L’ORA DELL’ESERCITO. Il presidente del Brasile Temer manda i militari nelle strade di Rio de Janeiro per frenare la criminalità. Un provvedimento inedito che divide gli specialisti e la Chiesa

Paesaggio con mimetica (Foto Reuters-Pilar Olivares)
Paesaggio con mimetica (Foto Reuters-Pilar Olivares)

Non si può dire che il governo del presidente Michel Temer non abbia preso i brasiliani di sorpresa. Rio de Janeiro non aveva ancora smaltito l’ebrezza dei festeggiamenti del moltitudinario carnevale carioca, che centinaia di saldati con armamento pesante si dispiegavano nei punti più caldi della città. L’eco delle battaglie politiche di inizio 2018 per l’approvazione della riforma sulla previdenza non si erano ancora spente ed ecco il governo più impopolare degli ultimi tempi annunciare un inaspettato – e improvvisato – intervento militare nella seconda città del Brasile. Ben pochi, in quel momento, conoscevano la portata del provvedimento che inviava i soldati nelle strade e i limiti di protocollo e tempi entro cui si sarebbe dovuto svolgere. Poi, di pari passo al rumore degli anfibi che percuotevano le strade di Rio, sono arrivate le spiegazioni.

L’intervento militare delle forze armate è una misura molto più ampia della Garantia da Lei e da Ordem (letteralmente Garanzia della Legge e dell’Ordine), e si dà quando un governatore richiede al potere centrale l’invio di truppe federali. Con l’approvazione di questa legge, valida per tutto il 2018 e con costi pari a 14 miliardi di reais (4.375 miliardi di dollari), il governo federale assume il controllo del Ministero della sicurezza pubblica, della Polizia Civile e Militare, del Corpo dei pompieri e dell’Amministrazione penitenziaria dello stato di Rio de Janeiro. In pratica, Rio de Janeiro avrà due governatori: il generale Walter Braga Netto, designato da Michel Temer, che presiederà tutto ciò che riguarda la sicurezza pubblica, la polizia e la lotta al crimine, e Luiz Fernando Pezão, governatore eletto oramai alla fine del mandato, che si occuperà del resto: educazione, salute e finanze.

È la prima volta da quando è entrata in vigore la Costituzione del 1988 che in Brasile viene attuata una misura estrema di questa portata.

La decisione di ricorrere all’intervento militare federale è stata presa all’alba di venerdì 16, nella riunione di Temer con i ministri e il governatore Pezão, che ha appoggiato la misura dopo settimane di carnevale contraddistinte da aggressioni, rapine e saccheggi a mercati di tutta la città, tutti segnali di una violenza evidentemente fuori controllo. I membri del governo Pezão affermano che quest’ultimo stava pensando già da tempo in una tale decisione. Lo chiedevano a viva voce i suoi parlamentari nell’Assemblea Legislativa che puntavano il dito sul deteriorato rapporto tra il Ministero della sicurezza pubblica e la polizia Civile e Militare. Un articolo pubblicato dall’influente rivista Época, attribuiva parte della crisi al boicottaggio della polizia nei confronti del gruppo comandato da Roberto Sá, segretario della Sicurezza Pubblica allontanato dopo l’intervento delle truppe federali. La polizia si lamentava della perdita di potere dei commissariati locali nelle indagini sulle morti occasionate in scontri con le forze dell’ordine, che sono state trasferite alla Divisione Omicidi, creata da José Mariano Beltrame, il predecessore di Sá.

L’uso delle Forze Armate nelle strade di Rio non è comunque una novità. È dalla fine del 2010 che i militari occupano le favelas dominate da trafficanti di droga armati in abbondanza di fucili, mitragliatrici e granate. Ma tali dispiegamenti nelle favelas sono sempre durati poco tempo e il potere di decisione in tutte le aree era sempre rimasto nelle mani del governatore – in nessuno stato brasiliano i militari erano mai stati reclamati da un governo civile per il controllo di un’area. Tutte le occupazioni manu militari fino ad oggi hanno anche avuto uno stesso epilogo: quando i militari si ritirano dall’area, i malviventi tornano puntualmente a controllare il territorio. L’occupazione più recente, quella del mese di settembre nella favela di Rocinha a sud di Rio, è durata una settimana; poi le truppe si sono ritirate lasciando dietro di sé una comunità che continua a vivere tra una sparatoria e l’altra.

L’intervento militare federale scommette adesso di poter cambiare una tale situazione. Il punto è che fino ad ora non sono ancora chiari i dettagli dell’intervento: i militari conoscono le caratteristiche peculiari della violenza nello stato di Rio de Janeiro? Che strategia useranno per combatterla? In che punti l’occupazione sarà prioritaria e più severa? Come si comporteranno con la fazione criminale egemonica nello stato, che in certe regioni è alleata della milizia?

