CUBA. ASPETTANDO FRANCESCO. Viaggio nell’isola a tre mesi dall’arrivo del Papa. Dalla persecuzione alla collaborazione: “Il governo ha bisogno di un’etica per la trasformazione”

Strada 23 y A, a pochi passi dall’Hotel Habana Libre. Foto dell’autore
Strada 23 y A, a pochi passi dall’Hotel Habana Libre. Foto dell’autore

“Questo è un tempo virtuoso e dobbiamo fonderci in esso”. La frase vergata in rosso nelle vicinanze del Capitolio è di José Martí, eroe dell’indipendenza, ed è la consegna del momento. A cento metri o poco più, in piena Avana vecchia, padre Bruno Roccaro risponde allo slogan governativo con le parole dell’indipendentista Felix Varela, sacerdote e a suo modo eroe, che ammonisce gli uomini del suo tempo a coltivare le qualità più elevate dello spirito perché “non può esserci patria senza virtù né virtù con empietà”. Martí, Varela, papa Francesco sono i nomi più sintetizzanti di questo tempo della storia cubana. Bruno Roccaro ha già visto due papi passare per Cuba, il terzo lo aspetta dall’alto dei suoi 94 anni ben portati, 45 dei quali trascorsi sull’isola. Un record. Con il Brasile, Cuba sarà l’unico paese di questa parte dell’emisfero ad annoverare tre pontefici tra i suoi visitanti illustri. Roccaro ha buona memoria e ricorda alla perfezione le parole pronunciate nel 1998 da Giovanni Paolo II: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba, affinché questo popolo… possa guardare al futuro con speranza”. Ha atteso quasi mezzo secolo – tanto come l’embargo degli Stati Uniti alla sua patria d’adozione – per vedere realizzarsi l’auspicio del pontefice polacco diventato nel frattempo santo.

Roccaro è arrivato a Cuba nel 1970 dal veneto, con il Concilio alle spalle e una missione da compiere: collaborare alla formazione dei futuri sacerdoti in una situazione difficile, in cui i preti venivano cacciati o mandati nei campi di lavoro. “Fin da chierico avevo sognato le missioni” si giustifica, “perché avevo già un fratello in Cile e una decina di nipoti tutti missionari”. Il compito di “formatore di preti cubani” lo ha svolto per venticinque anni. Alza lo sguardo al cortile della casa dove vive. “Dopo quarantacinque sono ancora qui, contento di essere venuto” assicura con un sorriso che non mente. Roccaro mette anche questo nel conto dei cambiamenti iniziati con l’annuncio del dialogo tra Obama e Raúl Castro a dicembre dello scorso anno, il Concilio Vaticano II. Cuba l’ha assimilato con ritardo, osserva, solo quindici anni dopo la sua conclusione la mentalità conciliare si è fatta strada nella Chiesa dell’Isola. La “pentecoste cubana”, come la chiama, la fa risalire alla terza conferenza generale dell’episcopato latinoamericano di Puebla nel 1979, che dalla città messicana rimbalzò a Cuba solo con la grande assemblea del 1986, che qui designano sbrigativamente con una sigla: ENEC, incontro nazionale ecclesiale cubano. Una pietra miliare nella storia religiosa di Cuba. “Al mio arrivo a Cuba i sacerdoti erano ridotti a 200 degli 800 che erano prima della rivoluzione, le religiose a meno di 300, delle 2200”. La Chiesa ha dapprima sofferto e cercato di sopravvivere alla meglio ai colpi di un marxismo leninismo imbevuto di ateismo militante allo stile sovietico. Poi ha trovato in se stessa le risorse per rispondere alla sfida del socialismo scientifico mixato con ingredienti caraibici da Fidel Castro.

Nella chiesa di Maria Ausiliatrice, nel centro di l’Avana dove vive quest’ultimo scorcio di vita, Roccaro è una istituzione, come i sigari Cohiba o il room. “Allo stesso modo della Chiesa universale anche la Chiesa cubana è in movimento” argomenta. “Oggi la Chiesa è tornata nelle strade, ha riorganizzato le sue strutture pastorali, ha intensificato le opere di carità e creato nuove diocesi”. Il Direttorio della Conferenza Nazionale Cubana dei religiosi del 2014, l’ultimo disponibile che si è preso la briga di consultare, registra 585 religiose e189 religiosi. Delle religiose il 25,5 per cento sono cubane, sottolinea, dei secondi il 23%. I sacerdoti superano il numero di 400, una metà di quanti fossero prima della rivoluzione.

