DA PAOLO VI A FRANCESCO I. VERSO IL SUMMIT DEL 2018. A 50 anni dalla Conferenza di Medellín le Chiese latinoamericane ridisegnano il futuro alla luce del magistero di Francesco

Una rara immagine dei lavori della II Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano a Medellin nel 1968
Una rara immagine dei lavori della II Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano a Medellin nel 1968

Tra il 23 e il 26 agosto 2018, nella città colombiana di Medellín, visitata da Papa Francesco lo scorso 9 settembre, le chiese latinoamericane, in concreto le 22 Conferenze episcopali e diversi organismi di coordinamento ecclesiale regionale, ricorderanno i 50 anni della Seconda Conferenza generale degli Episcopati latinoamericani che si svolse in questa città e che però venne aperta e inaugurata da Papa Paolo VI nella città di Bogotá il 24 agosto 1968 con una grande omelia ricordata come “I tre indirizzi”. Papa Montini, il primo a far visita a queste giovane chiese e popoli si recò in Colombia proprio per presiedere il Congresso Eucaristico nazionale ma soprattutto per solennizzare con la sua presenza e con il suo magistero l’incontro episcopale, il primo dopo che nel 1955 a Rio de Janeiro era nato il CELAM, Consiglio episcopale latinoamericano. Il viaggio papale inoltre si tenne nel contesto di altri eventi importantissimi che ebbero nella regione latinoamericana delle conseguenze radicali e profonde: il Concilio Ecumenico Vaticano II, chiuso nel 1965 e la pubblicazione dell’Enciclica Populorum Progressio (1967). Andare indietro con la memoria in questo caso, quindi, riporta le chiese locali ad un decisivo punto di snodo, ad una sorta di spartiacque che profila con nitidezza una chiesa latinoamericana “prima” e “dopo” Medellín. Presso la sede del Seminario di Medellín, dove si tenne la famosa Seconda Assemblea generale (24 agosto – 5 settembre 1968), ora, fra un anno, decine di pastori, studiosi, laici, preti, religiose e ospiti stranieri, si riuniranno dopo mezzo secolo per fare il punto della situazione, in particolare alla luce del magistero dei quattro Papi succedutesi sulla Cattedra di Pietro dopo Paolo VI; in particolare, hanno scritto gli organizzatori dell’incontro, alla luce del magistero specifico di Papa Francesco.

Di quella Conferenza generale in molti ricordano oggi, ma così è stato anche nei decenni precedenti, alcuni passaggi ormai divenuti nell’ambito mediatico dei cliché: opzione preferenziale per i poveri e denuncia della violenza istituzionalizzata. Vero. Le riflessioni, i documenti e le conclusioni della Conferenza fecero riferimento insistente a queste questioni ma lo fecero all’interno di un’elaborazione teologica e pastorale complessa, ricca, densa e profondamente fedele al magistero di Paolo VI. Purtroppo i soliti lettori affrettati e pressapochisti, nonché una visione molto europeista che volendo polemizzare con il papato si avvalse della questione, finirono spesso per imporre schemi e ragionamenti preconfezionati per sostenere, nel campo della nascente Teologia della liberazione, quelle elaborazioni di alcuni gruppi o tendenze, gradualmente sempre più lontane dalla lettera e dallo spirito di Medellín.

L’incontro del 2018 avrà un momento importate proprio nel chiarimento, a distanza di cinque decenni, di questo passaggio che per i cattolici della regione, per le gerarchie e per le comunità ecclesiali, rappresentò momenti di grande sofferenze, in particolare quando nel governo centrale della Chiesa si penso e decise che era ora “di mettere ordine nelle Chiesa latinoamericane e normalizzare le situazioni ribelli, dispersive e contrarie alla dottrina”. Buona parte di questo spirito e stile vennero imposti da Roma nelle successive Conferenze generali: la Terza (Puebla, Messico, 1979) e la IV (Santo Domingo, Repubblica Dominicana, 1992). La V, in Aparecida, Brasile (2007), presieduta da Papa Benedetto XVI si concluse con un gesto papale rivoluzionario: il Pontefice autorizzò l’immediata pubblicazione delle conclusioni senza attendere una revisione da parte dei dicasteri vaticani. Nel caso di Conferenze precedenti questa revisione per dare il nulla osta definitivo alla pubblicazione del documento finale si protrasse anche per quasi un anno.

