LE GUERRE DI FRANCESCO. Il Papa e la Santa Sede nella diplomazia e nei rapporti internazionali. La pace, per proteggere la vita

Interno della stanza di Bergoglio nel Collegio Maximo di San Miguel, provincia di Buenos Aires, con il san José dormiente sul termosifone
Interno della stanza di Bergoglio nel Collegio Maximo di San Miguel, provincia di Buenos Aires, con il san José dormiente sul termosifone

Guardando indietro è evidente – e il consenso al riguardo è tanto ampio quanto riconoscente – che Papa Francesco e con lui la Sede Apostolica nelle persone che collaborano più da vicino, ha ricollocata la presenza e la missione del papato nell’ambito delle relazioni internazionali e della diplomazia mondiale. In passato, da più parti si era sottolineato l’affievolirsi di questa presenza e di questo ruolo. Per alcuni anni è sembrato che la prestigiosa ed efficace diplomazia vaticana si fosse ritirata, quasi auto mutilata, ristretta sostanzialmente alle Organizzazioni internazionali e regionali. E tale parziale oscuramento si sentiva, pesava e preoccupava Stati e Governi, diplomatici ed esperti analisti e osservatori. Con Papa Francesco, aiutato e assistito dai suoi collaboratori, si è registrato un cambiamento drastico, visibile, percettibile e riconosciuto unanimemente e i riscontri – alcuni di grande importanza – permettono al Direttore della Sala stampa vaticana, p. Federico Lombardi, di dire: «Io ho l’impressione che cresca l’autorevolezza del Papa come maestro dell’umanità, della Chiesa, in una prospettiva globale. Perché nel corso di quest’anno, il Papa ha toccato praticamente tutti i continenti, a parte l’Oceania. E’ presente su un orizzonte globale e tratta con autorevolezza le questioni dell’umanità e della Chiesa di oggi. Parla dei temi della pace e della guerra, che toccano veramente tutti; parla dei grandi temi delle società attuali nel contesto della globalizzazione, la “cultura dello scarto”, la giustizia e la partecipazione. Nell’Enciclica “Laudato sì”, in particolare, è riuscito a dare una visione complessiva delle domande urgenti e cruciali dell’umanità di oggi e dell’umanità di domani. Ecco, questo mi sembra l’aspetto che io noto e cioè che l’umanità guarda a Papa Francesco come ad una persona che l’aiuta a trovare l’orientamento, a trovare dei messaggi di riferimento in una situazione che – per molti aspetti – è di grande incertezza. Quindi un leader credibile, un maestro credibile, che – facendo il suo servizio, che è di carattere specificamente religioso e morale – dà però un aiuto efficace; viene ascoltato dai potenti di questa terra. E i potenti e i poveri sono ugualmente importanti e necessari per guardare al cammino dell’umanità verso il domani».

I punti fermi della “politica internazionale” di Papa Francesco. Sappiamo che non è del tutto appropriato parlare di “politica internazionale” del Papa e della Santa Sede. La ragione è palese: nella diplomazia vaticana non vi sono considerazioni geostrategiche e geopolitiche. La Chiesa in questo campo non ha posizioni da difendere, interessi da proteggere o aspirazioni di dominio o controllo. La dicitura “politica internazionale” dunque è solo una comodità linguistica per parlare sul ruolo della Sede Apostolica nell’ambito dei rapporti internazionali; ruolo che prende corpo anche nelle relazioni diplomatiche che il Vaticano intrattiene con 180 Stati del mondo e decine di Organizzazioni internazionali e Istituzioni specializzate.

1) La voce del Papa e della Chiesa. La voce e le azioni del Papa e della Santa Sede nel concerto della comunità delle Nazioni, hanno un solo orizzonte: il bene comune dell’umanità tutta, indipendentemente dal continente, dalla religione, dalla ricchezza e dal potere delle Nazioni, Popoli, Stati e Governi. Parlando all’Assemblea generale dell’ONU, nel settembre scorso, Papa Francesco affermò con forza: “La drammaticità di tutta questa situazione di esclusione e di iniquità, con le sue chiare conseguenze, mi porta, insieme a tutto il popolo cristiano e a tanti altri, a prendere coscienza anche della mia grave responsabilità al riguardo, per cui alzo la mia voce, insieme a quella di tutti coloro che aspirano a soluzioni urgenti ed efficaci”. Anni fa il medesimo concetto nella medesima Sede era stato già enunciato da Paolo VI e da Giovanni Paolo II.

