OLIMPIADI INDIGENE. Si sono svolte in Brasile a fine ottobre. Vi hanno partecipato 2000 atleti di 23 etnie. Che hanno gareggiato in specialità sconosciute e altre ben note

Tiro alla fune. Foto Reuters/Ueslei Marcelino
Tiro alla fune. Foto Reuters/Ueslei Marcelino

Terminate le olimpiadi indigene già si pensa alla prossima edizione. Mentre migliaia di atleti indigeni hanno intrapreso la strada del ritorno alle loro comunità d’origine, 23 etnie locali e altri di 22 differenti nazioni, compresi alcuni atleti provenienti da tribù africane e dagli aborigeni australiani. Tutti confluiti in Brasile a fine novembre dove hanno dato vita a dei veri e propri giochi mondiali dei popoli indigeni. L’evento ha avuto luogo nella città di Palmas, capitale dello Stato amazzonico di Tocantins. Un totale di 2000 atleti si sono affrontati in varie discipline, dal tiro con l’arco, al tiro alla fune, al lancio della lancia, al trasporto di tronchi, senza omettere lo xiknahiti, un gioco simile al calcio, ma ha praticato a quattro zampe, e solo con la testa. Il calcio classico, naturalmente, ha avuto il suo posto, giacché anche tra gli indios è “passione di moltitudini”.

La manifestazione sportiva non poteva non essere attraversata dalle tensioni tra le comunità indigene, che costituiscono circa lo 0,5% del paese (200 milioni di abitanti) e quelli di discendenza europea. Secondo il Consiglio Missionario della Chiesa cattolica per i Popoli Indigeni (Cimi), 138 indigeni sono stati uccisi in scontri per la terra lo scorso anno, con un incremento del 130% rispetto al 2013.

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