AD ALTA QUOTA CON FRANCESCO. Le priorità del Papa per l’America Latina. I cattolici e la politica: guardando all’incontro di dicembre a Bogotá. Conversazioni con Hernán Reyes

Hernán Reyes negli studi di Radio Vaticana e la copertina del libro-intervista al Papa
Hernán Reyes negli studi di Radio Vaticana e la copertina del libro-intervista al Papa

Hernán Reyes Alcaide è un giovane giornalista dell’agenzia di stato argentina Telam. È a Roma da poco tempo, dall’aprile del 2015 esattamente e ha già intervistato il Papa. C’è riuscito con lo zampino di un uruguayano. Il libro-intervista al Papa si apre con Methol Ferré e si chiude con questo filosofo dell’altra sponda del Rio de la Plata così stimato da Bergoglio. Reyes racconta che l’idea delle conversazioni sull’America Latina è venuta durante un volo papale nel giugno del 2016, complice Methol Ferré…

“In effetti, l’idea è iniziata sul volo per l’Armenia. Nei giorni precedenti, il figlio di “Tucho” Methol, Marcos, che è mio amico, mi aveva inviato un breve video con delle immagini sull’archivio che riunisce lettere, opere e manoscritti di suo padre che stanno ordinando a Montevideo. Mi è venuto da chiedergli che mi facesse arrivare una versione leggermente più ampia di quel video per mostrarlo al Santo Padre, confidando nella generosa consuetudine di Francesco di salutare uno a uno i giornalisti che lo accompagnano nei suoi viaggi. In quel breve ma intenso momento, il Papa ha fatto alcuni riferimenti alla vita e all’opera di Tucho, così come a quella di Amelia Podetti, una filosofa argentina alla quale aveva prologato un libro su Hegel ai tempi in cui era cardinale. In quel breve scambio di parole, a 10.000 metri di altezza, è nata l’idea del libro. Poi, la vicinanza dei dieci anni della conferenza di Aparecida ha finito per farmi decidere a fargli la proposta.

Le ultime righe del libro sono ancora per questo filosofo uruguayano di cui ricorrono proprio in questi giorni di novembre gli otto anni dalla morte. Tu scrivi che Bergoglio sta per viaggiare a Roma per partecipare al conclave del 2005. Dice di aver letto poco prima una intervista di Methol Ferré al quotidiano La Nación, ne parla come di una “geniale intuizione” che gli fa capire che c’era il pericolo di eleggere un papa “di compromesso”. Qual è questa intuizione?

Nell’intervista, con una visione profetica mirabile, Methol Ferré non solo sosteneva che non era il momento di “un Papa latinoamericano”, ma si spingeva a dire che il prossimo Pontefice sarebbe stato “di transizione” e scommetteva apertamente per la figura dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. Gli eventi successivi, che sfortunatamente per gli interessati allo studio della Chiesa “Tucho” non ha potuto vedere, segnano il livello di conoscenza e comprensione dell’istituzione che Methol Ferré aveva raggiunto.

C’è altro su Methol Ferré che non è entrato nel libro e che ci puoi dire?

Non c’è nel libro, e non ne abbiamo parlato durante gli incontri, ma quando si leggono le riflessioni di Papa Francesco sui destini del continente in termini di integrazione, è impossibile non pensare a uno dei libri di “Tucho” che, a livello personale, ho più in considerazione: “Gli stati continentali e il Mercosur”.

Prima di andare a Roma sei stato corrispondente per Telam da Montevideo negli anni di presidenza di un altro, chiamiamolo così, metholiano…

In effetti potei essere testimone privilegiato della prima stretta di mano tra il Papa e Mujica quando, il 1 giugno 2013, nel bel mezzo di un estenuente tour in Cina, Spagna e Italia, ho avuto l’opportunità di accompagnare l’allora presidente uruguaiano alla sua prima visita in Vaticano. Nel momento preciso in cui si salutarono nella sala del Tronetto, menzionarono “quell’amico comune”, in evidente riferimento a Tucho, di cui Mujica gli portò un libro in regalo.

Vediamo alcuni accenni al futuro nelle risposte che il Papa ti ha dato in Latinoamérica…. Tra le affermazioni rilevanti ce n’è una alla fine di un percorso che va dalla Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Medellin nel 1968 all’ultima Conferenza di Aparecida del 2007, la quinta per l’esattezza. Il Papa dice a un certo punto che una sesta Conferenza generale non è necessaria. Perché?