2) Fare il bene porta all’incontro. Il 22 maggio 2013, nella sua meditazione mattutina a Santa Marta, Papa Francesco con schiettezza e semplicità pronunciò queste parole: “Il Signore tutti, tutti ci ha redenti con il sangue di Cristo: tutti, non soltanto i cattolici. Tutti! ‘Padre, gli atei?’. Anche loro. Tutti! E questo sangue ci fa figli di Dio di prima categoria! Siamo creati figli con la somiglianza di Dio e il sangue di Cristo ci ha redenti tutti! E tutti noi abbiamo il dovere di fare il bene. E questo comandamento di fare il bene tutti credo che sia una bella strada verso la pace. Se noi, ciascuno per la sua parte, facciamo il bene agli altri, ci incontriamo là, facendo il bene, e facciamo lentamente, adagio, piano piano, facciamo quella cultura dell’incontro: ne abbiamo tanto bisogno. Incontrarsi facendo il bene. ‘Ma io non credo, padre, io sono ateo!’. Ma fai il bene: ci incontriamo là!”. “Fare il bene” – spiegò poi Francesco – non è una questione di fede, “è un dovere, è una carta d’identità che il nostro Padre ha dato a tutti, perché ci ha fatti a sua immagine e somiglianza. E lui fa il bene, sempre”.

3) Pace e giustizia. Poi Papa Francesco è entrato nel dettaglio; davanti a membri dell’Assemblea Generale dell’ONU ha aggiunto: “Dare a ciascuno il suo, secondo la definizione classica di giustizia, significa che nessun individuo o gruppo umano si può considerare onnipotente, autorizzato a calpestare la dignità e i diritti delle altre persone singole o dei gruppi sociali. La distribuzione di fatto del potere (politico, economico, militare, tecnologico, ecc.) tra una pluralità di soggetti e la creazione di un sistema giuridico di regolamentazione delle rivendicazioni e degli interessi, realizza la limitazione del potere. Oggi il panorama mondiale ci presenta, tuttavia, molti falsi diritti, e – nello stesso tempo – ampi settori senza protezione, vittime piuttosto di un cattivo esercizio del potere: l’ambiente naturale e il vasto mondo di donne e uomini esclusi. Due settori intimamente uniti tra loro, che le relazioni politiche ed economiche preponderanti hanno trasformato in parti fragili della realtà. Per questo è necessario affermare con forza i loro diritti, consolidando la protezione dell’ambiente e ponendo termine all’esclusione”.

4) Centro – Periferia. Visti il ministero e il magistero di Papa Francesco dall’ottica che ci interessa in questo testo, all’inizio del quarto anno di pontificato, appare chiaro che non è più corretto, perché riduttivo e fuorviante, che questo sia il “Pontefice della periferia” così come non è mai stato il “Pontefice del centro”. L’agenda e il magistero del Papa dimostrano ormai che la sua è una preoccupazione più articolata e complessa poiché riguarda il bisogno urgente di costruire nuovi rapporti fra centro e periferia. Non sembra che ci sia in lui una visione centralista a scapito della periferia e ovviamente neanche una periferica a scapito del centro. Come tante volte ha ribadito Francesco l’esclusione non porta da nessuna parte, o peggio ancora, porta al conflitto traumatico, che spesso innesca spirali irreversibili. L’intero discorso del Santo Padre sia all’Assemblea ONU sia al Parlamento Europeo, così come le diverse allocuzioni annuali al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, dimostrano senza equivoci che questa è la sua visione internazionale e planetaria.

