CHI PIANGE PER DUE MIGRANTI CHE SI SUICIDANO? Erano di El Salvador, volevano raggiungere gli Stati Uniti e sono stati catturati in Messico. Hanno preferito uccidersi che ritornare

Sola andata…
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La scorsa settimana abbiamo saputo del suicidio di due migranti salvadoregni. Catturati in Messico e mentre veniva perfezionata la loro espulsione, hanno scelto di suicidarsi piuttosto che tornare in El Salvador. Uno si è impiccato nella sua cella e l’altro, dopo un anno e mezzo di detenzione in un centro per migranti, ha scelto di saltare nel vuoto. In entrambi i casi sono stati violati gravemente i loro diritti poiché non gli è stata fornita un’adeguata assistenza medica e psicologica, ma il secondo caso è stato più grave perché imprigionare una persona semplicemente perché vuole andare negli Stati Uniti senza documenti in regola è, detto con parole esatte, un atto di brutalità. È facile biasimare le autorità messicane coinvolte in questi eventi perché in entrambi i casi c’è stata una grave negligenza. La prigione, anche se il governo messicano insiste a dire che i migranti detenuti non sono prigionieri, è una grave ingiustizia, comunque la si consideri, se applicata a persone che non hanno commesso alcun crimine. In ogni caso, entrare senza documenti in un paese non sarebbe altro che una violazione che non merita la prigione, mentre i centri di detenzione dei migranti sono delle vere e proprie carceri.

Però oltre a insistere sulla violazione dei diritti umani commesse in Messico contro molti dei nostri compatrioti e fratelli centroamericani, dobbiamo anche riflettere sulla realtà dei migranti. Uno dei due, quello che è stato detenuto per più tempo, ha detto e ripetuto che non voleva tornare in El Salvador perché viveva in una zona dominata da pandillas, che avevano minacciato di ucciderlo. La prospettiva di vivere con questa minaccia sulla testa, assieme a una forte depressione psicologica per l’angoscia che ha significato l’arresto e la successiva decisione di espellerlo, lo hanno spinto al suicidio.

La migrazione continua incontenibile da El Salvador, e in generale dal cosiddetto Triangolo Nord dell’America centrale, dovuta soprattutto alla povertà e alla violenza.

Il governo salvadoregno cerca di proteggere in un modo molto approssimativo chi viaggia attraverso il Messico per andare negli Stati Uniti, ma non si vedono politiche pubbliche volte ad offrire una vita più dignitosa e sicura qui in El Salvador. Anche se c’è ancora una vasta percentuale di poveri nel paese, alla povertà si è aggiunta la vulnerabilità. La sicurezza e la stabilità economica restano scarse. Le politiche di “mano dura” contro le pandillas sta creando un ambiente particolarmente violento. La facilità con cui le persone vengono uccise, l’alto tasso di impunità e la possibilità di ottenere negli Stati Uniti uno stipendio che permetta lo sviluppo di nuove opportunità e anche di poter aiutare la famiglia che resta qui sono incentivi irrefrenabili a migrare.

Di fronte a questa realtà è indispensabile una politica di maggiore investimento sociale, oltre che volta a stimolare la produttività. Lo Stato deve fare di più, ma anche il settore privato dovrebbe essere aperto a perseguire una maggiore produttività, salari più elevati e investimenti che permettano di includere nell’economia formale molti più salvadoregni. Non è demagogico affermare che alcuni uomini d’affari mantengono un tenore di vita da Primo Mondo grazie al lavoro dei salvadoregni. La responsabilità sociale dell’impresa privata è enorme. E salvo alcuni casi isolati, non sembra che la maggior parte degli imprenditori capisca che deve questa responsabilità. È vero che gli investimenti stranieri dovrebbero essere incoraggiati. Ma è una vergogna che alcune grandi imprese, con la ricchezza guadagnata col sudore dei poveri salvadoregni investano, come fanno, in altri paesi piuttosto che nel nostro.

La corruzione, questo male così giustamente denunciato, non solo si è verificata nei governi e nei partiti politici dal tempo della guerra fino ad oggi. C’è stata anche nell’impresa privata quando offre tangenti in cambio di un contratto, quando evade o evita le tasse, quando spende in lussi esagerati quello che altri necessitano per mangiare o per comperare medicinali di base. Quando la ricchezza dei potenti, siano essi politici o uomini d’affari, non si utilizza per superare la povertà, diventa una sorta di arma di distruzione di massa. E giustamente afferma Papa Francesco che c’è un’economia che uccide. In questo senso, nel suicidio di questi due fratelli in Messico ci sono abbondanti responsabilità in El Salvador.

*Noticias UCA

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