VENEZUELA. E ADESSO? La strada stretta del negoziato e quella tragica dello scontro nell’analisi di Rafael Luciani, studioso venezuelano del pensiero di Papa Francesco

Marcia armata sulla società
Marcia armata sulla società

Rullano i tamburi di guerra di un madurismo incattivito dall’isolamento internazionale e latinoamericano dopo l’autogolpe della costituente con cui il caudillo di Chávez si appresta a spazzar via gli ultimi residui di divisione dei poteri. Rafael Luciani li ascolta dal suo studio nell’Università Andrés Bello di Caracas. E cerca di interpretarli con la freddezza poco comune in questi tempi e in questi posti dello studioso che lo scorso febbraio promosse un importante congresso nel prestigioso Boston College in Massachusetts sugli sviluppi nella teologia di lingua spagnola “al tempo di Papa Francesco”. Rafael Luciani richiama due posizioni di sinistra sul caso venezuelano che gli sembrano esemplificative di altrettante alternative che si fronteggiano. «Quella rappresentata dall’ideologo cubano Borón che sostiene che il conflitto venezuelano ha la sua origine nell’aggressione imperialista degli Stati Uniti per cui “se una forza sociale dichiara guerra contro il governo questi deve dare una risposta militare” e l’altra rappresentata dal sociologo venezuelano Edgardo Lander che riconosce che “c’è una occlusione delle vie istituzionali per risolvere il conflitto dopo che il governo ha disconosciuto l’Assemblea Nazionale, non ha permesso che venissero cambiati, come prevedeva la costituzione, i reggenti del Consiglio Elettorale Nazionale, ha cancellato il referendum revocatorio e posposto tutte le elezioni”. Per Luciani «siamo molto lontani da qualcosa che si possa chiamare pratica democratica e si utilizzano tutti gli strumenti di potere in funzione della preservazione del potere stesso. Questa è la posizione della Procuratrice Luisa Ortega Díaz e di buona parte del chavismo non castrista che si oppone a Maduro e che deve essere integrato a qualunque costo nel processo di transizione». Ma la magistrata è stata appena esautorata dalle sue funzioni e il chavismo dialogante minacciato di tradimento alla patria. Rafael Luciani non si fa illusioni circa un ritorno Vaticano in Venezuela nel tentativo di promuovere una via d’uscita non cruenta anche se nella sua opinione la Santa Sede rimane delle poche istanze internazionali non bruciate “che possono contribuire a muovere la comunità internazionale perché faccia pressioni sul chavismo ideologico castrista per spingerlo a realizzare un qualche negoziato”. Il pensiero va al Papa la cui posizione, per Luciani è stata sin qui “coerente e in comunione con le istanze ecclesiastiche venezuelane”.

Ricorda la presa di posizione più recente del 4 agosto, quando il Papa rilasciò una dichiarazione attraverso il Segretario di Stato per render noto che la Santa Sede si aspettava che tutti gli attori politici, in particolare il governo, si impegnassero a “garantire il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, come anche della Costituzione vigente e sospendessero le iniziative in corso come la nuova Assemblea Costituente che, invece di promuovere la riconciliazione e la pace, favorisce un clima di tensione e di scontro”. Luciani sottolinea che le condizioni a cui si riferisce la dichiarazione pontificia sono le stesse che il Vaticano aveva chiesto nel mese di dicembre: “elezioni, restituzione delle prerogative dell’Assemblea, apertura del canale umanitario e il rilascio dei prigionieri politici”. La sua convinzione è che “solo il chavismo non tributario a Cuba, rappresentato dal procuratore Luisa Ortega Diaz e l’ex ministro Miguel Rodriguez Torres, potrebbe essere aperto ad un dialogo sincero per ripristinare la Costituzione del 1999, che è sostenuta anche dall’opposizione a Maduro”.

Gli chiediamo se sulla scena sia rimasto qualcuno con l’autorità e la forza per frenare e invertire una escalation verso il puro e semplice annichilamento dell’opposizione?

L’opposizione non ha armi o eserciti o forze paramilitari – risponde. La via d’uscita da questa crisi si comincia a vedere per la via dell’implosione sociale e politica, ma questo sarà solo causa di una rivolta popolare continua che porterà a più anarchia. Pertanto, il percorso meno traumatico resta quello di un accordo per una transizione che incorpori le forze del chavismo politico non castrista, i militari – garanti della Costituzione del 1999 – e l’opposizione democratica. Qualsiasi altra strada non solo non sarà percorribile ma comporterà il rischio di più violenza e più anarchia, con il risultato che in pochi anni avremo un chavismo radicale di nuovo al potere.

