I VALORI DI CUI CUBA HA BISOGNO. Verità, libertà e giustizia. Ma soprattutto carità. Se vuole sopravvivere come società organizzata ed avanzare verso un maggior progresso materiale

Orlando Márquez a Cuba, nello storico edificio di l’Avana dedicato a Felix Varela. Di fronte la copertina del libro “Chiedo la parola”
Orlando Márquez a Cuba, nello storico edificio di l’Avana dedicato a Felix Varela. Di fronte la copertina del libro “Chiedo la parola”

Orlando Márquez ha diretto “Palabra Nueva”, l’unico media indipendente di peso a Cuba, fino all’aprile del 2016, quando presentò le dimissioni dopo 25 anni ininterrotti. La pagina web della rivista fece conoscere al mondo gli appunti manoscritti dell’intervento di Bergoglio nel conclave che lo elesse Papa nel marzo 2013 con le sue considerazioni sulla Chiesa e il papato che, forse, furono decisive per succedere a Benedetto XVI. Il manoscritto lo “regalò”, ad elezione terminata, all’arcivescovo di l’Avana Jaime Ortega che gliene fece richiesta. Márquez ha passato il fior fiore dei suoi anni di fianco all’arcivescovo di l’Avana e c’era anche quel mercoledì 17, il giorno dell’annuncio del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba fatto da Obama e Castro in contemporanea. Fu lui a dar la notizia al cardinal Ortega dello storico riavvicinamento. Con tutto quello che ne è seguito, a cui discretamente ha preso parte. Si capisce che di cose da dire ne abbia molte e adesso “chieda la parola” per raccontarle. Ha iniziato a farlo con un libro appena pubblicato, che raccoglie 50 articoli usciti in Palabra Nueva tra il 1993 e il 2015, anni cruciali nella storia di Cuba. Il libro è stato pubblicato da poco dalla casa editrice “Universal” di Miami, proprietà di Juan Manuel Salvat, un cubano esiliato che ha dedicato la vita a pubblicare il più possibile su Cuba e i cubani. L’articolo che anticipiamo in italiano per gentile concessione dell’editore è uscito nel giugno 2014 su Palabra Nueva con il titolo “Valores”. Del tutto evidente l’attualità per Cuba oggi.

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All’angolo di una strada dell’Avana, un cartellone propagandistico –i nostri non sono pubblicitari– mostra un disegno con il seguente messaggio: “Fa il bene e non guardare a chi”. Suona bene al leggerlo e all’ascoltarlo, o piuttosto al ri-ascoltarlo. E’ una di quelle vecchie frasi che sono cadute in disuso quando sono state messe in questione e sono terminate molte tradizioni, il tempo delle cerimonie e delle formalità, il gusto di vestirsi con decenza, il rispetto per gli anziani e il pane con “frita” (un caratteristico hamburger cubano, n.d.t.). Quest’ultimo nutre il corpo, o soddisfa lo stomaco, ma quanto elencato anteriormente nutre lo spirito della società, protegge la convivenza e contribuisce alla pace sociale.

La spinta rivoluzionaria non sopporta i canoni stabiliti, ha bisogno – come indica il suo nome – di soffocare le tradizioni, e disordinando la società stabilisce il nuovo ordine sociale. A questo “nuovo ordine” sorto dal disordine imposto sulla vecchia società, siamo stati convocati tutti noi cittadini, bambini, giovani e adulti. Nei bambini e nei giovani l’appello ha avuto un maggiore impatto, perchè vivere la “liberazione” dalle norme sociali e dal controllo paterno è sempre risultato gradito ai giovani, e qua è stato per molti il modo giovanile di vivere la trasformazione rivoluzionaria e di farne parte.

La mobilitazione iniziale in favore dell’alfabetizzazione diede uno scossone a buona parte dello spirito classista che ancora persisteva. La luce del lampione cinese che illuminò l’alfabetizzatore e l’alfabetizzato generava l’ombra sublime della solidarietà e della dignità che rende gli uomini uguali. Fu una buona mobilitazione e diede buoni risultati. Però, dato che la rivoluzione doveva essere permanente nel tempo, anche la mobilitazione doveva essere permanente, e i risultati già non furono gli stessi, per i mobilitati e per la società mobilitata. E come dice Gesù nel vangelo, “lo spirito è forte, ma la carne è debole”. Non mancò la buona predisposizione, ma quando la carne non potè sopportare il peso richiesto, quando l’esigenza del nuovo ordine e delle sue mobilitazioni superò la capacità umana del debole a cui fu impossibile uguagliarsi con il più forte, quando l’appello alla mobilitazione entrò nella coscienza stessa e violentò il terreno sacro di ciò che è personale e familiare, anche lo spirito di molti si indebolì e imparò a mentire, perchè era l’unico modo in cui il corpo poteva “rispondere” all’appello ed essere all’altezza richiesta dal nuovo ordine: la menzogna si propagò e ci contagiò. Oggi la chiamiamo doppia morale.

