero della diocesi di Roma riunito all’inizio della Quaresima nel 2014 il Papa declinò di nuovo la figura di una Chiesa come ospedale da campo associandola questa volta alla vocazione sacerdotale propria dell’auditorio che lo ascoltava. Ai presenti ricordava che il sacerdote è chiamato ad “avere un cuore che si commuove” poiché “i preti scettici non aiutano la Chiesa”, ed in questo punto della meditazione riproponeva l’idea di Chiesa come “ospedale da campo”[ix].

“Siate l’ospedale da campo più vicino per gli abbandonati del nostro tempo”. L’espressione ritorna nella lettera di ringraziamento inviata il 1 giugno 2016 da Papa Francesco a suor Dorina Tadiello, superiora provinciale in Italia dei comboniani, autrice del libro sul medico morto di ebola in Uganda nel 2000 Matteo Lukwiya[x].

Ricompare di nuovo in un discorso a braccio tenuto ai rappresentanti del Movimento dei Focolari – dunque una realtà di origine extra-parrocchiale – adoperata questa volta per indicare un tratto dell’istituzionalità della Chiesa fondata in Cristo. Se la Chiesa “è un ospedale da campo” –disse davanti a 500 partecipanti dell’Assemblea generale del Movimento fondato da Chiara Lubich – “non abbiamo diritto a riflessioni bizantiniste” perchè “la prima cosa è curare le ferite, no misurare il colesterolo”[xi].

Per il Papa proprio questa qualità della Chiesa, di essere “un ospedale da campo che cura le ferite del cuore, apre le porte, libera” che afferma “che Dio è buono, che Dio perdona tutto, che Dio è padre, che Dio è tenero, che Dio ci aspetta sempre…” distingue una realtà ecclesiale da una ONG “potente, ma non evangelica, perchè gli manca questo spirito, questa povertà, questa forza per curare”.

Da dove viene l’espressione “ospedale da campo” così caratteristica del pontificato di Bergoglio? Qual’è la sua origine?

Dopo aver passato al setaccio i testi del futuro Papa sembra proprio di dover concludere che la dizione sia stata coniata da Bergoglio all’indomani della sua elezione al soglio di Pietro. Non c’è traccia nelle omelie e nelle occasioni pubbliche che Bergoglio come tale, da ausiliare e da arcivescovo. La formulazione lessicale che ne ha dato nell’intervista con Civiltà Cattolica la si può considerare pertanto – salvo smentite di investigatori più attenti – una primizia del pontificato.

Una eco posteriore la si ritrova invece in un documento dei preti delle villas miserias dell’11 maggio 2016 scritto in occasione del 42 anniversario della morte del loro precursore, il sacerdote Carlos Mugica. Dopo essersi dichiarati “continuatori del team di Carlos Mugica” nel sesto dei dieci punti del manifesto redatto per l’anniversario i 28 sottoscrittori dichiarano di “concepire le nostre parrocchie come ospedali di campagna” di voler essere “comunità organizzate attorno alla misericordia”[xii].

SACERDOTE IN UN “OSPEDALE DI CAMPAGNA”. Gustavo Carrara è uno dei curas villeros più frequentati da Bergoglio sin da quando era parroco nella villa di emergenza 11-14 in un’area della capitale chiamata Bajo Flores. Lo ordinò sacerdote Bergoglio stesso nel 1998 e lo stesso Bergoglio, oggi Papa, lo ha elevato al rango di Vescovo ausiliare di Buenos Aires quasi vent’anni dopo, il primo vescovo villero nella storia dei successori di Carlos Mugica. Le “ferite” dei suoi parrocchiani Carrara le cura dal basso, una qualità che Bergoglio ha sempre mostrato di apprezzare.