Allora niente prospettiva elettorale?

L’elezione dei nuovi membri della costituente è stata condotta su base settoriale e municipale e non a suffragio universale diretto e scrutinio segreto. Si è seguito il modello elettorale cubano che non ammette il dissenso e dove i rappresentanti dei settori del paese sono raggruppati in organizzazioni governative e sono membri del partito unico. Non c’è popolo senza il filtro politico del partito unico. Questo è il modello utilizzato da Maduro per l’elezione dell’Assemblea Nazionale Costituente, perché non avendo il carisma del leader e il denaro del petrolio gli resta solo il supporto militare e la frode elettorale. Combinato con la frode elettorale. La società Smartmatic, fornitrice della tecnologia utilizzata nel Consiglio Elettorale Nazionale ha confermato il giorno dopo le elezioni che c’è stata manipolazione dei dati da parte dell’ente. Un fatto che mette in discussione non solo le elezioni appena svolte, ma l’intero sistema elettorale venezuelano da quando Chávez ha introdotto il voto automatizzato. A questo bisogna aggiungere che la maggior parte dei partiti di opposizione sono praticamente “fuorilegge” per decisione della Corte Suprema di Giustizia e i principali leader dell’opposizione inabilitati, imprigionati o esiliati. Per essere onesti, ci vorrebbe una riforma globale del sistema elettorale del Venezuela per puntare su elezioni libere e trasparenti. A partire dalla nomina di rettori indipendenti che permettano i processi di auditoria previsti. Il problema è che siamo nel bel mezzo di un dilemma. Se l’opposizione iscrive i propri candidati per le elezioni, sicuramente la Costituente le sospenderà perché Maduro registra un rifiuto di oltre l’80% del paese. Ma se l’opposizione decide di non partecipare, allora Maduro tollererà le elezioni nella certezza che i propri candidati vinceranno non avendo rivali.

Si può parlare di diverse posizioni all’interno della Chiesa del Venezuela su come affrontare la dittatura madurista?

Direi che tutte le istanze della Chiesa venezuelana sono in piena sintonia tra di loro. Non si vedono crepe in questo momento. Il 31 marzo scorso, giorno in cui si è realizzato l’autogolpe del governo, la Conferenza Episcopale del Venezuela ha denunciato che per il governo “tutto ruota attorno alla politica, intesa come conquista del potere, dimenticando i bisogni reali della gente” e ha dichiarato che “non si può rimanere passivi, impauriti e senza speranza”. Di più: la Conferenza episcopale si è spinta a chiedersi e a “chiedere molto seriamente e responsabilmente se non sono validi e opportuni, ad esempio, la disobbedienza civile, le manifestazioni pacifiche internazionali, le giuste rivendicazioni alle autorità nazionali e internazionali e le proteste civiche”. A questa voce si è aggiunta quella della Conferenza dei Religiosi del Venezuela, il 4 aprile, che ha lamentato “la mancanza di autonomia tra i cinque poteri pubblici: esecutivo, legislativo, giudiziario, elettorale e cittadino” e ha sottolineato “l’indolenza del governo nazionale davanti alla situazione critica che vive il nostro popolo, dimostrando una volta di più che quel che interessa il governo è solo la lotta per rimanere al potere in un contesto di imminente dittatura”. Tre giorni dopo, il 7 aprile, la Compagnia di Gesù in Venezuela, attraverso la rivista SIC del centro Gumilla, che rappresenta la teologia della liberazione nel paese, ha reso pubblica la sua posizione ufficiale parlando di una “dittatura che viene consumata con le decisioni prese dalla Corte Suprema di Giustizia del 28 e 29 marzo che suppongono un aperto golpe di Stato”. Oggi, dopo la frode elettorale che ha portato alla installazione dell’Assemblea Costituente, il gesuita José Virtuoso, Rettore dell’Università Cattolica, si è riferito ad essa come alla “costituzionalizzazione di una dittatura militare socialista”. Il rettore ha parlato di “trasformazione della Costituzione per consolidare un regime autoritario, altamente centralizzato nella figura del Presidente, con poteri di ampio respiro sullo Stato e dello Stato sulla società”. Come ha detto il teologo della liberazione il gesuita Pedro Trigo, abbiamo vissuto da Chávez a Maduro il passaggio dal totalitarismo alla dittatura. Come si vede le posizioni della Chiesa, sia locale che universale, sono state molto affini.

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