COLOMBIA. CINQUE MOTIVI PER UNA SCONFITTA. Stampa, intellettuali e politici si interrogano sulla sconfitta del SI. L’analisi di “Silla Vacía”

Chi celebra, chi piange…
Chi celebra, chi piange…

Passata l’ondata di incredulità seguita alla vittoria dei NO nel referendum per ratificare l’accordo di pace in Colombia tra governo e Farc, è tempo di ragionare a mente fredda sui motivi dell’inaspettato risultato. La Silla Vacía, un innovativo e indipendente giornale on line colombiano, ha messo in fila cinque valide ragioni che potrebbero spiegare la sconfitta dei SI. Eccole, con qualche aggiunta, di seguito:

1. I promotori del SI hanno sottovalutato il rifiuto verso le Farc ancora presente nella società colombiana, mentre l’uribismo l’ha colto e incarnato.

Dopo 52 anni di atrocità, il rifiuto della maggior parte dei colombiani verso le Farc continua ad essere molto forte e l’uribismo –ossia il movimento politico che fa capo all’ex presidente colombiano Alvaro Uribe- ha saputo capitalizzarlo. Il “Centro Democratico” – il partito dell’ex presidente, famoso per la politica di mano dura messa in atto contro i guerriglieri durante i suoi due mandati (2002-2010) – ha focalizzato la sua campagna sul fatto che votare NO voleva dire votare contro le Farc, agitando spauracchi poco probabili ma efficaci, come l’eventualità che il capo dei guerriglieri Timochenko potesse addirittura un giorno diventare presidente della Colombia, installando una dittatura di sinistra o un regime populista di tipo venezuelano. “Sono riusciti con successo”, scrive la Silla Vacía, “a convincere la metà dei colombiani che votare per il SI non significava votare per dire addio alle Farc, quanto piuttosto per il loro ritorno”.

2. Sottovalutato il rifiuto esistente nella società verso Manuel Santos.

La Silla spiega che Juan Manuel Santos fin dall’inizio è stato una palla al piede per il plebiscito. Al di là dei livelli di popolarità e prestigio che il presidente colombiano gode all’estero dopo il buon esito delle trattative di pace –tanto che per lui già si parlava di premio Nobel per la Pace-, Santos registra in patria bassi indici di approvazione (prima del voto, attorno al trenta per cento) che di certo non ha aiutato i fautori del SI. Solo nelle ultime settimane Santos ha deciso di defilarsi e lasciare la scena ad altri attori, ma il nuovo atteggiamento non è stato sufficiente a convogliare consensi all’accordo di pace.

3. La campagna del SI ha spezzato la contrapposizione tra pace e guerra.

Inizialmente il Governo aveva incentrato la campagna per il SI su questa dicotomia: votare Si era votare per la pace, il suo contrario era votare per la guerra. Ma questa strategia si è spezzata quando le Farc hanno smentito Santos affermando che anche se avesse vinto il NO avrebbero continuato a negoziare. A quel punto, l’uribismo ha avuto gioco facile nel sostenere che votare NO in realtà voleva dire votare per un migliore accordo. Tra l’accordo raggiunto ed uno ipoteticamente migliore, molta gente ha comprensibilmente votato per la seconda possibilità.

4. La superbia delle Farc e del presidente.

La Farc hanno mostrato di tutto meno che umiltà nel periodo cruciale per inclinare gli indecisi da una parte o dall’altra. L’impressione data da Timochenko e dai suoi il giorno dell’accordo di pace è stata quella di una guerriglia che si sentiva vittoriosa. «La sua mano in alto quando è salito sul palcoscenico come una stella del rock, il suo perdono a metà –nemmeno chiesto, quanto piuttosto “offerto” – la sua superiorità morale non sono passati inosservati». E in effetti i sondaggi circolati all’interno del Governo, secondo quanto ha rivelato La Silla, hanno mostrato che l’impatto dell’evento è stato molto negativo.

Anche il governo ha dimostrato superbia –o quanto meno avventatezza- nel presentare la pace come un fatto irreversibile. Dire che la guerra era finita, come ha fatto Santos durante l’Assemblea Generale dell’ONU e poi ancora dopo la firma degli accordi nella città di Cartagena, ha fatto sembrare il voto per il plebiscito la formalità che non era.

5. Sfidato il conservatorismo dei colombiani

Due settimane prima del plebiscito sono stati pubblicati in Colombia i risultati di un rilevamento del DANE (Departamento Nacional de Estadistica) che ha causato polemiche a non finire. Il sondaggio riguardava “il comportamento e le attitudini sulla sessualità in bambine, bambini e adolescenti scolarizzati”. Il sondaggio aveva come obbiettivo principale raccogliere dati sui casi di abuso sui minori, un crimine purtroppo abbastanza frequente in molte zone della Colombia. Il problema è che le domande avevano in alcuni casi un contenuto piuttosto esplicito, cosa che ha causato l’ira di molti genitori e della Chiesa. Responsabile del sondaggio era la Ministra dell’Istruzione Gina Parody, la stessa che Santos –incurante delle polemiche e dell’animo in gran parte ancora conservatore dei colombiani- ha nominato coordinatrice del plebiscito. Una mossa che gli avrebbe alienato anche il voto cattolico, capitalizzato dall’uribismo.

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