La sua parrocchia, Santa María Madre del Pueblo, si estende nelle vicinanze dello stadio “Pedro Bidegain”, del Club Atlético San Lorenzo de Almagro, la squadra del cuore del giovane Bergoglio. L’origine della villa miseria che fornisce la popolazione prevalente della parrocchia si deve alla fusione di tre aree marginali – Bajo Flores, 9 de Julio e 25 de Mayo -, a cui vennero poi assegnati i più burocratici numeri 1, 11 e 14. Si estendevano in origine su terreni bassi che si inondavano –e tuttora si inondando– con facilità, dove arrivavano i camion e scaricavano immondizia e detriti.

Com’è avvenuto con la maggior parte degli agglomerati urbani cresciuti sulla spinta dell’emigrazione verso la città-capitale dalle provincie dell’interno anche queste zone si sono popolate negli anni successivi alla grande crisi economica mondiale, e argentina, del 1930, che ha spinto anche paraguaiani, boliviani e peruviani su questo lato della frontiera. È la più grande delle villas miseria di Buenos Aires con una popolazione di 30 mila abitanti, in prevalenza raccoglitori di cartone, barboni, manodopera edile non specializzata, donne di servizio, infermieri, disoccupati, piccoli commercianti di quartiere. Alcuni vivono lì da più di vent’anni e nella loro memoria c’è un anno che segna un prima e un dopo: il 1976. Fu quando i camion spostarono la maggior parte degli occupanti nella Grande Buenos Aires, i bulldozer demolirono tutto e venne la notte e la paura. Ecco perché i residenti di oggi parlano di “prima villa e seconda villa” con la seconda nata dopo il 1984, quando la gente ritornò nei luoghi da cui era stata espulsa.

Gustavo Carrara, studi in teologia e 20 anni di villas, racconta di aver sempre trovato in Bergoglio un alleato: «Si rallegrava che in alcune situazioni, come nelle parrocchie delle villas, la Chiesa fosse quello che oggi chiama “ospedale da campo” dove ci si prendesse cura della fragilità del popolo. Mi ricordo di averlo sentito parlare di un vescovo per lui esemplare, Santo Turibio de Mogrovejo, che passava poco tempo nella sua sede arcivescovile di Lima, e trascorreva la maggior parte del ministero episcopale percorrendo in lungo e in largo la vastissima diocesi su cui esercitava il suo ministero». Vale menzionare che nei suoi 25 anni (1581-1606) come arcivescovo di Lima, Santo Turibio de Mongrovejo ha svolto tre visite alla sua estesissima diocesi durante le quali ha percorso a dorso di mulo più di 20 mila chilometri e si è preso cura di 930 mila fedeli [xiii].

Carrara cita una reazione di Bergoglio che considera espressiva della sua visione di parrocchia nella villa come ospedale da campo. «Ricordo quando ci proponemmo di iniziare a lavorare con i ragazzi di strada che si drogavano. Era il mese di settembre del 2010. Iniziammo a cercare un posto nel quartiere Charrua dover poter concentrare varie attività e cominciare la casa di accoglienza per loro. Per questo motivo quando giravamo per la villa facevamo attenzione agli immobili che potessero fare al caso nostro, e un giorno notammo una fabbrica di prodotti elettronici – si chiamava “Plaquetodo” -, che era stata messa in vendita. Prendemmo appuntamento con il proprietario, gli spiegai cosa volevamo fare e gli dissi che l’edificio ci sembrava adatto allo scopo che ci eravamo riproposti. Lui ascoltò attentamente, si interessò al progetto, poi fece la sua offerta. Mi sembrò da subito inaccessibile, ma per non chiudere lì la cosa presi tempo e gli dissi che a dicembre gli avrei dato una risposta. Il giorno dopo chiamai l’arcivescovo Bergoglio. Gli riferì della fabbrica, gli dissi che mi sembrava adatta, che avremmo potuto trasferire lì alcuni talleres (scuole professionali), e che il piano terra poteva servire per iniziare il lavoro con i ragazzi di strada di cui gli avevo parlato. Quella stessa settimana mi chiamò e mi disse di aver trovato i soldi per comprare quello stabile”[xiv].