La frode in un esame di matematica per l’ingresso all’Università è una notizia che è stata pubblicata nell’aprile scorso, però è una pratica molto frequente da tempo sebbene non si pubblicasse. Dopo aver preteso per decenni dai maestri che non ci fossero alunni bocciati per mantenere alto il livello di promozione scolastica, o aver fatto poi dipendere lo stipendio dal livello di promozioni, cosa che aprì le porte all’opportunismo di alcuni professori per ottenere “regali” in cambio delle promozioni, o ricattare in modo denigrante gli alunni con lo stesso proposito, siamo riusciti a mandare alle scuole superiori e alle università un numero considerevole di studenti le cui valutazioni non erano il risultato dello sforzo personale che sottrae ore al sonno e agli allenamenti, e abbiamo mantenuto nelle loro funzioni un buon numero di professori immorali , molti di loro ex alunni che ora mettevano in pratica quello che altri professori avevano fatto loro anteriormente. Perchè la sorpresa davanti a questa frode? Per anni abbiamo distolto lo sguardo, abbiamo cambiato la messa a fuoco e abbiamo guardato da un’altra parte, verso qualcosa di bello, però il mostro della falsità ha continuato a crescere fino a raggiungere proporzioni che la lente non poteva più nascondere, era ormai obbligata a mostrarlo.

In questo momento è possibile che “i cinque professori”, e alcuni altri, siano stati sanzionati. E il fatto è riprovevole e condannabile, ma per chi è cresciuto nella frode quello morale è un peso non necessario, un fastidio per la vita quotidiana e per la sopravvivenza. E ormai non importano qui gli stipendi bassi o i fabbisogni materiali basici, perchè una volta che si attraversa ripetutamente la linea che separa ciò che è corretto da ciò che è scorretto, involontariamente o volontariamente, per sopravvivere o per obbedire a un ordine, non ci saranno più interrogativi etici posti alla coscienza individuale o collettiva, tutto può essere relativo, la verità è ignorata, l’autorità è schernita alle spalle anche se di fronte la si applaude, l’inganno sarà comune e ordinario, tanto come respirare e “risolvere”. L’amoralità, come una malerba sociale, ci provoca e cerca di prevalere.

Quasi tutti noi siamo stati vittime e complici dell’inganno e della frode. Commettevamo una frode quando a scuola nelle attività agricole dichiaravamo falsamente di aver compiuto le norme lasciando dietro di noi un danno che causava angoscia al contadino; commette una frode il giovane che dichiara la sua vocazione sacerdotale e aspetta la prima occasione di studiare all’estero per trasformarsi in un migrante; frode è assicurare ai cubani più poveri o con minori entrate che il trasporto pubblico migliorerà quando i cubani con maggiori risorse comprino liberamente i mezzi di trasporto, sapendo che questo non succederà mentre si mantengano questi prezzi assurdi, che dovrebbero per lo meno far vergognare i fabbricanti, dato che non fanno vergognare coloro che li vendono o che hanno deciso tali prezzi.

La parola frode ha molti sinonimi: truffa, falsificazione, imbroglio, furto, inganno, trappola, simulazione, fallacia…, e un solo antonimo è sufficiente: verità. E’ la verità quello che dobbiamo cercare e consolidare, perchè solo così arriveremo alle cause dei mali che ci affliggono. Se solo continuiamo a licenziare o a incarcerare defraudatori e ladri, senza sforzarci per eliminare le cause che li spingono a delinquere, continueremo ad arare il mare. Combattere solo gli effetti non impedirà la diffusione del vizio e del male sociale, se non si agisce sulle cause. Tutti dobbiamo sentirci responsabili, o per lo meno assumere la quota di responsabilità che ci spetta e agire secondo le nostre possibilità.

Abbiamo ascoltato un appello a riscattare valori, vale a dire, a recuperare qualità personali e sociali perdute. I valori possono essere attributi inculcati agli individui dalla famiglia e dalla società nei primi anni di vita, e restano come impronte marcate a fuoco nell’anima dell’essere umano e condizionano il suo atteggiamento e la sua risposta alle sfide e alle provocazioni della vita personale e sociale, però si possono perdere. E quando non si inculcano valori, si inculcano controvalori, che sono sempre dannosi e anch’essi permangono.

