IL REALISMO CRISTIANO DI GUARDINI. Verso la beatificazione del pensatore italo-tedesco che ha segnato la formazione intellettuale e spirituale sia di Ratzinger che di Bergoglio

Romano Guardini (Verona 1885 – Monaco di Baviera 1968) [foto da liceoguardini.it]
Romano Guardini (Verona 1885 – Monaco di Baviera 1968) [foto da liceoguardini.it]

E’ notizia recente che l’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga ha appena aperto la causa di beatificazione di Romano Guardini. L’apertura ufficiale del processo dovrebbe avvenire entro l’anno da parte del cardinal Reinhard Marx. Si tratta di un evento del tutto particolare perché esso suggella, in qualche modo, la continuità ideale che lega, pur nella sensibile diversità degli stili, papa Benedetto a papa Francesco. Guardini è stato, infatti, il pensatore italo-tedesco che ha segnato la formazione intellettuale e spirituale sia di Ratzinger che di Bergoglio. Jorge Mario Bergoglio trascorse alcuni mesi in Germania nel 1986, presso la facoltà filosofico-teologica Sankt Georgen di Francoforte, con l’intento di scrivere una tesi di dottorato dedicata a Guardini. Il progetto fu poi abbandonato, non al punto, però, da essere dimenticato. Bergoglio tornerà a più riprese sul suo lavoro, sulla fondamentale idea guardiniana della vita come opposizione polare che ritroviamo al centro di taluni passaggi fondamentali della Evangelii gaudium. L’ammirazione e la stima che l’attuale pontefice ha sempre nutrito per la testimonianza cristiana e il pensiero di Guardini non sono certo estranee alla decisione presente di aprire il processo di beatificazione. Un regalo di Francesco – forse il più grande – al suo predecessore.

Qual è dunque, dal punto di vista cristiano, l’elemento di fondo del pensiero guardiniano, quello più attuale che spiega la linea rossa che unisce Ratzinger a Bergoglio? La storicità della fede compresa come risultato dell’“incontro con la realtà”, con la carne di Dio nella carne del mondo.

Guardini, nato a Verona il 17 febbraio 1885, ad appena un anno si era trasferito con la sua famiglia in Germania. Qui, divenuto sacerdote nel 1910, era stato chiamato, nel 1924, a insegnare “Filosofia della religione e visione del mondo cattolica” presso L’Università di Berlino, cattedra che verrà soppressa dal regime nazionalsocialista nel 1939. Nel dopoguerra riprenderà l’insegnamento a Tubinga e, successivamente, a Monaco dove si spegnerà il primo ottobre del 1968. Nel contesto del pensiero cristiano Guardini si considerava uno che “cammina solitario” (Einzeganger), un outsider che fuoriusciva dagli schemi di scuola. L’elemento dominante in lui era un’attenzione e una passione per la realtà, per uno sguardo pieno sull’essere. Gli schemi e i concetti venivano dopo; dovevano aiutare ad aprire un varco di luce nel mondo, non a piegarlo violentemente al proprio arbitrio. Se la realtà era compresa e mantenuta nella sua concretezza allora anche la Rivelazione cristiana poteva manifestarsi in tutto il suo spessore. Così come, all’inverso, solo là dove il cristianesimo era reale il mondo poteva essere accolto nella sua totalità, senza censurare nulla. Scriveva nel suo diario: «Nel cristiano ciò che decide tutto, assolutamente tutto, pensiero, azione, essere, è se la realtà di Dio viene sentita. Se Egli sta nell’esistenza come il Reale, come in ultima istanza l’unico Reale. Tutto il resto ne viene determinato; quindi è vivo o solamente pensato, anzi parlato». In un saggio del 1935, Realismo cristiano, Guardini coglieva con straordinaria efficacia questa prospettiva. Due “vie” a Dio venivano qui poste a confronto. La prima, assolutizzando il senso religioso costitutivo di ogni uomo, trascura il mondo, compreso come l’effimero privo di valore, e procede dall’interiorità dello spirito all’Assoluto, al Divino. È la strada delle grandi religioni, della filosofia, della mistica. La strada dell’Oriente e di Buddha. E’ la via dell’idealismo, orientale ed occidentale. Di fronte a questa sta l’altra via, quella realistica descritta nei Vangeli, una via che può sembrare più faticosa perché implica non solo fedeltà al cielo ma anche alla terra. «Là ampiezza filosofica, grandezza ascetica d’intenti, profondità mistica; qui l’oppressione del quotidiano e le accidentalità di quanto appunto va accadendo». La modalità con cui Cristo indica il rapporto dell’uomo con Dio toglie la possibilità di un’«ascesa diretta a Dio, filosofica o ascetica o mistica». Non esiste una «via diretta» a Dio. Qui è affermata una «ineludibile legge della mediazione»: l’uomo «giunge a Dio vero e vivo non direttamente ma solo mediante Cristo». L’uomo, nota Guardini, non vede Dio, ma questo non vedere «non significa solo l’insensìbilità corporea. Dio è “invisibile” anche per il nostro spirito, per il nostro cuore. Non si può cogliere Dio per via diretta, poiché Egli è nascosto». Solo allorché Egli si manifesta, «solo quando Egli mostra il suo volto nella Rivelazione» si rende palese chi è Dio. E, tuttavia, anche di fronte a Cristo non è concesso di andare direttamente a Lui. Dio non vuole perché «non vuole che sia tralasciato il suo mondo». Nel cristianesimo «l’uomo è via a Dio per l’uomo – le persone che gli sono destinate. E come divengono strada per lui? Quando egli è pronto e disponibile a prenderle come sono: nell’amicizia, nel matrimonio, nel lavoro, nella responsabilità, negli incontri dell’esistenza» Nell’ «incontro è la Provvidenza e contiene la destinazione»

Guardini insiste su questo necessario passaggio attraverso la realtà – uomini, cose, destino – come conditio sine qua non per pervenire a Dio. Insiste al punto da dire che se anche «una persona si immergesse nelle parole della Scrittura e vi applicasse ogni sua energia, ma trascurasse I’uomo, che gli è assegnato dal destino, dal dovere, dalla professione come prossimo, non capirebbe l’autorivelazione di Dio. L’uomo non può eludere la realtà e venire a Dio direttamente e privatamente, ma deve percorrere la via che passa per la realtà della creazione. Questo è il realismo cristiano». Esso è determinato dalla «legge del’incarnazione secondo la quale il Dio invisibile e ignoto non ci si manifesta dall’abisso del nostro animo, come esige la mistica assoluta; non attraverso la suprema elevazione del pensiero, come vogliono i filosofi; non nello sforzo dell’aspirazione morale e del distacco dal mondo, come afferma I’ascesi autonoma, ma dal volto dell’uomo e dalla parola di Cristo». È questa una legge fondamentale. «La parola rivelante di Cristo si fa chiara solo quando io accetto il prossimo, e la cosa e il destino. L’esistenza cristiana non è qualcosa di assoluto, in senso filosofico, di distaccato misticamente, di ascetico in termini sistematici ma di storico. Come tale è fondata sull’incarnazione, e quella strettoia, quel vincolamento alla quotidianità che, provenendo dalla filosofia e dalla mistica assoluta, credevamo di sentire nel Nuovo Testamento, è appunto I’espressione di ciò che importa».

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