PÉREZ ESQUIVEL, TRUMP E LE VIRTU’ DELLA TORTURA. “E’ un uomo che farà molti danni”. Intervista all’argentino Nobel per la Pace 1980

Adolfo Pérez Esquivel e il sacerdote José María di Paola (Foto Gustavo Pantano)
Adolfo Pérez Esquivel e il sacerdote José María di Paola (Foto Gustavo Pantano)

Battagliero come sempre, con i suoi 85 anni ben portati. La marcia per le stradine polverose tra baracche e casucce non terminate per ricordare due giovani uccisi dalla polizia in una villa miseria alla periferia di Buenos Aires non l’ha sfiancato. Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la Pace 1980, arrestato e torturato dai militari argentini nel 1977 ha ancora il fiato per mandare un messaggio a Trump che la tortura l’apprezza e vorrebbe reintrodurla. “E’ un uomo che farà molti danni” dice scuotendo la capigliatura bianca: “E’ proprio di una mentalità arrogante e totalitaria pensare che castigare il corpo induce a dire la verità, anche quella non vera purché termini la tortura”. Finisce il suo intervento nel giorno della memoria dell’assassinio dei due villeros esortando a “non smettere di sorridere alla vita” e scende dal palco di assi precarie sostenuto per il braccio dal sacerdote José María di Paola.

Signor Esquivel, ci sono buone ragioni per sorridere alla vita?

Il giorno che smetteremo vorrà dire che abbiamo perso la speranza e saremo stati vinti. Badi bene che con la speranza si perde anche la capacità di lotta, la convinzione che è possibile cambiare una determinata situazione. Per sostenere l’impegno si deve avere una speranza, un obiettivo, un senso di vita e di lotta. Così si può sorridere alla vita in ogni situazione, resistere, non abbassare la guardia. E’ quello che da la forza per andare avanti. Chi lotta per cambiare la vita non può vivere amareggiato.

In Argentina questo spirito di lotta, questo perseguire il cambiamento, lo vede vivo?

Ci troviamo in una situazione contraddittoria, com’è inevitabile. Ci sono state alcune conquiste sociali, altre sono rimaste a metà strada. Spesso per calcolo politico, per speculazione, per aver eluso il dovere di una edificazione sociale, culturale, politica. La democrazia non è gratis, non è mettere una scheda in un’urna ogni quattro anni, è una costruzione permanente e collettiva giorno dopo giorno. Dove democrazia e diritti umani sono valori indivisibili, se si violano i primi la democrazia si debilita fino a non essere più tale.

Lei è stato torturato dopo l’arresto in epoca militare, nel 1977. Il nuovo presidente degli Stati Uniti ha appena detto che gli interrogatori con certe pratiche di tortura lì hanno funzionato. Tant’è vero che non sarebbe sbagliato reintrodurli… Con lei hanno funzionato?

[Il no arriva con una risata]

Che effetto le fa un commento pro tortura di questo genere?

E’ proprio di una mentalità totalitaria pensare che castigare il corpo induce a dire la verità, anche quella non vera purché termini la tortura. Trump è un uomo che farà molti danni, e già li sta facendo per come inquadra la questione migratoria, la xenofobia che mostra, il razzismo che sollecita. Bisognerà vedere sin dove si spingerà, ma se continuerà così, mettendo in pratica quello che ha detto in campagna elettorale, farà molto male al mondo ma anche allo stesso popolo degli Stati Uniti che fortunatamente sta reagendo. Bisognerà vedere…

E’ possibilista allora…

Per me negli Stati Uniti non governa il presidente; il vero potere ce l’hanno il complesso industriale-militare e le grandi imprese. Saranno loro a mettergli dei limiti. Obama non ha potuto fare grandi cose; parlava di chiudere il carcere di Guantanámo, di terminare la guerra in Iraq e in Afghanistan, di dare al mondo maggiore sicurezza e abbiamo visto che tutto questo non l’ha potuto fare. Me lo ha scritto in una lettera. Anche i repubblicani sono divisi e le divisioni si acuiranno; hanno la maggioranza nel Congresso ma non sono unanimi al loro interno. C’è gente tra di loro che pur essendo di destra ha un’etica e valori che sentono calpestati da Trump.

Trump al comando della principale nazione d’America non può essere anche una opportunità per il resto del continente? Il Messico, che è un po’ la frontiera degli Stati Uniti con l’America del sud, la stessa America Centrale, verranno spinti dalla necessità ad integrarsi maggiormente con l’America Latina…

Quello che a me sorprende è la lentezza con cui i governi latinoamericani creano strutture di integrazione. C’è il Mercosur, l’alleanza di cinque paesi del Sudamerica, la Celac, Comunità di Stati Latinoamericani e dei Caraibi, l’Unasur, l’Unione delle nazioni sudamericane che ne riunisce un’altra dozzina tra paesi membri ed aderenti… Queste istanze regionali vanno ancora rafforzate. E devono fare un fronte comune per mettere limiti all’Impero. Se questo non succederà, i problemi si acutizzeranno ovunque, dove più dove meno.

