EL SALVADOR. UNA NUOVA LA GUERRA ALL’ORIZZONTE. Quella dell’esercito contro le pandillas. La Chiesa reclama più lavoro e più educazione

L’addestramento delle FER, le nuove forze speciali del Salvador. Foto: Manu Brabo per El Faro
L’addestramento delle FER, le nuove forze speciali del Salvador. Foto: Manu Brabo per El Faro

16 omicidi al giorno nella prima settimana di luglio. 677 morti violente – un ritmo di 22 giornaliere – nel mese di giugno. Le cifre diffuse dall’Istituto di Medicina Legale del paese centroamericano sono da paura e non lasciano dubbi: il Salvador continua ad essere il paese più violento del mondo. “Siamo tutti in pericolo imminente, siamo tutti preoccupati”, ha dichiarato il direttore dell’istituto, Miguel Fortin Magaña, commentando i dati. Secondo le cifre rese note, il 2015 è stato l’anno più violento dalla fine della guerra civile con gli accordi di pace del 1992. L’ Istituto di Medicina legale ha rivelato che nei primi mesi del 2014 si contavano 1840 casi di morte violenta, mentre nel primo semestre del 2015 gli omicidi sono stati 2865, 1025 in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E l’escalation di violenza non risparmia neppure i minori. Nella prima settimana di luglio le vittime minorenni sono state almeno 69, tra cui una bambina di 6 anni brutalmente violentata e assassinata.

Anche la chiesa si è detta “allarmata”. “Non possiamo abituarci né rassegnarci a tante morti”, ha dichiarato l’arcivescovo di San Salvador, monsignor José Luis Escobar Alas. Ma la realtà è che all’orizzonte del Salvador, come si legge in un editoriale del giornale locale Contrapunto, si profila una vera e propria guerra tra polizia, forze armate e pandillas. Anche perché la strategia di queste ultime è cambiata: il loro obiettivo è ora quello di infondere terrore, attraverso attacchi mirati a poliziotti e soldati. Tanto che anche le contromisure adottate sono draconiane; il presidente Sanchez Cerén ha annunciato ad aprile la creazione delle Forze Speciali di Reazione (FER), un nuovo corpo d’élite per combattere le maras in operazioni “chirurgiche” e tipicamente salvadoregne, come per esempio l’assalto alle case delle pandillas, il recupero di ostaggi in autobus pubblici o attacchi in accampamenti o zone rurali controllati della bande criminali (sulle FER il giornale Il Faro ha pubblicato un bel fotoreportage, visibile qui).

Tutte misure (insieme ad altre, come la possibilità per gli agenti minacciati di cambiare casa), che non fanno altro che mostrare le dimensioni del nemico che si trova di fronte la forza pubblica, come ben sottolinea l’editoriale di Contrapunto.

E con un’altra certezza; la sola repressione non basta. Come conclude l’editoriale di Contrapunto, “questo panorama non fa nient’altro che gridarci ciò che già sappiamo: la violenza genera altra violenza. Politiche solamente repressive non daranno frutto se non si facilita il lavoro promesso nelle aree di rinserimento e prevenzione del delitto”.

Nel mezzo, a farne le spese è la popolazione salvadoregna, costretta ogni giorno a tenere il conto dei morti e condizionata nella vita quotidiana. Costretta a chiedersi se “continueremo a sentirci più sicuri da soli per strada che a fianco di un poliziotto”.

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