L’INCREDIBILE VITA DI FRATE “APAKONE” TRA GLI INDIOS DEL PERÚ. Il suo nome è risuonato nella recente visita del Papa. L’autore di questo articolo lo ha conosciuto

José Álvarez Fernández, “Apaktone”, con un gruppo di indios mashcos
José Álvarez Fernández, “Apaktone”, con un gruppo di indios mashcos

Lo chiamavano Apaktone, che nella lingua degli abitanti di quella fitta selva significava “papà saggio e buono”. Domenicano dell’Ordine dei Predicatori, era stato ordinato sacerdote nel 1916 in Asturia, sua terra natale, e un anno dopo si trovava in Perù, dove si sarebbe convertito nel migliore amico degli indigeni che vivono sulle sponde del fiume Madre de Dios. In questi giorni lo hanno ricordato in occasione della visita di papa Francesco a Puerto Maldonado e del suo incontro con i leader dei popoli originari nel Centro pastorale chiamato appunto, in suo onore, Apaktone. L’autore di questo articolo lo conobbe e narra qui un’accattivante avventura insieme.

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Su quattro tavole di legno malmesse sopra le assi di un tetto di foglie di palma, è abbastanza scomodo dormire, sedersi o fare qualunque cosa, meno parlare. E Josechu, il vecchio Padre Josechu per i suoi amici, ha sempre cose interessanti da dire sulla sua lunga vita nella foresta “Madre de Dios”, tra i suoi principi e principesse, fossero questi esejas, toyeris, mashcos, amahuacas, yaminahuas.

Lui e il suo collaboratore sono lì da due giorni, sotto il tetto di palma della casa, aspettando che il livello dell’acqua scenda e pregando che smetta di alzarsi, durante quella tremenda inondazione del 1960 a Madre de Dios. Non sono soli, alcuni piccoli abitanti del bosco circostante si sono rifugiati lì, tra le assi. Sono tutti spaventati e guardano gli esseri umani senza muoversi. Josechu, come sempre, si accarezza la barba e, a volte, la avvicina alla punta delle labbra come se fosse una caramella. E racconta, si compiace nel farlo e diverte il suo accompagnante. Spiega come arrivò a Madre de Dios dall’Asturia, Lima, Puno, Sandia, Candamo, quella strada lunga e difficile dove si compravano mule per viaggiare e i mulattieri recuperavano il prezzo con quelle che sopravvivevano al ritorno.

Ricorda le canoe a remi e “tangano” (un remo grande e forte, N.d.T.) controcorrente in cerca dei mashcos, vestiti con un abito bianco correndo il rischio, nel caso di cadere nell’acqua, di andare a fondo nel fiume trascinati dal peso dei propri vestiti. Questa volta, almeno, la canoa era equipaggiata con un fuoribordo Archimedes svedese. Quando arriva alla spianata dove si trovano le case del gruppo di mashcos, si vede davanti molti uomini nudi, in fila con arco e frecce nelle mani e aspetto ostile. Josechu scende e, mentre cammina verso la radura, sente accendere di nuovo il motore e vede la canoa andarsene e lasciarlo lì da solo. Gli uomini lo accerchiano, lo tengono in mezzo a loro e iniziano a togliergli vestiti e scarpe fino a spogliarlo del tutto. Escono dalle case anche donne e bambini e lo guardano e riguardano tutti, lo toccano, lo pizzicano e ridono, ridono come bambini che giocano. Anche Josechu ride con loro e si gira sul petto il crocifisso appeso sull’abito a una piccola catena. Cristo non è mai stato su un Gólgota più nudo. Josechu sorride e inizia a parlare con loro, fraternizzano e finalmente si siedono a mangiare tutti in cerchio. Ora gli è passato lo spavento e si sente sempre più contento, gli parla, fa domande e risponde. Loro sono sorpresi di quanto sia velloso. Se è peloso e non glabro come loro, perché si veste? Perché non lo confondano con un animale del monte? E riprendono a ridere e Josechu ride con loro tutto il tempo. Quattro giorni dopo si sente nuovamente il motore fuoribordo e la canoa si avvicina alla riva, ma viene trasportando cinque gendarmi (antecessori della Guardia Repubblicana) che arrivano ben armati e saltano sull’argine.