Più che non necessaria, il Papa afferma di non vedercela durante il suo pontificato. Qual è la mia ipotesi? La stessa che sostiene il papa all’inizio: Aparecida, che aveva la particolarità di concludersi non solo con un documento finale ma anche con la cosiddetta “missione continentale”, non è ancora completa nel suo secondo aspetto.

Tra le cose a venire, cui fanno allusione alcune delle risposte che il Papa ti ha dato, c’è l’incontro di Bogotá a dicembre su laici cattolici e la responsabilità nella vita pubblica, quindi in politica. Puoi riassumere il pensiero del Papa su questo punto? Come si deve muovere un politico cattolico nelle istituzioni e in politica secondo il Papa?

Nel libro il Papa approfondisce con speciale attenzione un concetto che aveva già esposto in un suo vecchio scritto e che è sempre stato presente nelle catechesi e nelle omelie: la netta condanna della corruzione. Penso che sia il confine che segna per il comportamento dei politici della regione. Purtroppo gli ultimi anni latinoamericani hanno dato diverse esperienze negative su questo tema nella maggior parte dei paesi. Su questo penso di vedere un parallelismo: se per il mondo religioso il Papa parla di una Chiesa “in uscita”, che vada all’incontro dell’altro e lo accolga, per i politici indica la necessità di adottare i principi della Dottrina Sociale della Chiesa e una parola chiave: la prossimità, andare all’incontro del prossimo, servirlo e averlo al centro del lavoro politico.

Se dovessi dire cos’è che preoccupa di più il Papa di questi tempi, dove punteresti il dito?

Penso che ci siano due punti dove si può notare una preoccupazione crescente di Francesco. Ma nel senso più “etimologico” della parola preoccupazione, intesa come uno sguardo che cerca di occuparsi delle cose in anticipo, per aiutare a risolvere le situazioni. Sui temi della gioventù e dell’ambiente questo è palpabile: non è un caso che i prossimi due sinodi convocati siano dedicati alla gioventù nel 2018 e all’Amazzonia nel 2019.

In questo contesto, è lì che vedo, come opinione personale, una eredità della tradizione latinoamericanista di Methol Ferre; il Papa manifesta anche una certa “preoccupazione” per il destino della regione, il destino dei paesi del subcontinente nel caso che lo affrontino insieme, contrapposto a quello che avverte nel caso di disintegrazione degli organismi che erano stati costruiti negli ultimi anni. Non sorprende che Jorge Luis Borges sia uno dei suoi poeti preferiti e i versi del Martín Fierro (“I fratelli siano uniti / Perché questa è la prima legge / Siano uniti veramente / In ogni momento / Perchè se lottano tra di loro / Li divoreranno quelli di fuori “), una delle sue citazioni preferite.

Non c’è nessun accenno nelle risposte alle tue domande alla possibilità o meno di un viaggio in Argentina. É un tema che non è mai venuto fuori nei dialoghi? E tu che idea ti sei fatto sulle ragioni di questa prolungata posposizione del viaggio nel suo Paese nativo?

Nel corso dei quattro incontri ho avuto conferma di una impressione che mi stavo facendo di Papa Francesco durante le sue conferenze stampa: è uno con un profondissimo rispetto per la professione giornalistica. Non mi ha mai suggerito, in nessun momento, di chiedergli o non chiedergli qualcosa. In questo senso tutte le domande che qualcuno potrebbe trovare mancanti sono, diciamo, una responsabilità mia. In ogni caso l’idea del libro era cercare di fare in modo che le risposte fossero il meno condizionate possibile dai temi della “congiuntura”: non fare specifico riferimento a situazioni che potessero avere una “scadenza” a breve termine. Ma porre, o almeno cercare, nuclei più legati a temi concettuali. Quando il libro venne fatto, il portavoce papale Greg Burke non aveva ancora annunciato che nemmeno nel 2018 il Papa sarebbe andato nel suo paese. Il Papa è stato chiaro le volte in cui ha fatto riferimento all’argomento: “il mondo è più grande dell’Argentina, ma dobbiamo dividerci. Lascio al Signore, che Lui mi indichi la data”, ha detto nel settembre 2016, che è quello che ha ripetuto Burke quest’anno.

Teniamo presente che molti dei paesi in cui il Papa va sono paesi con gradi di conflitto infinitamente più grandi della polarizzazione che può esserci in Argentina, e anche così la sua figura è sempre sinonimo di unità: dalla Repubblica Centrafricana alla Colombia passando per l’Egitto negli ultimi tempi. Può darsi che in Segreteria di Stato vaticana, il dicastero incaricato di pianificare i viaggi, considerino che l’Argentina non guardi ancora al Papa come ad una “figura di unità” e ritengano che le condizioni non siano date.

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