IL DIALOGO NON DECOLLA. Maduro annulla il referendum revocatorio. L’opposizione grida al “golpe”. La cautela della Santa Sede e gli uomini forti di Caracas

Chi comanda in Venezuela? Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale, Vladimir Padrino, Ministro della difesa, Nicolás Maduro
Chi comanda in Venezuela? Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale, Vladimir Padrino, Ministro della difesa, Nicolás Maduro

Ha 53 anni. Tutti, amici e nemici, riconoscono la sua straordinaria abilità politica. È stato presidente del Venezuela ad interim per un solo giorno (13 aprile 2002). Si chiama Diosdado Cabello Rondón ed è attualmente il Presidente dell’Assemblea Nazionale del Venezuela (Parlamento unicamerale). Cabello Rondón è però soprattutto il vero uomo forte di questo Paese, guida insindacabile della più importante rete di potere e di decisioni politiche; potere che condivide, in un sorta di alleanza di convenienza, con Vladimir Padrino, potentissimo Ministro della difesa nonché Comandante strategico operativo delle Forze armate nazionale bolivariana e, da qualche mese, Responsabile della Grande missione per il rifornimento sovrano e sicuro, organismo tentacolare che affida alle Forze armate la produzione, l’importazione la distribuzioni di cibo e medicine divenuti generi preziosi e di sempre più difficile reperibilità in questi lunghi mesi di crisi economica.

In questo complesso intreccio di centri di poteri legali (non sempre completamente trasparente, spesso precario e criptico) c’è anche la figura del Presidente Nicolás Maduro e la sua leadership piuttosto limitata, costretto quasi sempre a trovare equilibri incerti per “passare la giornata” ed “evitare scontri al vertice”. In sostanza è un governo paralizzato, ingessato, con scarsa autonomia propria. Sembra che a lui siano affidati soprattutto la infervorata retorica dei comizi e degli interventi radio-televisivi.

La mediazione di Unasur. L’ingarbugliata mediazione tra il governo del Presidente Maduro e i partiti dell’opposizione – che da qualche mese porta avanti l’Unasur (Unione delle nazioni sudamericane, guidata dall’ex Presidente della Colombia Ernesto Samper), in realtà rientra nell’ambito decisionale della coppia Cabello-Padrino che sembra avere assunto il ruolo di supervisore delle mosse di Maduro. E’ difficile, se non impossibile, capire allora il travagliato percorso di questa mediazione che, sfortunatamente non sembra approdare a nulla di concreto. Per ora, da mesi, solo tantissime parole e intenzioni e nessun fatto concreto.

La Santa Sede. In passato le parti, a più riprese, chiesero una presenza e un contributo della Santa Sede con lo scopo di ricevere, sulla scia dei diversi appelli di Papa Francesco all’intesa e alla riconciliazione, un aiuto che facilitasse il dialogo per avviare la ricerca consensuale di soluzioni alla gravissima crisi che il Venezuela vive ormai dal 2002. Le richieste sono state in un primo momento molto confuse e solo dopo l’avvio della mediazione dell’Unasur, alcuni mesi fa, si chiarirono in modo preciso: una presenza vaticana – insieme ad altri soggetti – nell’eventuale tavolo di conversazioni tra il Governo e i numerosi partiti dell’opposizione.

La lettera del cardinale Pietro Parolin. Dopo la lettera di Ernesto Samper al Papa, datata al 25 luglio scorso, in cui l’ex Presidente colombiano a suo nome, e dei mediatori gli ex Presidenti José Luis Rodríguez Zapatero (Spagna), Martín Torrijos (Panamá) e Leonel Fernández (Repubblica Dominicana), chiedeva al Pontefice che la “Santa Sede formi parte del gruppo di ‘facilitadores’ del dialogo tra il Governo e l’Opposizione”.

A questo punto la Santa Sede ha voluto mettere la parola fine a questa vicenda, che la chiamava in causa da mesi sulla stampa ma che non si era mai tradotta in una comunicazione ufficiale delle parti. Il 12 agosto, il Segretario di stato Pietro Parolin nella sua risposta a Ernesto Samper, confermando il desiderio vaticano si dare un suo specifico contributo al dialogo e all’incontro tra Governo e opposizione, scrisse: “Tale disponibilità potrà essere effettiva a partire da un invito alla Santa Sede inviato direttamente dalle parti interessate, una volta che avranno preso la ferma decisione di dare inizio formalmente al dialogo. Così il Governo venezuelano e l’Opposizione saranno i principali responsabili di tale invito e saranno più recettivi ad accogliere gli eventuali suggerimenti con lo scopo di continuare in modo duraturo e fruttuoso”.

Le lettere delle parti. Dopo un lungo tira e molla, molto caratteristico in tutta questa vicenda venezuelana, sia il governo che l’opposizione spedirono in Vaticano la lettera richiesta ufficializzando il rispettivo desiderio su un’auspicabile presenza vaticana. Il contenuto di quella del Presidente Maduro (25 settembre) non è stato mai reso pubblico. La lettera dell’opposizione (28 settembre) è stata invece pubblicata pochi minuti dopo la sua consegna al Nunzio Mons. Aldo Giordano. Mentre è pacifico che la lettera dell’opposizione fa riferimento al referendum revocatorio nulla si sa su quanto eventualmente dice la lettera del Governo sulla questione. In molti ipotizzano che nei due documenti l’argomento sia in pratica impostato in modalità diametralmente opposte, non lasciando così molto spazio di manovra alla disponibilità della Sede Apostolica.