Della storia cubana il salesiano Roccaro ha vissuto tutti i passaggi cruciali: i tentativi americani di abbattere l’anomalia spuntata come un fungo maligno nel cortile di casa, le invasioni dei fuoriusciti, il blocco economico, l’economia di guerra dopo la caduta del comunismo russo, l’intransigenza verso i cattolici degli anni settanta quando ebbero luogo le principali espropriazioni e la legislazione rivoluzionaria cambiò la fisionomia della società. “Quando sono arrivato qui cattolico era sinonimo di controrivoluzionario” ricorda. Poi la visita di Giovanni Paolo II, i cenni di una timida apertura. Qualche dirigente comunista di peso che critica una certa visione del “fenomeno religioso come retaggio del passato”, qualche intellettuale che si propone di correggere una ideologia di stato eccessivamente tributaria da “un materialismo volgare e illuminista”. Qualcun altro che si addentra in distinzioni poco praticate in altri tempi tra “discriminazione” e “persecuzione” per far osservare che l’ufficializzazione dell’ateismo a Cuba “non ha mai significato proibizione del culto, chiusura di chiese o azioni repressive come nel caso della rivoluzione messicana, cinese o sovietica” e che in fondo in fondo “l’inflessibilità non è mai stata la caratteristica dominante della leadership rivoluzionaria cubana”.

Sotto la superficie del revisionismo ufficiale si tendono i fili di un dialogo con la Chiesa dapprima sotterraneo poi sempre più scoperto e alla luce del sole. “Il governo si è accorto che non riusciva a preservare i valori sociali, e che la morale della rivoluzione passava sempre meno da una generazione all’altra” commenta padre Roccaro, che poi fornisce dei giovani cubani una descrizione insolita: “Sono vivaci, intelligenti, più intuitivi che ragionatori, facili a discutere su tutto, allegri e furbi. Si entusiasmano facilmente e facilmente si scoraggiano”. Fatto sta che la Chiesa da un certo momento in avanti non è stata più vista come una minaccia ma come una risorsa utile alla sopravvivenza della rivoluzione o ciò che ne resta. E qui ritorna la virtù di martiana memoria, “la necessità per ogni popolo di essere religioso non solo nella sua essenza, ma anche per sua utilità” come scriveva il padre dell’indipendenza, cosciente che “un popolo non religioso è destinato a morire, poiché in esso nulla alimenta la virtù”. Un Martí rivisitato da Raúl Castro che si salda con il cattolico Felix Varela in odore di beatificazione. Ma non sono solo i giovani cubani ad essere smemorati. Chi era adolescente all’epoca della rivoluzione oggi ha oltrepassato la soglia dei settant’anni. Molte generazioni di cubani della Chiesa non sanno nulla, quella cubana pre-rivoluzionaria non l’hanno conosciuta, la tradizione dei loro padri non li ha raggiunti, probabilmente non hanno incontrato preti nella loro vita, ben poco o nulla hanno letto o ascoltato sul cattolicesimo. Ha ragione Roccaro quando osserva che la maggior parte dei giovani che oggi si avvicinano alle chiese “sono cattolici recenti, che hanno ricevuto previamente una formazione antireligiosa e hanno vissuto la loro adolescenza e la prima gioventù con grande ignoranza dell’etica cattolica in tutte le dimensioni della vita”. Per la maggior parte di essi il cristianesimo si presenta come una scoperta, una novità non immaginata, qualcosa di cui nessuno aveva loro parlato prima. “Vengono spesso ragazzi che pongono domande sulla fede. Quello che con parole diverse ripetono sempre è che non sono soddisfatti delle risposte che l’educazione marxista da loro circa le questioni principali dell’esistere, il senso della vita e della morte, l’amore, il lavoro, la verità… E non sanno se la risposta è nel cristianesimo o no ma vogliono conoscerlo”.

Bruno Roccaro non ha mai avuto la tentazione di andarsene nei quarantacinque anni che ha trascorso a Cuba. Guarda al futuro, a quello immediato con l’arrivo del Papa a settembre, e a quello che verrà alla sua partenza. E’ fiducioso: “Non sono profeta ma penso che questo processo di avvicinamento del potere politico con la Chiesa continuerà a migliorare”.

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