DOVE SONO FINITE LE PROTESTE NELLE STRADE DEL VENEZUELA? Dopo mesi si sono “raffreddate”. Ma forse non erano mai state abbastanza “calde” sostiene un analista

E le masse? (Foto EFE)
E le masse? (Foto EFE)

Dopo quattro mesi di intense proteste la domanda che adesso molti si fanno è: perché la protesta nelle strade si è “raffreddata”?

In politica è opportuno chiarire gli eventi anche con ipotesi per cercare di spiegarli, perché una corretta interpretazione dei fatti aiuta ad evitare di commettere gli stessi errori in futuro, anche se ciò non è sempre possibile.

Non è che si sia smesso di convocare la popolazione a partecipare a proteste “di strada”, come alcuni dicono, accusando di questa omissione il MUD (Mesa de la Unidad Democrática, la coalizione di partiti dell’opposizione). Tra il 16 luglio e il 13 agosto sono state fatte più di 10 convocazioni, ogni due giorni, a vari eventi del MUD – che del resto è l’unico che ha indetto, organizzato e si è assunto la responsabilità di questo tipo di eventi – che hanno finito con l’illanguidirsi fino a scomparire.

Avanzo dunque la mia ipotesi indicando quello che per me è ovvio: la “strada” – come si dice – si è raffreddata perché non è mai stata abbastanza calda. Come nel 2002/2003 e nel 2014, quando abbiamo assistito a manifestazioni “di massa”, le grandi concentrazioni, in particolare a Caracas e in altre grandi città, si realizzavano solo in determinati settori geografici e sociali, di classe media o medio bassa e in certi settori delle città, ma nelle zone centrali e nelle aree popolari la vita trascorreva con una certa “normalità”. Nel 2017 èavvenuta la stessa cosa, anche se è vero che abbiamo assistito – mi riferisco solamente a Caracas – ad alcune importanti manifestazioni e attività significative nelle strade nei settori popolari dell’ovest e del centro della città.

Ciò non significa che non esiste un sostegno popolare all’opposizione, come sostiene e vuol far credere la dittatura, significa semplicemente che questo appoggio cerca di manifestarsi in un altro modo. Questa è la lettura politica che dobbiamo fare e che alcuni rifiutano perché ne esce a pezzi la posizione a favore dell’astensione o contro la partecipazione elettorale.

Mi spiego.

Dalle mobilitazioni e dagli scioperi del 2003/2004, dai quali siamo venuti fuori a pezzi denunciando con grida altisonanti una truffa che non abbiamo mai potuto dimostrare, siamo “usciti” con una massiccia raccolta di firme per ottenere il Referendum Revocatorio del 15 agosto 2004, da cui siamo stati sconfitti. Anche in questo caso lanciando grida al cielo per denunciare una truffa che non siamo riusciti a dimostrare e con una politica che è risultata inopportuna e inattuabile perché denunciare l’imbroglio senza offrire una risposta alternativa ed efficace ha portato conseguenze gravi di demotivazione che ancora stiamo pagando. Ma sappiamo quanto poco propensi siamo ad ammettere gli errori che commettiamo.

Dopo le manifestazioni “di strada” del 2014, è iniziato un processo di discussione che si è concluso con le primarie per scegliere i candidati a deputati dell’Assemblea Nazionale, elezioni che si sono svolte nel 2015 e nelle quali abbiamo ottenuto la maggioranza dei voti e 2/3 dei deputati.

Dal processo di proteste del 2017, “siamo usciti” con il plebiscito del 16 luglio in cui abbiamo raccolto più di 7 milioni di firme legali e dimostrabili che tutti hanno potuto comprovare e vedere con i propri occhi nelle strade, non come nella massiccia “frode” dei 30 di luglio per l’elezione dell’Assemblea Nazionale Costituente voluta da Maduro, quella sì incostituzionale.

Quando si convoca un blocco di strade (un ” trancazo “), vi accorrono poche centinaia, un migliaio scarso di persone. Quando si convocano “manifestazioni” o “marce”, partecipano in centinaia di migliaia. Quando si convocano eventi elettorali o simili, milioni di persone vi prendono parte. L’analisi di questi processi mi dice che le persone sono disposte a partecipare massicciamente a eventi in cui possano esprimersi ma che garantiscono loro una certa sicurezza. Altre attività di maggiore rischio e azione restano confinate ad “élite”; non a caso i pensatori di inizio del secolo scorso dicevano che la politica la praticano le minoranze, il “controllo” della politica è quello che dobbiamo attuare le maggioranze, un ruolo a cui molte volte abbiamo rinunciato.

*Della Rivista SIC dei gesuiti del Venezuela

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