Il momento attuale e ciò che “manca”. Questa è dunque la situazione attuale: mancano o non si registrano due passaggi fondamentali. Il primo è che non si è tuttora verificata l’apertura del tavolo di dialogo tra le due parti. I mediatori dell’Unasur, ed esponenti della Chiesa cattolica in Venezuela, continuano a fare la spola tra uno e l’altro per incoraggiarli a sedersi ad un tavolo per parlare e discutere. Proprio ieri il futuro cardinale Baltazar Porras ha confermato quest’importante particolare, finora sconosciuto, specificando che ne partecipano il Nunzio Giordano e il Presidente dell’Episcopato, Mons. Diego Padrón.

L’altro elemento al momento assente è la mancanza di una risposta ufficiale del Vaticano alle due lettere. Risposta che, se fosse già pervenuta, avrebbe dovuto essere già nota all’opinione pubblica, anche perché dovrebbe indicare il nome della persona e la qualità della sua rappresentanza per conto della Santa Sede.

Il macigno sul sentiero dell’incontro. E qui si torna allo scoglio principale: il referendum revocatorio. A questo punto, come osservano i molti analisti delle vicende venezuelane, sembrerebbe che la questione del referendum revocatorio impedisca un avanzamento della mediazione e forse della stessa partecipazione della Sede Apostolica. Come è ben noto questo referendum, proposto e fortemente voluto dalle opposizioni con il chiaro intento di destituire Maduro, non è negoziabile, è una variabile indipendente che prescinde dall’avvio o non delle conversazioni tra le parti. In concreto, le opposizioni, raggruppate nella MUD (Mesa de la unidad democrática – Tavolo dell’unità democratica) condizionano la partecipazione nel dialogo alla caduta di tutti gli ostacoli che a loro avviso il governo ha posto con lo scopo di impedire il referendum revocatorio e le conseguenti nuove elezioni presidenziali.

Per il governo del Presidente Maduro la questione è proprio il contrario: il dialogo è possibile solo se le opposizioni rinunceranno al referendum revocatorio che la coppia Cabello-Padrino considera una “manovra golpista, teleguidata dall’estero”. Addirittura si è anche parlato di “minaccia alla sicurezza nazionale”.

Il referendum revocatorio, un pretesto per non dialogare? Stando così le cose la chiamata alle urne prevista dal referendum inquina notevolmente il progresso di dialogo, anzi lo blocca, e forse spiega anche la momentanea non-risposta della Santa Sede alle due lettere: quella del Presidente e quella dell‘opposizione.

L’aver incluso in queste due lettere la questione del referendum revocatorio ha avuto un effetto immediato, forse desiderato dalle parti: impantanare ancora una volta ogni speranza e prospettiva di soluzione della crisi, le cui conseguenze, terribili, sono patite solo dal popolo venezuelano, oramai allo estremo. La Santa Sede, e chiunque si trovasse nella sua posizione, non potrebbe mai offrire la disponibilità del suo contributo sposando una tesi, a favore o contro il referendum revocatorio. Sarebbe come voler entrare a far parte di un finto dialogo dove il fallimento è sancito prima di incrociare le prime parole fra le parti.

Chi decide a Caracas? In ambienti latino americani (politici, diplomatici e mediatici) è ormai opinione comune ritenere che a Caracas le decisioni siano prese dal “numero 2” e il suo alleato principale: Diosdado Cabello e Vladimir Padrino, e certamente non più Nicolas Maduro. E’ questo il vero asse del potere venezuelano in questo momento, anche per il dialogo, tuttavia si tratta di un’influenza che agisce ancora dietro le quinte.

Diosdado Cabello, insieme a Hugo Chávez, tentò un colpo militare nel 1992, scontando poi 2 anni di galera. Rimesso in libertà guidò il movimento “Quinta Repubblica” e successivamente il Nuovo Partito Socialista Unito del Venezuela. Tra il 2004 e il 2008 è stato governatore dello stato del Miranda. Durante questo percorso politico è stato più volte accusato di aver distratto fondi pubblici o aver fatto uso personale di denaro statale. Nel maggio del 2015 è stato ufficialmente indagato dalla DEA statunitense (Drug Enforcement Administration) che lo ha accusato di guidare il cartello de “Los Soles” del quale, secondo l’intelligence USA, farebbero parte diversi ufficiali delle forze armate venezuelane, tra cui lo stesso Ministro della difesa Vladimir Padrino.

D’altra parte è anche ben nota l’irruenza e l’antipatia di Cabello nei confronti di altri leader politici dell’America latina, così come nei confronti della chiesa cattolica. Certamente non ha mai dimostrato di essere un uomo di dialogo, anzi. Recentemente ha definito il Presidente argentino Mauricio Macri “un fascista” e al futuro secondo cardinale venezuelano, Mons. Porras, ha dato del “golpista”.

Una personalità così forte e potente ha molti nemici fuori e dentro il paese, proprio in questi ambienti viene attribuita a lui l’affermazione secondo la quale il futuro del Paese, del progetto bolivariano e del socialismo del XXI secolo – insomma del “chavismo” – è nelle sue mani.

Il ruolo del tandem Cabello-Padrino, per quanto riguarda la mediazione dell’Unasur, fin dall’inizio è stato molto importante. I mediatori, in numerosi incontri con il Presidente Maduro, non hanno mai ricevuto un “sì” o un “no”. Il Capo di stato ha quasi sempre risposto “ora mi devo consultare con i miei collaboratori”: Per una parte della stampa venezuelana la risposta di Maduro ha una sola interpretazione possibile: discutere con Diosdado Cabello e Vladimir Padrino.

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