Nelle interviste rilasciate sino ad ora il generale Braga Netto si è limitato a dire che sta ancora discutendo la pianificazione della missione e che non può anticipare niente. Il presidente Temer, dal canto suo, ha dato risposte generiche, come quella che il crimine organizzato controlla Rio ed è diventato una metastasi che esige delle “risposte dure”. Per adesso sono state annunciate solo due misure: il blocco degli accessi a Rio de Janeiro per impedire il flusso di armi e droghe, e l’uso delle truppe dell’Esercito per eseguire dei sopralluoghi nelle carceri e in due favelas della zona nord. Ad ogni modo, un sondaggio telefonico realizzato dall’istituto Ibope qualche ora dopo l’annuncio dell’intervento ha mostrato che l’83% della popolazione di Rio approva il provvedimento, mentre il 12% è contrario.

L’intervento federale militare è sostenuto anche da specialisti, come il ricercatore Christian Lynch, professore dell’Università Statale di Rio de Janeiro (UERJ), secondo cui lo “stato calamitoso della sicurezza pubblica nella città di Rio de Janeiro e nella Baixada Fluminense troverà una soluzione duratura solo con una nuova federalizzazione dell’area”. Marcelo Itagiba, ministro della Sicurezza pubblica di Rio de Janeiro tra il 2004 e il 2006, vede con favore i poteri assegnati al generale Braga Netto: “Avrà ampio margine per gestire la macchina della sicurezza pubblica senza ingerenze politiche che possono pregiudicare il suo lavoro”. Itagiba spera che le operazioni vengano realizzate da gruppi addestrati per evitare “effetti collaterali”, unità altamente professionali capaci di veri e propri “interventi chirurgici per estirpare il cancro e andare via”.

Le Forze Armate sono addestrate per annientare nemici, non per combattere criminali, controbatte Luiz Eduardo Soares, antropologo, uno dei maggiori specialisti in sicurezza pubblica del Brasile. “La formazione e l’addestramento delle truppe sono completamente diversi. La missione delle Forze Armate è la difesa del paese, del territorio nazionale, non la sorveglianza della città. Temo che vedremo andare in fumo un’altra illusione”, pronostica senza troppe sfumature.

Roberto Precioso Júnior, successore di Marcelo Itagiba al Ministero della sicurezza pubblica di Rio, considera “valido” l’intervento militare per combattere la violenza “che cresce a Rio da decenni”. Ma non crede che la risolverà: “Dobbiamo combattere in modo sistematico per due o tre generazioni per vedere dei miglioramenti in termini di criminalità” sostiene Precioso: “Ma, almeno, stanno cercando di fare qualcosa e hanno adottato una misura radicale necessaria”.

I quattro specialisti convergono nel ritenere che la misura dell’intervento militare federale è stata concepita in modo sbagliato perché suggerisce che il problema della sicurezza pubblica è un qualcosa che deve essere limitato agli organismi dell’area, senza essere inserito in un contesto più grande. Secondo loro, la mancanza di appoggio da parte degli altri ministeri statali è uno dei motivi che hanno fatto sì che il programma delle Unità di Polizia Pacificatrice (UPPs), che compie un decennio quest’anno, entrasse in una fase di retrocessione, dopo essere stato visto come una strada maestra verso un futuro con meno violenza nello stato.

Chiesa. La Conferenza dei Vescovi del Brasile non si è pronunciata in forma ufficiale, ma alcuni vescovi di Rio de Janeiro hanno commentato a titolo personale l’intervento delle truppe federali a Rio de Janeiro. Per Don Orani Tempesta, l’arcivescovo in carica della seconda città brasiliana, la situazione a Rio ha raggiunto un livello “talmente assurdo che le persone hanno paura ad uscire di casa”. Non esita a qualificarla come “una guerra, considerata la quantità di armi che si trovano e la quantità di poliziotti uccisi ogni anno” afferma l’arcivescovo, “ma credo che potremo vedere dei risultati solo dopo un po’ di tempo”. Don Orani Tempesta da quando ha assunto l’arcidiocesi di Rio de Janeiro nel 2009 è stato prima aggredito con un’arma puntata in testa, poi si è messo in salvo da una sparatoria per strada e gli è stato rubato l’anello cardinalizio. Dalla violenza non si è salvata neppure la Residência Assunção, che ha ospitato Papa Francesco nel 2013 durante la Giornata Mondiale della Gioventù, colpita dai proiettili sparati da alcuni trafficanti in fuga dalla favela Rocinha nel settembre scorso. Don Orani è cauto quando si riferisce all’intervento militare nelle strade di Rio: “Non sono un tecnico e non so quindi cosa sia meglio e cosa no”, afferma, ma è importante una risposta: “Che le forze armate facciano il loro lavoro, e allo stesso tempo noi, della società civile, non possiamo aspettare il prossimo governo e dobbiamo collaborare al sostegno sociale dei giovani”. Don Mauro Morelli invece, vescovo emerito della diocesi di Duque de Caixas, dà voce a chi è contrario all’intervento federale: “Il problema della sicurezza pubblica a Rio e in Brasile non si risolve sparando sui poveri” argomenta. “La soluzione passa per aumentare la presenza dello Stato con politiche pubbliche efficaci in tema di salute, educazione, alloggio, lavoro, salario degno, pensione, tempo libero…”.

Traduzione dal portoghese di Alessandra Semeraro

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