APPUNTAMENTO CON LA STORIA. Dopo il muro dei caraibi tra Stati Uniti e Cuba un altra parete cede in America Latina. L’ultima guerriglia del continente sceglie la lotta politica

La Colomba della Pace del colombiano Botero. Foto presidencia Manuel Santos
La Colomba della Pace del colombiano Botero. Foto presidencia Manuel Santos

Un giorno veramente storico quello di lunedì a Cartagena de Indias, la città di fondazione spagnola nel nord della Colombia. Non solo perché conclude mezzo secolo di guerriglia e quattro anni di negoziati ad oltranza ma per come lo fa. Con un accordo globale che assorbe – con gli opportuni compromessi – molte delle rivendicazioni che hanno portato alla nascita delle Farc rendendo più democratica la democrazia colombiana e immette sul terreno della lotta politica una forza considerevole di giovani ribelli.

La guerriglia e i suoi vertici hanno giocato bene le loro carte, nella raggiunta consapevolezza che la via rivoluzionaria della presa del potere con le armi era impraticabile, il governo, nella persona di Manuel Santos, ha puntato convintamente sulla pacificazione risparmiando al paese molti anni ancora di stillicidio e perdite economiche. Santos è riuscito dove diversi presidenti prima di lui, da Pastrana a Uribe, hanno fallito. I giorni della “sedia vuota”, il 7 gennaio 1999, quando Pastrana attese invano il capo delle Farc Manuel Marulanda a San Vicente del Caguán, sono nella memoria di tutti. Santos ha creduto nel negoziato anche di fronte a rovesci parziali e quando alle sue spalle le fila si assottigliavano e gli umori bellicosi dei militari sembravano riprendere il sopravvento.

Un lunedì memorabile non solo per la Colombia. Lo è anche per l’America Latina. Adesso il bilancio della storia pende a favore della soluzione pacifica. La via della sovversione, ma anche il para militarismo e lo stato combattente sono figure che vengono archiviate nel passato.

Tre guerriglie sconfitte militarmente, i montoneros in Argentina negli anni 80, i tupamaros in Uruguay e Sendero Luminoso in Perù negli anni 90, due che hanno preso il potere vittoriosamente, la cubana nel 1959 in piena guerra fredda, e la sandinista nel 1979. Tre guerriglie che per via negoziata hanno imboccato la strada della politica e della società, la salvadoregna del Fronte Farabundo Martí, nel 1992, la Guatemalteca Unidad Revolucionaria Nacional Guatemaltecae nel 1996, il Movimento Zapatista di Liberazione Nazionale in Messico nel 1996. Restano residui come l’Esercito del Popolo in Paraguay, qualche foco in Perù di senderisti irredimibili, la cui fisionomia è più prossima al terrorismo che al sovvertimento per via armata dell’ordine costituito. E l’ENL in Colombia, la seconda guerriglia, che ambisce ad occupare gli spazi lasciati liberi dalle Farc.

I capi della guerriglia, ‘Timochenko’, ‘Pablo Catatumbo’, ‘Pastor Álape’, ‘Jesús Santrich’ e ‘Romaña’ portano a Cartagena de Las Indias l’assenso pressoché unanime della base delle Farc riunite nella loro ultima Conferenza. Si mescoleranno ai presidenti del resto del continente, 15, con delegazioni di alto profilo delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione degli Stati Americani. Papa Francesco a Cartagena non ci sarà; al suo posto sarà presente il Segretario di Stato Pietro Parolin. Ma in America Latina vince la logica del negoziato, del dialogo così richiamato dal Papa argentino nei suoi anni da Pontefice.

Dopo il muro dei caraibi tra Stati Uniti e Cuba un altra parete cede in America Latina. Un chiaro segnale anche per il Venezuela.

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