Josechu si avvicina al gruppo, agitando le braccia e gridando che sta bene e che non avanzino ulteriormente. I mashcos si sono ritirati nascondendosi nel bosco. Finalmente Josechu raccoglie i suoi indumenti e si riveste, i gendarmi ritornano verso la canoa e i mashcos escono dai nascondigli e si lasciano vedere. Josechu toglie dalla canoa le cose che aveva portato per loro dal primo giorno e le dà agli uomini, cose semplici, ma utili. Il giorno dopo, l’addio. Scendono lungo il fiume, e anche quando si trovano ben lontani, si possono ascoltare i canti, mentre il fuoribordo, muto, risparmia gasolio. Josechu poco dopo inizia a fondare una missione.

Prima è ritornato in Asturia, la sua terra, carico di foto dei suoi principi e principesse, nudi, in bianco e nero e in technicolor. Gli asturiani, mesti come tutti ai tempi di Franco, danno al frate tutti i vestiti che potevano trovare, inoltre conserve, semi, maceti, attrezzi. E Josechu torna a fondare la sua missione tra i mashcos. Terminata la cappella nello stile delle abitazioni mashcas, invita il vescovo per inaugurarla con una messa. Il giorno della messa d’inaugurazione, Josechu pensa che il monsignore si possa infastidire, quindi insegna alle donne a usare qualche vestito asturiano per assistere alla cerimonia. Fanno come lui dice ma quando il vescovo, vestito solennemente, inizia la messa, i bambini si avvicinano alle donne e iniziano ad alzar loro le gonne per vedere che cosa nascondono e perché. La liturgia si trasforma presto “in una invasione di pappagalli in una piantagione di mais”, come si dice, tra chiasso, grida e risate. Da quel momento Josechu non intervenne mai più in questioni di “vestiti o svestiti”.

Sulla tettoia di foglie di palma continua a rievocare dei ricordi, anche alcuni che mai più tornerà a menzionare, come la tragedia della persecuzione tra gli Esejas di Palma Real e gli Heath e la spaventosa morte del bimbo. Cambia il corso della conversazione, per ricordare come si mangia bene a casa del compagno che è con lui sulla tettoia, anche se la minestra, se è troppo calda, lui la raffredda con “acqua acustica liquida o solida”, i gelati li lascia sciogliere e quando arrivano i bambini Esejas portandogli un cono pieno di gustosi vermi di palma alla brace, esclama: “che buoni, sono molto buoni, provateli voi”, e li distribuisce di bocca in bocca tra gli stessi bambini e vi aggiunge delle caramelle che porta sempre nelle tasche. Quando si abbasserà il livello dell’acqua dirà una messa nella cappella dove vivono gli Eseja, ma prima bisognerà bruciare del peperoncino vicino all’altare per spaventare i pipistrelli che riposano lì tutti i giorni. Il suo collega gli ricorda che l’ultima volta che hanno fatto ricorso a questa forma di fumigare, non solo i pipistrelli, ma anche i fumigatori sono corsi fuori tossendo e starnutendo, con la gola e gli occhi che gli hanno continuato a bruciare per ore. Ride, è da moltissimo tempo che non si arrabbia, sa solo ridere e sorridere, succeda quel che succeda. E non si vuole operare dell’ernia: “Come posso presentarmi davanti al Signore senza la mia ernia? Mi dirà che sono stato molto presuntuoso pensando al mio bene e non a quello degli altri. Un piccolo sacrificio è poca penitenza”. Ma il superiore gli ha ordinato di operarsi e lui è soggetto a “santa obbedienza”. Si sa già che quando si comanda qualcosa nell’Ordine dei Predicatori, bisogna obbedire e la responsabilità ricade su chi ha dato l’ordine. Quindi, si opererà quando tornerà a Lima, dove non andrà più passando per Candamo (nome della selva), ma via aerea.

“Padre Josechu, siamo arrivati”, e il rumore del motore sempre più vicino risulta essere quello della barca di soccorso. Scendendo tra le travi di legno rotonde, entrambi i naufragi mettono piede nella canoa. Gli insetti di montagna che li accompagnano li guardano nostalgici. Dovranno aspettare che l’acqua scenda del tutto per tornare al bosco e completare quello che la catena alimentare della natura vuole da loro: che si divorino l’un l’altro. Mentre si allontanano con la canoa schivando i pali che scendono galleggiando sul fiume, la vista di Madre de Dios dall’acqua si spinge molto più in là del solito. Trecento chilometri sono ben più dei 700 metri di quasi sempre. Ha piovuto molto.

*Caretas (Perù)

Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio

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