PIETÁ PER CHI ORDINÓ L’ASSASSINIO DEI GESUITI DI EL SALVADOR. Lo chiedono le stesse autorità (gesuite) dell’Università dove avvenne il massacro. Perché Totò Riina no?

Il museo nella UCA con la teca degli indumenti indossati dai quattro gesuiti assassinati
Il museo nella UCA con la teca degli indumenti indossati dai quattro gesuiti assassinati

Lunedì 29 maggio, il Rettore della UCA (Università Centroamericana) e il Direttore delL’IDHUCA (Instituto de Derechos Humanos de la UCA) si sono presentati negli uffici della Direzione per le Questioni Giuridiche del Ministero di Giustizia e Sicurezza Pubblica di El Salvador per sollecitare la commutazione della pena del Colonnello Guillermo Benavides che come direttore della Scuola Militare ordinò il massacro nella UCA senza lasciare testimoni. Benavides fu condannato nel gennaio del 1992 a 30 anni di carcere per la responsabilità nell’orrendo crimine contro l’umanità; un anno dopo fu liberato grazie alla legge di amnistia approvata dall’Assemblea Legislativa nel marzo 1993. Nel 2016 Benavides fu nuovamente privato della libertà per l’ordine di cattura con priorità rossa emesso dall’Interpol per mettere a conoscenza la Corte Suprema di Giustizia della richiesta di estradizione della magistratura spagnola (Audiencia Nacional de España). Da allora Benavides è detenuto e somma un totale di quattro anni di carcere, poiché la Camera Penale Prima di San Salvador, su richiesta dei rappresentanti legali del colonnello, ha revisionato la sentenza di 25 anni fa. La Camera ha confermato il verdetto e la sua sentenza è diventata inappellabile. Dal 6 aprile di quest’anno si è dunque aperta la possibilità di richiedere la grazia per l’incriminato.

Molti si chiederanno il motivo della richiesta di commutare la pena di Benavides. In primo luogo è necessario chiarire che è una richiesta delle stesse vittime, ovvero, i famigliari, la comunità gesuita e la comunità universitaria dell’Università Cattolica. Questo conferisce valore e forza morale alla petizione, perché nasce dai principali danneggiati dal crimine, coloro che persero i propri famigliari, i membri della congregazione delle vittime, le loro autorità e i professori. Chi chiede la commutazione della pena non sono persone esterne al crimine, né rappresentano gli interessi di coloro che lo hanno commesso, sono invece le vittime e come tali stanno esercitando un diritto che corrisponde a loro più che a chiunque altro.

In secondo luogo, la richiesta di commutazione della pena deve interpretarsi come un atto pubblico di perdono; perdono che si offre in modo volontario perché sono già stati compiuti tutti i passi necessari a chiudere il circolo di un lungo e penoso processo; allo stesso tempo è una dimostrazione di come si dovrebbero affrontare i crimini contro l’umanità con una giustizia transizionale e restaurativa: verità, giustizia, riparazione e perdono. A questo si uniscono ragioni esclusivamente umanitarie: Benavides ha 74 anni, la sua salute è precaria e metterlo in libertà non causerebbe nessun pericolo per la società. Ci sono inoltre attestazioni del suo pentimento per il crimine commesso ed è inoltre ingiusto che sia lui l’unico condannato per un atto atroce organizzato da un gruppo di militari di alto rango tutti in libertà e profughi della legge.

In terzo luogo una cosa è sollecitare la commutazione della pena altra è chiedere l’indulto, così come hanno fatto di recente i famigliari di Benavides e alcuni ex-militari. Secondo il nostro ordinamento giuridico l’indulto non si può applicare a un crimine di lesa umanità; l’indulto, inoltre, estingue la responsabilità penale del processato. La commutazione della pena, invece, non nega in nessun momento l’esistenza del crimine né la responsabilità che vi ha avuto la persona giudicata; solo suppone un cambio della pena imposta. Quello che si sollecita in questo caso è una sostanziale riduzione della sentenza, passando dai 30 anni originali ai quasi quattro anni di reclusione che ha già scontato in carcere.

È fondamentale chiarire che con questa richiesta di grazia per Guillermo Benavides non si rinuncia a nessun diritto proprio delle vittime e neppure a proseguire in un processo che porti ad identificare gli autori intellettuali del massacro nella UCA, per portarli davanti alla giustizia e conoscere la verità sulla loro partecipazione al crimine e, nel caso venissero dichiarati colpevoli, gli vengano comminate le pene corrispondenti. Questo con totale autonomia dalla possibilità che, dopo il processo, gli si conceda il perdono pubblico.

Chiedere la riduzione della pena per Benavides è possibile e giusto perché in questo momento si conosce la verità, si sa qual è stata la sua partecipazione al crimine, a chi ha dato ordini e istruzioni. È stata fatta giustizia perché il militare è stato portato davanti ad un tribunale e anche se il processo è stato celebrato con molte irregolarità, è stata imposta la pena massima che le leggi stabilivano in quel momento. Consideriamo inoltre che all’espellere la legge di amnistia dall’ordinamento giuridico di El Salvador, com’è avvenuto, si annulla automaticamente l’impunità che pesava sul crimine.

In questi anni sono stati organizzati anche atti di riparazione per il massacro, fin dove un crimine di questa natura possa essere rimediato. Si è proceduto ad indennizzare il figlio di Julia Elba (la domestica che lavorava con i gesuiti uccisi, N.d.T.); sono state riparate le installazioni del luogo dove sono stati commessi gli assassini, che venne severamente danneggiato dalle Forze Armate nel tentativo di occultare il massacro; e, per finire, anche lo Stato, attraverso l’allora presidente Mauricio Funes, ha accordato ai gesuiti assassinati un riconoscimento postumo, l’Ordine José Matías Delgado nel grado di Grande Croce d’Oro.

La compagnia di Gesù e la UCA confidano che la loro richiesta di grazia per Guillermo Benavides contribuisca a una vera riconciliazione e apra il cammino a processi simili che permettano, finalmente, di chiudere le ferite della guerra civile in El Salvador.

*In Noticias UCA del 31/05/2017

Traduzione dallo spagnolo di Silvia Pizio

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