ROTTA DI COLLISIONE. Due grandi episcopati dell’America del Sud, Brasile e Argentina, criticano riforme dei rispettivi governi

Il presidente brasiliano Temer e l’argentino Macri
Il presidente brasiliano Temer e l’argentino Macri

Due conferenze episcopali, quella di Argentina e Brasile, ossia le più grandi del continente latinoamericano con quella messicana, sono in rotta di collisione con i rispettivi governi su temi importanti del programma di governo. E’ di qualche giorno fa una nota della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB) che critica la modifica alla costituzione voluta dall’esecutivo guidato dal presidente Michel Temer “perché genera esclusione sociale e pregiudica i settori più deboli della società”. La critica diventa poi un vero e proprio appello “alle persone di buona volontà a mobilitarsi per cercare il meglio per il popolo brasiliano, soprattutto per i più vulnerabili”.

Alcuni vescovi brasiliani si spingono ancora più in là e chiedono apertamente ai parrocchiani delle loro diocesi di scendere in piazza e di aderire allo sciopero generale.

Lo sciopero è stato indetto da tutti i sindacati brasiliani in segno di protesta contro la riforma delle pensioni e contro la riforma del lavoro proposte dal governo del presidente Temer. Le riforme approvate dopo dure discussioni parlamentari mirano ad innalzare l’età minima per usufruire della pensione di anzianità e ad eliminare alcune tutele dei lavoratori in un presunto tentativo da parte del governo di ridurre il deficit di bilancio e favorire la creazione di posti di lavoro. Il Vescovo di Barra do Piraí-Volta Redonda, Francesco Biasin, un sacerdote padovano che appartiene al movimento dei Focolari usa toni duri con i successori di Dilma Rousseff: “Facciamo vedere ai nostri leader la nostra indignazione per quanto riguarda le riforme imposte alla popolazione senza dialogo con la società civile organizzata” ha dichiarato “e per esprimere il nostro desiderio di costruire un Brasile migliore per tutti”.

L’invito del vescovo Biasin alla protesta attiva non è il solo. Fernando Antônio Saburido, vescovo benedettino dell’arcidiocesi di Olinda e Recife nel nordest del Brasile, ha anch’egli invitato apertamente i suoi fedeli a partecipare alla manifestazione nazionale di protesta argomentando che “la classe operaia non può perdere i diritti che sono stati conquistati a fatica”.

Nel paese limitrofe, l’Argentina, la nota critica della Chiesa punta l’indice contro un provvedimento del governo del presidente Mauricio Macri che riforma la legge immigratoria con l’obiettivo di accelerare le espulsioni e restringere l’immigrazione di stranieri che abbiano commesso dei reati nei loro paesi. Il decreto 70/2017 del Potere esecutivo giustifica le nuove misure facendo riferimento a “fatti di criminalità organizzata a conoscenza di tutti” davanti ai quali “lo Stato Nazionale si è trovato con serie difficoltà per concretizzare ordini di espulsione disposti contro persone di nazionalità straniera”. Il vescovo gesuita Manuel Hugo Salaberry, presidente della Commissione Migranti della conferenza episcopale argentina ha dichiarato di non vedere elemento alcuno “che giustifichi la necessità e l’urgenza della riforma della legge migratoria con decreto presidenziale”. Com’è noto la nuova legge aumenta le restrizioni all’ingresso e permanenza degli stranieri in Argentina, indurisce i controlli sugli stranieri che hanno precedenti penali, soprattutto se legati alla criminalità organizzata e al traffico di stupefacenti e accelera le pratiche di espulsione. Per i vescovi però “sebbene il decreto è rivolto ad affrontare la criminalità organizzata può ledere i diritti delle vittime dei delitti e i diritti costituzionali garantiti dalla costituzione nazionale e dai trattati internazionali”.

La riforma della legge migratoria è una delle tre questioni su cui si è registrato attrito negli ultimi mesi tra la Chiesa argentina e il governo Macri. Un altro argomento è la riforma della legge penale per i minorenni con il proposito di diminuire dai 16 anni ai 14 l’età imputabile e la repressione di un gruppo di indigeni mapuche nella Patagonia che avevano bloccato un punto della ferrovia.

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