5) Volontà politica effettiva. Per la politica internazionale e per il suo apparato di appoggio, le diplomazie, Papa Francesco si è sempre augurato un metodo preciso e onesto: la volontà vera e reale di cambiare. All’ONU, il Santo Padre ricordò ai Governi presenti: “Non sono sufficienti, tuttavia, gli impegni assunti solennemente, benché costituiscano certamente un passo necessario verso la soluzione dei problemi. La definizione classica di giustizia alla quale ho fatto riferimento anteriormente contiene come elemento essenziale una volontà costante e perpetua: Iustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuendi. Il mondo chiede con forza a tutti i governanti una volontà effettiva, pratica, costante, fatta di passi concreti e di misure immediate, per preservare e migliorare l’ambiente naturale e vincere quanto prima il fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. È tale l’ordine di grandezza di queste situazioni e il numero di vite innocenti coinvolte, che dobbiamo evitare qualsiasi tentazione di cadere in un nominalismo declamatorio con effetto tranquillizzante sulle coscienze. Dobbiamo aver cura che le nostre istituzioni siano realmente efficaci nella lotta contro tutti questi flagelli”.

La pace, per proteggere la vita. I rapporti internazionali della Santa Sede e della sua diplomazia, hanno sempre l’orizzonte del bene comune dell’umanità e non tengono conto delle solite e quasi indispensabili coordinate caratteristiche degli Stati: la geopolitica, la geostrategia e il commercio internazionale. Sono, dunque, relazioni internazionali atipiche e forse proprio per questo si basano e si conformano a criteri che spesso a molti appaiono poco efficaci. Ma certamente non è così. La storia di questi rapporti nelle ultime decadi è piena di riscontri che dimostrano tempestività ed efficacia. Come ricordò Papa Francesco ai membri dell’Assemblea generale dell’ONU, nel mese di settembre 2015, “la guerra è la negazione di tutti i diritti” (…) e perciò “bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale.” Poi, il Papa, oltre a citare le guerre classiche, inclusi gli interventi militari e politici (gravidi di “conseguenze negative” in particolare quando non sono “coordinati tra i membri della comunità internazionale”), aggiunse altre “forme di guerra” come il “narcotraffico. Una guerra “sopportata” e debolmente combattuta. Il narcotraffico per sua stessa natura si accompagna alla tratta delle persone, al riciclaggio di denaro, al traffico di armi, allo sfruttamento infantile e ad altre forme di corruzione. Corruzione che è penetrata nei diversi livelli della vita sociale, politica, militare, artistica e religiosa, generando, in molti casi, una struttura parallela che mette in pericolo la credibilità delle nostre istituzioni.” Francesco ricordò inoltre la guerra dell’uomo contro l’ambiente, come spiega e documenta nella sua Enciclica Laudato sì.

Cosa si deve leggere dietro alle riflessioni di Papa Francesco, in linea con il pensiero dei suoi Predecessori?

Che, alla fin fine, al cuore della politica internazionale della Santa Sede c’è la vita e solo la vita e che ogni cosa che pretende e chiede – pace, dialogo, negoziato, disarmo, controllo … – è per difendere, salvare e proteggere la vita sul pianeta; la vita umana anzitutto, ma poi ogni altra forma di vita. La stessa pace, che a non pochi può apparire come lo scopo centrale, in realtà è secondaria nel senso che è considerata necessaria per proteggere la vita. La pace non è un fine in se stesso. La pace è il mezzo più alto, nobile ed efficace per difendere la vita.

In quest’impostazione la vita, la sua sacralità e il suo valore non disponibile mai, è vista e considerata in un modo integrale, totale e globale, senza visioni strabiche e riduttive. Per molto tempo una diffusa opinione tra i cristiani ha ridotto la difesa della vita solo all’opposizione all’aborto, dimenticando spesso che altre realtà ugualmente tragiche (guerra, tortura, tratta di persone, fame …) attentano e insidiano allo stesso modo la vita, dono del Creatore. Un tale strabismo non poche volte ha tolto credibilità alla lotta contro ogni forma di aborto oppure ha offerto un fianco debole a critiche strumentali e anche banali. Oggi invece cresce la coscienza che chi si oppone all’aborto si oppone anche alla guerra, alla fame, alla tortura, l’eutanasia, suicidio assistito, pena di morte e a ogni forma, grossolana o subdola, che questa vita insidia e minaccia.

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