Il 27 marzo del 2011 Bergoglio stesso inaugurerà il nuovo edificio dove oggi si impartiscono corsi di elettricità, saldatura, falegnameria, cucitura e disegno e si ricevono e ospitano tossicodipendenti che vogliano lasciare il consumo di droghe. “Qui possono imparare un mestiere, lasciare la droga e costruire le loro vite su una roccia solida”, disse Bergoglio durante l’inaugurazione: “perché dalla droga si può venirne fuori e la forza e la dignità per uscirne la dà il lavoro”.

Offrire aiuto per uscire dalla morsa della droga e lavorare sulla prevenzione sono le due basi dell’azione di Carrara, come anche dei preti della villas. “Per noi prevenzione vuol dire far sì che la gente abbia opportunità concrete di vivere bene. Per questo puntiamo ai centri per la prima infanzia, agli asili, alle scuole elementari e medie, ai club di quartiere, a tutto ciò che può formare leader positivi. Se appartieni alla strada e ti agganciano adulti con proposte negative tu devi poter essere avvicinato con una proposta positiva praticabile, di portata territoriale. Bergoglio ci spingeva a riprendere il controllo del patio, del cortile, come nel calcio è fondamentale non perdere il controllo del centro del campo”[xv].

 


[i] L’ultimo censimento nazionale realizzato nel 2010 stima per Buenos Aires una popolazione di 3.063.728 residenti (2017) con una proiezione per il 2018 di appena cinquemila “bonaerensi” in più (3.068.043) e per il 2020 di settemila (3.075.167), il che permette parlare di una popolazione sostanzialmente stabile con un saldo tra mortalità e nascite, emigrazione e immigrazione tendente all’equilibrio. Con la cintura esterna, la cosiddetta Gran Buenos Aires, il numero degli abitanti del casco urbano della metropoli argentina si duplica.

[ii] Fonte AICA, Agencia Informativa Católica Argentina

[iii] Jorge Bergoglio. Papa Francesco. Il nuovo Papa si racconta. Conversazione con Sergio Rubín e Francesca Ambrogetti. Salani Editore, Milano 2013, p.72. Anche in: El Jesuita. La historia de Francisco, Vergara

[iv] Ibid. Il nuovo Papa si racconta… p.71

[v] Jorge Mario Bergoglio: «Paroika significa etimologicamente “il tempo di permanenza o di residenza”. Il verbo paroikein significa: “vivere vicino, insieme a, accanto, stare temporaneamente, essere di passaggio, pellegrinare”. Paroikaos è “lo straniero domiciliato”. Molti autori cristiani utilizzano il verbo parokein per dare l’idea di una presenza passeggera dei cristiani nel mondo».

[vi] V Conferenza Generale dell’episcopato latino-americano e dei Caraibi, Documento conclusivo, Aparecida, 13-31 maggio 2007, pp.278

[vii] Antonio Spadaro, Intervista a Papa Francesco, La civiltà cattolica, Anno 164 nr. 3918, Roma 19 settembre 2013, pp. 449-477

[viii] Incontro internazionale “Il progetto pastorale di Evangelii Gaudium”, Roma 19 settembre 2014.

[ix] Incontro con il clero della diocesi di Roma, Aula Paolo VI, 6 febbraio 2014

[x] Dorina Tadiello, Matthew Lukwiya, un medico martire di ebola, Editrice Missionaria Italiana, Verona, 2015

[xi] Discorso a braccio durante l’udienza a 500 partecipanti dell’Assemblea generale del Movimento dei Focolari, Città del Vaticano, 14 giugno 2017

[xii] 42° Aniversario del martirio del padre Carlos Mugica, Identidad y compromiso como curas villeros de Capital Federal y Gran Buenos Aires, 11 maggio 2016

[xiii] Aciprensa.com/wiki/Santo_Toribio_de_Mogrovejo_(II)

[xiv] Dichiarazioni raccolte l’8 gennaio 2016

[xv] Ibidem, Dichiarazioni

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