La seconda Enciclica di Papa Francesco, «Laudato si’, sulla cura della casa comune» pubblicata oggi è un documento non solo corposo, denso e pieno di rilevanti spunti per una riflessione profonda di tutti. L’Enciclica è stata scritta con un linguaggio chiaro, semplice, umile e affabile, e perciò “si lascia leggere” con partecipazione e simpatia. Una delle caratteristiche più sorprendente del testo sono le molte, bellissime, immagini e metafore che riassumono in poche battute concetti a volte complessi e impegnativi. Per chi scrive, tra tante immagini forse la più bella, collocata nell’apertura del testo (e già ciò è molto significativo), è quella che ci presenta la Terra, il nostro pianeta, “la nostra casa comune”, tra “i poveri più abbandonati e maltrattati … oppressa e devastata”. Ecco le parole del Santo Padre: “Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.” (Laudato si’ – N° 2).
In queste riflessioni di apertura c’è il nocciolo di tutto il documento e chi non condivide, con onestà e sincerità, queste affermazioni del Papa difficilmente trarrà profitto umano, esistenziale e culturale dalla lettura dell’Enciclica. In altre parole se non si ha piena e trasparente coscienza, nonché consapevolezza, che l’azione dell’uomo – i suoi comportamenti e i suoi peccati- ha finito per trasformare una “miniera” (la madre e sorella Terra) in una “pattumiera” difficilmente sarà in grado di addentrarsi nel magistero di Francesco. Quest’è la questione di fondo che l’Enciclica pone come sfida ineludibile e perentoria.
Chi crede che tutto va bene, che la Terra può essere trattata con una disponibilità senza limiti e cura, che lo sviluppo tecno-materiale non ha confini e che si può “progredire” all’infinito, che le logiche del profitto, dello spreco e dello sfruttamento rapace, sono le regole della convivenza, certamente non condividerà l’imponente contributo del Papa per un futuro migliore per l’uomo e per il pianeta. Chi invece avverte, anche nella sua modesta vita personale, che ci avviciniamo al pericoloso punto del non-ritorno, che ogni giorno viviamo sempre peggio, che ogni cosa diventa sempre più difficile, che la qualità delle nostre vita si deteriora gradualmente e inesorabilmente, e dunque poco a poco diventiamo l’uno lupo dell’altro, troverà nell’Enciclica non solo l’occasione per approfondire le sue riflessioni ma soprattutto sentirà la voce della speranza.
Siamo sicuri che non mancheranno gli esperti e benpensanti, i tuttologi di turno, che proveranno a dimostrare – vantando un ruolo che si sono auto attribuiti – che questo o quel passaggio del documento è infondato o discutibile, criticabile e poco preciso, metodo che di per se potrebbe essere salutare se non fosse perché spesso questo modo di ragionare nasconde seconde intenzioni, mai confessate. E questo si è già visto anche prima che venisse pubblicata una sola riga del testo. Alla fine però ciò che conta è che il Papa indirizza questa sua Lettera a tutti e dunque la sua è una sfida alla coscienza di ciascuno.
Ognuno legga tutti i commenti, analisi e critiche che desidera. E’ sempre buono. Soprattutto però ciascuno faccia di tutto per leggere da solo il documento affidando alla sua intelligenza il giudizio finale e personale.