NON SOLO CAMILO TORRES. GIUSTIZIA ANCHE PER IL VESCOVO UCCISO DALLA GUERRIGLIA. Si tratta di monsignor Jaramillo Monsalve, assassinato dall’ELN nel 1989

La tomba del vescovo Jaramillo Monsalve nella cattedrale di Arauca. Foto M.Rodríguez
La tomba del vescovo Jaramillo Monsalve nella cattedrale di Arauca. Foto M.Rodríguez

Camilo Torres è il più famoso. Guerrigliero dell’Esercito di Liberazione Nazionale morto in combattimento con i militari colombiani nel febbraio del 1966. Emilio Jaramillo Monsalve molto meno. Vescovo della diocesi colombiana di Arauca è stato assassinato nell’ottobre del 1989 dal movimento guerrigliero a cui il sacerdote Torres apparteneva.

Il caso del vescovo Jaramillo Monsalve ritorna nella cronaca colombiana in questi giorni di ultimi intensi negoziati per arrivare alla pace con le FARC al tavolo di l’Avana. L’ELN si muove lungo la linea del disarmo su un binario separato, con tempi presumibilmente più lunghi. Il caso del vescovo assassinato riproposto dalla magistratura servirà probabilmente anche per premere sui più renitenti fratelli d’armi della seconda guerriglia del paese. Ma c’è anche un’altra ragione nella riedizione del caso del vescovo: la Chiesa cattolica colombiana lo vuole portare sugli altari. La diocesi che lo ha visto responsabile e la comunità a cui apparteneva sta riunendo fondi per pagare il lavoro degli esperti che dovranno riunire tutta la documentazione del caso e mandarla in vaticano, previe procedure di prassi.

Un martire vittima dell’esercito, Camilo Torres, uno vittima della guerriglia, per mano di quel fronte Domingo Laín dell’Ejercito de Liberación Nacional ispirato a una visione particolarmente dogmatica del marxismo. La vicenda ricorda quella dei tre beati di Sendero Luminoso in Perù assassinati dalla guerriglia contadina e filo maoista di Abimael Guzman portati agli altari proprio da papa Francesco lo scorso 5 dicembre a Chimbote, in Perù.

Anche la giustizia colombiana sembra che non intenda archiviare il caso del fucilamento del vescovo di Arauca anche dopo 27 anni dall’essere stato consumato considerandolo delitto di lesa umanità, dunque imprescrivibile per le leggi internazionali accettate in questa materia dalla Colombia. Il 31 maggio se ne parlerà in un aula giudiziaria, anche se i colpevoli materiali non sono stati ancora identificati. Si sa che 19 anni dopo essere stato nominato vescovo nella tormentata provincia al confine con il Venezuela (1970), un fatidico 2 di ottobre del 1989 il presule –72 anni d’età –si trovava in viaggio con altri tre sacerdoti, un seminarista e la segretaria della diocesi. Il manipolo di religiosi venne fermato da tre guerriglieri, cui si unirono poco dopo altri otto. Uno dei tre religiosi, l’amico don Elmer Muñoz venne liberato quel giorno stesso con un messaggio per il governo. Dichiarerà in seguito di non aver immaginato in quel momento che il buon rapporto del vescovo con i militari gli sarebbe costata la vita. Solo – ricordò – il vescovo Jaramillo gli chiese la confessione reciproca. Il giorno dopo tornò sul posto con alcuni contadini del luogo e incontrò il corpo del vescovo di Arauca con la testa sfigurata da vari colpi di fucile e diverse fratture alle braccia che evidenziavano le torture cui era stato sottoposto. Il cadavere era stato spogliato dell’anello e della croce pettorale vescovile.

Il vescovo era già stato minacciato in precedenza per il lavoro che svolgeva nell’area della povera provincia e per i suoi rapporti con i militari. Il gruppo guerrigliero sin dal primo momento accettò di essere l’autore della morte. Il gesuita Javier Giraldo ha scritto un libro dal titolo “Aquellas muertes que hicieron resplandecer la vida” (Quelle morti che hanno fatto risplendere la vita”. Vi afferma che membri dell’ELN divulgarono nel bollettino “Liberación” un comunicato dove annunciavano di aver “deciso di giustiziare il vescovo Jesús Emilio Jaramillo per delitti contro la rivoluzione”. Lo accusarono di far parte “del settore più reazionario della gerarchia ecclesiastica colombiana” e di “infiltrare ideologicamente i programmi educativi in combutta con l’Esercito”. L’ELN non gli ha neppure perdonato che surrettiziamente o apertamente si pronunciasse “contro l’organizzazione guerrigliera, contro la rivoluzione e contro il comunismo” né “lo svergognato uso della sua influenza ideologica a difesa dei militari”.

L’ELN ha recentemente rivendicato alla Chiesa colombiana la memoria e la dignità sacerdotale di Camilo Torres. Dovrebbe fare altrettanto con la vittima di una giustizia rivoluzionaria violenta e ottusa.

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