Nel 2018, secondo il documento del Celam che annuncia l’iniziativa, durante i giorni dell’evento si cercherà di “commemorare e proiettare il messaggio (di Medellín) come asse chiave delle chiese nel continente e in dialogo permanente con la Chiesa universale. Per questo motivo per primo sarà analizzata la presenza della Chiesa nelle odierne trasformazioni dell’America Latina e dei Caraibi. É intenzione dell’iniziativa celebrare il 50.mo di Medellín in dialogo con altre istituzioni ecclesiali, rispettando il pluralismo e cercando sempre le convergenze. Ciò che conta e interessa è identificare le grandi intuizioni di Medellín, teologiche e pastorali, opportune, necessarie particolarmente in questo momento della storia”. “É fondamentale dunque un esame approfondito della realtà attuale dell’America Latina oggi”, concludono gli organizzatori e, infine sottolineano: è necessario e urgente “identificare le sfide che pongono le trasformazioni della regione e al tempo stesso identificare anche i contributi di Medellín che sono tuttora vigenti e profetici”.

Appare evidente che la portata dell’iniziativa, il suo spirito e il suo respiro, farà di questo incontro qualcosa di più di una qualsiasi raduno ecclesiale latinoamericano. I temi, le ricorrenze, il papato di Jorge Mario Bergoglio, alcuni dei suoi documenti fondamentali, il momento storico che la regione vive, daranno al Congresso di Medellín uno slancio piuttosto rilevante. Se ne sentiva il bisogno. Dal 1968 non c’era mai stato un bilancio o un’analisi complessiva organica e tantomeno un raffronto con i tempi e dinamismo successivi all’incontro voluto e inaugurato da Paolo VI. Egli, il giorno dell’apertura tracciò “tre indirizzi” (spirituale, pastorale e sociale) e oggi, mezzo secolo dopo, ci sono molte domande che attendono risposta e che in diversi passaggi trovano spazio nella Evangelii gaudium di Papa Francesco. Per l’evento tra la ‘altro si attende un importante messaggio del Santo Padre.

Spirituale. Non possiamo esimerci della pratica d’un’intensa vita interiore. Non possiamo annunciare la parola di Dio senza averla meditata nel silenzio dell’anima. Non possiamo essere fedeli dispensatori dei misteri divini, senza averne a noi stessi assicurata la ricchezza. Non dobbiamo dedicarci all’apostolato, se non lo sappiamo suffragare con l’esempio delle virtù cristiane e sacerdotali.

Pastorale. Ci sembra opportuno richiamare due punti dottrinali a questo riguardo: il primo è la dipendenza della carità verso il prossimo dalla carità verso Dio. Voi sapete quale assalto subisca ai nostri giorni questa dottrina di chiarissima e inoppugnabile derivazione evangelica: si vuole «secolarizzare» il cristianesimo. L’altro punto dottrinale riguarda la Chiesa così detta istituzionale, posta a confronto con un’altra presunta Chiesa così detta carismatica, quasi che la prima, comunitaria e gerarchica, visibile e responsabile, organizzata e disciplinata, apostolica e sacramentale, sia un’espressione del cristianesimo ormai superata, mentre l’altra, spontanea e spirituale, sarebbe capace di interpretare il cristianesimo per l’uomo adulto della civiltà contemporanea, e di rispondere ai problemi reali e urgenti del nostro tempo.

Sociale

- Ricordiamo innanzi tutto che la Chiesa ha elaborato in questi ultimi anni della sua secolare animazione della civiltà una sua dottrina sociale, consegnata in documenti memorabili, che faremo bene a studiare e a divulgare.

- Le testimonianze della Chiesa alla verità nel terreno sociale non mancano: procuriamo che alle parole rispondano i fatti. Noi non siamo tecnici; siamo però dei Pastori, che devono promuovere il bene dei loro fedeli, e stimolare lo sforzo rinnovatore in atto nei Paesi, dove si svolge la nostra rispettiva missione.

- Tutto considerato alla luce cristiana, che ci fa scorgere l’uomo al primo posto e tutti gli altri beni subordinati alla sua promozione totale nel tempo e alla sua salvezza nell’eternità.

- In ogni modo, la Chiesa oggi si trova davanti alla vocazione della Povertà di Cristo. Vi è nella Chiesa chi già ne sperimenta i disagi inerenti, per insufficienza talvolta di pane e sovente di mezzi: sia confortato, aiutato dai fratelli e dai buoni fedeli, e sia benedetto. È l’indigenza della Chiesa, con la decorosa semplicità delle sue forme, un attestato di fedeltà evangelica; è la condizione, talvolta indispensabile, per dare credito alla propria missione; è un esercizio talora sovrumano di quella libertà di spirito, rispetto ai vincoli della ricchezza, che accresce la forza alla missione dell’apostolo.

- Se noi dobbiamo favorire ogni onesto sforzo per promuovere il rinnovamento e l’elevazione dei Poveri e di quanti vivono in condizioni d’inferiorità umana e sociale, e se noi non possiamo essere solidali con sistemi e strutture che coprono e favoriscono gravi ed opprimenti sperequazioni fra le classi e i cittadini d’un medesimo Paese, senza porre in atto un piano effettivo per rimediare alle condizioni insopportabili d’inferiorità di cui spesso soffre la popolazione meno abbiente.

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