CUBA DOPO FRANCESCO. Al lavoro per disegnare un nuovo quadro giuridico e istituzionale che riguarda la vita delle chiese, quella cattolica in particolare

Tra Camilo Cienfuegos e Ernesto "Che" Guevara
Tra Camilo Cienfuegos e Ernesto "Che" Guevara

L’impatto della Visita di Papa Francesco a Cuba è di grandi proporzioni e, dunque, servirà del tempo per misurare e soppesare tutte le sue conseguenze. Il Papa è entrato profondamente nel cuore delle autorità della nazione cubana e, ovviamente, anche nel cuore generoso e combattivo del popolo cubano e perciò nella vita della chiesa locale che di questo popolo è parte essenziale e indispensabile. E già questo “intreccio” è una prima e fondamentale conclusione e conseguenza del viaggio del Santo Padre. Il Papa era atteso con trepidazione. E’ stato congedato con affetto incommensurabile. Con gratitudine sincera i cubani attendevano un “amico”, anzi, un “amico speciale” – il Vicario di Cristo – come in passato hanno atteso Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; amico che ben sapevano era disposto a “farsi cubano” pur di trasmettere e seminare solidarietà, vicinanza, dialogo e incontro. E quest’amico speciale non ha deluso neanche un istante. E’ un’altra conclusione del viaggio che la nazione cubana sente profondamente.

I cinici, e soprattutto i professionisti dell’antagonismo a prescindere poiché non sanno vivere senza essere “contro qualcuno e contro qualcosa”, con sarcasmo scrivono: non è successo nulla e non succederà nulla. Per fortuna la vera storia continua senza tenere conto delle loro opinioni. E dunque ora, quando fra settimane o mesi, comunque fra non molto tempo, sentiranno dire che tra Cuba e Santa Sede si è aperto formalmente un dialogo per avanzare in un disegno giuridico e istituzionale per superare le molte incertezze e debolezze nella vita delle chiese nell’Isola caraibica, in particolare di quella cattolica, largamente maggioritaria, forse non sapranno come reagire con un’ottica aggiornata.

Sì, proprio così, perché a Cuba, Papa Francesco e suoi collaboratori più vicini, hanno tracciato un solco profondo seminando riconciliazione, dignità, libertà, dialogo, consensi, e non solo fra i cubani nel Paese ma anche tra questi e quelli residenti all’estero. Il Papa era andato per questo e non per dividere, magari conquistando l’applauso dei finti amici della nazione cubana; era andato per dialogare con tutti, dal primo all’ultimo cittadino, dicendo subito, poco dopo il suo arrivo: “Da alcuni mesi, siamo testimoni di un avvenimento che ci riempie di speranza: il processo di normalizzazione delle relazioni tra due popoli, dopo anni di allontanamento. È un processo, è un segno del prevalere della cultura dell’incontro, del dialogo, del «sistema della valorizzazione universale… sul sistema, morto per sempre, di dinastia e di gruppo», diceva José Martí (ibid.). Incoraggio i responsabili politici a proseguire su questo cammino e a sviluppare tutte le sue potenzialità, come prova dell’alto servizio che sono chiamati a prestare a favore della pace e del benessere dei loro popoli, e di tutta l’America, e come esempio di riconciliazione per il mondo intero. Il mondo ha bisogno di riconciliazione in questa atmosfera di terza guerra mondiale “a pezzi” che stiamo vivendo.

Da Cuba arrivano non pochi segnali sulla plausibile nuova tappa che sarà aperta prossimamente. Dalle conversazioni, nella cornice istituzionale del Paese, le “parti”, sostenute dalla fiducia reciproca che hanno saputo fare crescere seppure gradualmente dalle visite di Fidel Castro in Vaticano (1996) e di s. Giovanni Paolo II a Cuba (1998), sapranno porre sul tavolo tutte le questioni e, al tempo stesso, sapranno raggiungere accordi fondamentali nel rispetto della sovranità cubana e della missione specifica della Chiesa.

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