UNA CANDELA PER SAN GIUDA. Il santo degli esiliati e delle cause perse. “Nessuno può dimostrare che le sue preghiere siano ascoltate, però tutti sappiamo quando sono esaudite”

Messicani portano in processione una statua di San Giuda Taddeo
Messicani portano in processione una statua di San Giuda Taddeo

San Giuda Taddeo è il patrono delle cause impossibili e di quelle perse. Un santo, dico io, per gli esiliati, per gente che si resiste a conformarsi all’ordinario possibile e vive (anche se vive bene) con il conto in rosso.

Parlare di religione, o meglio, di cristianesimo, non è elegante. In cambio, la moda ci dà licenza per esaltare il Diavolo durante una messa. E come se fosse poco, il politicamente corretto mette il cristiano e, soprattutto, il cattolicismo, tra le caduche e ripudiabili sfere dell’eurocentrismo e della eteronormalità, qualunque cosa questo significhi. Così che parlare della devozione ai santi richiede una certa inclinazione alla penitenza pubblica.

George Bernanos sosteneva che gli atei fossero molto noiosi perché parlavano sempre di Dio. Durante la mia giovinezza a volte invidiavo la passione degli argomenti di alcuni atei. Soprattutto degli atei a cui piacevano le buone letture. Nella veemenza e elaborazione del rifiuto, si affacciava una realtà che andava oltre la negazione. Come se loro sentissero in modo più pungente la suprema presenza. Bene, erano altri tempi. Si disquisiva sull’etica di Bonhoeffer e si rinchiudeva lo Spirito Santo nelle categorie della fisica quantistica. Nel dubbio cresceva il mistero. Mi viene in mente Francis Bacon: “Un poco di filosofia inclina la mente dell’uomo verso l’ateismo; ma la profondità filosofica capovolge la mente verso la religione”.

Peccato che adesso la Chiesa non provochi grandi dibattiti intellettuali. Con la dissoluzione della dottrina, ridotta a una specie di libretto socialdemocratico che si riscrive secondo i capricci del mondo, alla diminuzione delle vocazioni e alla scarsa formazione umanitaria e anche religiosa di molti sacerdoti di adesso, corrispondono nuove generazioni di atei con una capacità teorica modesta, incapace di trascendere le parabole del Genesi. Il terribile fatto è che ignorano tanto le virtù di ciò che attaccano quanto le virtù di ciò che difendono.

A San Giuda Taddeo si attribuiscono innumerevoli miracoli. Cos’è un miracolo? Un ateo dirà che è solo casualità. La discussione potrebbe continuare all’infinito. Diciamo che la casualità capita, ma il miracolo si riceve. Una cosa è vincere la lotteria e un’altra è alzarsi dai morti. Il francese Alexis Carrel, Premio Nobel di Medicina e precursore dei trapianti di cuore, da testimonianza in Vaticano nel 1902 di come la ferita cancerosa di una donna stesse cicatrizzando grazie alle preghiere nel Santuario di Lourdes. Carrel avrebbe potuto dire, senza correre il rischio di provocare uno scandalo, che la curazione istantanea fosse casuale. La donna non avrebbe smesso di credere in un miracolo.

Ai miei figli, nati in quest’epoca di bassa densità logica, ricordo frequentemente queste parole di C.S. Lewis: “Ero ateo per un atto di fede e mi sono fatto cristiano per la forza della ragione”. Questo eleva la prospettiva. La ragione, comunque, sostiene che se è impossibile dimostrare dov’è Dio, si fa ancora più difficile dimostrare dove non è. Una volta chiesero al Dalai Lama se potesse credere nella divina concezione di Maria. Il Dalai Lama si fermò nel giardino e strappò un insignificante filo d’erba. “Se credete che questo trasforma la luce in zucchero”, disse, “potete credere in qualunque cosa”.

Domani accenderò una candela per San Giuda Taddeo nella sua splendida Chiesa melchita. Una fiamma di gratitudine per il “possibile” e di speranza contro l’impossibile. Nessuno può dimostrare che le sue preghiere siano ascoltate, però tutti sappiamo quando sono esaudite.

*Opinionista de El Nuevo Herald

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