Valori come onestà, lealtà, rispetto, solidarietà, tolleranza, tra altri, sono utili per la convivenza sociale. Ma se non si tratta adesso di meri slogan, allora dovremmo andare un po’ più al fondo, fino ad accettare certi valori che sono inerenti alla nostra condizione umana, valori che sono la fonte da cui scaturiscono altri valori individuali e sociali che vogliamo recuperare. La Dottrina Sociale della Chiesa considera questi valori come di alta priorità per combattere quello che chiama il peccato sociale, vale a dire, il male sociale, e per promuovere la sana convivenza, il progresso e la pace sociale. Questi valori, che non escludono nessun altro valore, ma piuttosto li assumono tutti e li rendono possibili, sono: la verità, la libertà, la gustizia e la carità.

La convivenza tra gli esseri umani, quando si basa sulla verità, è sana e feconda, e ci allontaniamo dall’arbitrarietà e dal conflitto quando cerchiamo di risolvere i problema sociali in un modo conforme alla verità che sta all’origine di questi problemi. La trasparenza e l’onestà, sia a livello personale che su scala sociale, sono fondamentali per la sana convivenza, e in questo i mezzi di comunicazione svolgono un ruolo essenziale. Una popolazione come quella cubana, molto allenata dalla scuola dei libri e della strada, che possiede una natura acuta e vivace, coglie rapidamente la menzogna o la manipolazione dell’informazione, la amputazione della verità, e la differenza tra ciò che è di dominio pubblico e ciò che viene pubblicato.

La libertà è sacra ed è segno della sublime dignità di ogni persona (GS. 17). Tutti abbiamo diritto ad essere considerati liberi e responsabili, sia che crediamo che è la volontà di Dio o no. La libertà di ciascuno, d’altra parte, solo si esprime compiutamente quando si rispetta la libertà dell’altro, e questo crea vincoli di reciprocità che uniscono e generano rispetto, per chiudere così le porte all’individualismo arbitrario, dato che la libertà, come valore, deve essere anche espressione di rifiuto di tutte le azioni negative che attentino contro la dignità individuale e sociale. Tenendo in conto quanto detto, la libertà, come qualsiasi altro valore, ha bisogno di essere riconosciuta e praticata pubblicamente, in modo che ogni persona possa realizzare o cercare responsabilmente la propria vocazione, esprimere le sue idee, decidere pienamente della sua vita nell’aspetto religioso, economico, culturale, sociale e politico, sempre dentro di un giusto assetto legale.

La giustizia, per un cristiano, manifesta la volontà di dare a Dio e al prossimo quello che è loro dovuto (CIC 1807). Però, che siamo credenti o non credenti, possiamo essere d’accordo sul bisogno di riconoscerci tutti come persone degne, con medesimi diritti e doveri, meritevoli di essere trattate in modo giusto. Quando, in condizioni come le attuali, la dignità e i diritti dei cittadini possono permanere subordinati a criteri utilitaristici di tipo politico o economico, la giustizia come valore personale e sociale richiede particolari cure per non essere ridotta o distorta. Sebbene sia stata definita, ridefinita e attualizzata secondo le epoche (giustizia commutativa, distributiva, legale, sociale, riparatrice, ecc.), la giustizia non è una semplice norma accademica, dato che ciò che è giusto è inerente alla persona e alla sua dignità, che viene sempre prima della legge.

La verità, la libertà e la gustizia sono così valori che sostengono l’edificio umano e sociale. Questi valori sono garanzia di pace e di convivenza ordinata, dato che tutti condividiamo la medesima natura razionale, aspirazioni, interessi, spazio e tempo, senza che nulla suggerisca che alcuni sono superiori ad altri, qualsiasi sia il nostro posto nella società. Ma tutti questi valori, a loro volta, hanno bisogno di quell’altro che la Chiesa chiama carità. Non è neppure necessario essere credenti per riconoscere l’amore come l’unica virtù capace di richiamare e mobilitare la bontà presente in ogni essere umano.

Se potenziassimo e privilegiassimo questi valori, fonte originaria di altri valori, credo che potremmo risparmiarci molte fatiche e delusioni, scontri e conflitti, attacchi e castighi, e perfino approfittare meglio delle nostre limitate risorse economiche. Potremmo avere e condividere una vita e una società migliori. E non sarebbe una cattiva idea promuoverli nei nostri cartelloni propagandistici.

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi

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