D’accordo ma la minaccia Trump non può voler dire – com’è avvenuto con il Venezuela – che il Messico deve guardare più a Sud, intensificare i rapporti con quella parte del continente da cui si è piano piano allontanato?

Presto darò lezioni nell’Università nazionale di Città del Messico…

Quando?

Il 17 aprile sarò lì, per inaugurare la cattedra di Cultura di pace e diritti dei popoli come professore straordinario. La violenza strutturale in questo Paese è tremenda, con enormi complicità a livello politico. Il Messico ha perso sovranità e identità… Pensi che “il paese degli uomini e le donne di mais”, con una varietà straordinaria di questo cereale coltivato dalle popolazioni indigene da tempi preistorici, più di 38 specie, oggi deve importare mais transgenico dagli Stati Uniti per fare la famosa tortilla messicana, i tacos. Latinoamericanizzarsi farà bene al paese…

Non farà bene all’Argentina “messicanizzarsi”, come denunciò il Papa un anno fa provocando un enorme clamore. E’ un pericolo che anche lei vede visitando le periferie?

Dove c’è droga c’è spaccio. I primi a cadere sotto i colpi della polizia sono i perejiles come vengono chiamati, i piccoli spacciatori. Per questo abbassare l’età imputabile per i minori come vuole il governo è una vera barbarità. Che non risolve nulla, nulla. Bisogna opporsi fermamente a questa legge. Difficilmente vengono presi quelli che tirano le fila del traffico. Come in Messico. Ho avuto riunioni con il presidente della Commissione per i diritti umani di questo Paese e confessavano molta impotenza. E’ una violenza che è diventata strutturale, sociale e culturale…

Culturale?

Nel senso che la violenza come metodo per regolare conflitti e controversie può diventare uno strumento abituale, la violenza del più forte sul più debole essere accettata e praticata come norma. I mezzi di comunicazione instillano questa mentalità nei giovani. Una gran parte dei film che si vedono ha una carica di violenza dirompente, e il grosso della produzione viene dall’America del Nord. Un bambino, un adolescente, un giovane emarginato e senza formazione critica è preda di questa violenza, l’assimila e la pratica come onorevole. La violenza è indotta anche dalla colonizzazione pseudoculturale di cui noi latinoamericani siamo vittime.

Sa che in questo momento in Colombia, a Bogotá, sono riuniti un certo numero di Premi Nobel suoi colleghi?

Sono stato Presidente del “Tribunale dei popoli” in Colombia, dove si fece un lavoro di indagine durato due anni. Ho presieduto il tribunale a Bogotá… Sono stato con Santos per appoggiare gli accordi di pace, sono stato a l’Avana…

Perché adesso non c’è andato?

Non ho chiare le ragioni di una riunione di premi Nobel senza un obiettivo forte, determinato e chiaro. Mi sembra che si corra il rischio di bruciare una istanza di grande valore. Che cosa si farà con i sette milioni di profughi interni? Come scongiurare che dopo il disarmo delle Farc e il loro ingresso in politica succeda quello che è successo con l’Unione Patriottica i cui capi sono stati eliminati uno alla volta? Le posso dire quello che vidi in Guatemala dopo gli accordi di pace del 1996. Quando i profughi guatemaltechi iniziarono a tornare alle loro terre scoprirono di non avere più terra. Li mandarono da un’altra parte e gli dettero terreni praticamente improduttivi.

E a Roma ha in programma di tornare?

Ci sono stato in maggio e nuovamente a dicembre.

[Parla della tranquillità del Santa Marta, di un Papa “in buona salute”, “con animo”, molto determinato nel “lavoro di rinnovamento”, che poi Esquivel sintetizza come “un ritorno della Chiesa al popolo”. Poi appunta ai critici ad oltranza: “Ci sono quelli che non vogliono nessuna riforma, stanno bene dove stanno, come stanno e vivono come principi. Evangelizzare è camminare con il popolo”].

Ha sentito? Ai religiosi il Papa ha appena detto di “Mettersi con Gesù in mezzo al popolo. Non diventare professionisti del sacro”.

Il Papa sa che senza sacrificio non si cammina. Lui lo sa e come Cristo lo accetta. Segue i passi del Maestro. E il popolo di Dio lo segue, e questa è la sua forza anche rispetto a quella parte di gerarchia che non lo segue”.

Un suo concittadino, il giornalista e scrittore Horacio Verbitsky, è tornato a criticare il Papa come ai vecchi tempi…

Pochi giorni dopo l’elezione di Bergoglio mi trovavo a Verona, in un Centro missionario. Lì ricevetti una telefonata della BBC di Londra che mi chiese chi fosse quest’uomo. Dissi quello che pensavo e credo di aver contribuito a disinnescare qualche problema. Anche adesso per lui vale quello che dice il Vangelo: chi si sente libero dalla colpa scagli la prima pietra.

Torna alla Home Page