BEATA VIGILIA. Mancano poche ore all’attesa celebrazione di Romero che darà all’America Latina e al mondo un nuovo beato. Guardando già al dopo

L'interno della cappella della Divina Provvidenza dov'é stato assassinato, con il calice e i paramenti usati nella messa.
L'interno della cappella della Divina Provvidenza dov'é stato assassinato, con il calice e i paramenti usati nella messa.

Nella piccola cappella della Divina Provvidenza il tempo si è fermato. Sembra ancora di sentire l’esplosione del colpo che ha raggiunto monsignor Romero un paio di centimetri sopra il taschino destro della camicia che indossava al momento della celebrazione vespertina. Il proiettile esplosivo, uno solo, si è frammentato in centinaia di piccole schegge che hanno perforato la pelle come punture di spillo. Il fratello Mamerto, tra i primi ad accorrere all’ospedale, ha parlato di “arenilla”, tante piccole punture come la sabbia del mare. La camicia del celebrante Romero è ancora lì, distesa e insanguinata come una reliquia, nel centro-museo che è stato aperto nel vialetto che conduce all’ospedale per le cure palliative che a gennaio del 2016 compirà 50 anni di esistenza. Domani, sabato 23, la veste verrà portata sull’altare allestito in piazza Salvador del Mundo dove c’è il templete della celebrazione e – come si legge nel programma – sarà “esposta all’adorazione dei fedeli”. Le suorine che si sono piegate sul corpo agonizzante dell’arcivescovo non ci sono più. Le fotografie di quel momento con i loro volti dolenti e l’espressione attonita, incredula, come tante vergini ai piedi della croce, hanno fatto il giro del mondo. L’ultima, madre Lucita, è morta nel mese di maggio dello scorso anno. Il suo lemma era “Dios proveerá”, ci penserà Dio in una libera traduzione. E Dio ci ha pensato, ispirando chi ha voluto iniziare la causa di beatificazione, primo fra tutti il successore di Romero dopo la morte, quel Rivera y Damas così presto dimenticato. Un cammino tortuoso che finirà domani, alle 11 circa, quando – dopo una breve biografia – il cardinale Angelo Amato leggerà la lettera vergata dal Papa.

A pochi minuti di cammino dalla piazza della celebrazione c’è il seminario di San José della montagna, la radio cattolica, il settimanale “Orientación”, di cui Romero è stato direttore per un anno, dal 1972 al 1973. Oggi lo dirige monsignor Jesús Delgado, suo segretario all’epoca e postulatore della causa nella sua fase diocesana. Il numero speciale dedicato alla beatificazione è pronto. In copertina c’è un Romero un po’ arcigno, a seguire un Francisco sorridente con a fianco il testo della Lettera apostolica autografata da papa Francesco e la formula d’uso: “Corrispondendo al desiderio del nostro fratello José Luis Escobar Alas, Arcivescovo Metropolitano di San Salvador in America, e di tutti i suoi fratelli nell’episcopato, per ricolmare la speranza di moltissimi fedeli cristiani, avendo realizzato le consultazioni del caso alla Congregazione per i Santi, in virtù dell’autorità apostolica ricevuta disponiamo che il venerabile Servo di Dio OSCAR ARNULFO ROMERO GALDÁMEZ, Vescovo e martire, pastore secondo il cuore di Cristo, evangelizzatore e padre dei poveri, testimone eroico del Regno di Dio: Regno di giustizia, fraternità e pace, da questo momento venga chiamato Beato e si celebri la sua festa”.

La ricostruzione del percorso seguito dalla causa sino a questo momento è affidata a Gregorio Rosa Chavez, ausiliare di San Salvador con un passato strettamente legato a Romero. Un testimone di prima mano, dice di se stesso, “di un cammino pieno di ostacoli cominciato nel 1990, quando Monsignor Arturo Rivera Damas annunciò, nel decimo anniversario del martirio del predecessore, la sua intenzione di iniziare il processo di canonizzazione”. Quest’ultimo si aprì formalmente quattro anni dopo, nel 1994, con Jesús Delgado e Rafael Urrutia alla testa. Morto improvvisamente Rivera y Damas il 26 novembre 1994, toccò al successore raccoglierne l’eredità, Fernando Sáenz Lacalle. Gregorio Rosa Chavez ricorda “la toccante cerimonia del 1 novembre 1996, quando Monsignor Saenz chiuse ufficialmente il processo diocesano e inviò a Roma tutta la documentazione”. Ebbe inizio la fase romana, “una interminabile via crucis” nella rievocazione di Rosa Chavez “con momenti di arresto”. “Il santo di quattro papi” come ebbe a dire il postulatore italiano Vincenzo Paglia alludendo agli incontri di Romero con Paolo VI nel 1978, poi con Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, e l’argentino Francesco. L’ultimo è stato quello buono. E ha introdotto al momento attuale.

“Orientacion” anno LXIII n. 5861 non è ancora in circolazione, inspiegabilmente ne sono già state stampate 4 mila copie appena, un numero esiguo, lontano delle alte tirature degli anni ‘80, ma la cronaca è al passato e sulle pagine del settimanale la beatificazione viene fotografata in presa diretta: “Ieri El Salvador è stato testimone di una festa planetaria: milletrecento sacerdoti, un centinaio di vescovi e una decina di cardinali…”. Gli accenti che seguono puntano alla dimensione “Americana” e continentale dell’evento.

José Luís Escobar Alas, successore in carica di Romero e presidente della Conferenza episcopale del Salvador, affida a “La Prensa grafica”, il principale quotidiano nazionale, le sue considerazioni della vigilia. Non è uno che si sbilanci e la sua moderazione, che nella fase conclusiva del processo di beatificazione ha avuto un peso positivo, gli viene spesso addebitata come un limite. Escobar Alas, settimo arcivescovo di San Salvador, non esita a vedere nella beatificazione di Romero uno spartiacque, “un prima e un dopo per la Chiesa nella regione latinoamericana, nel Salvador, e nel mondo”. Il dopo lo descrive come quello di una Chiesa “più vicina al popolo, più accessibile, più incline al servizio, più impegnata con la giustizia in beneficio dei poveri”. Poi lancia quattro notizie a raffica sul dopo beatificazione tutt’altro che “moderate”.

La Chiesa chiederà che venga fatta giustizia, il processo riaperto e i colpevoli identificati nelle rispettive responsabilità e puniti, una cosa, quest’ultima, che non era ancora stata detta con questi toni ultimativi e che ha immediatamente trovata eco nella storica “Oficina de Tutela Legal”, anch’essa iniziata da Romero, che oggi, vigilia della beatificazione, ha chiesto la sospensione della Legge di amnistia approvata nel 1993 per soggetti coinvolti in vario modo nella guerra civile. Non è tutto. José Luís Escobar Alas ha annunciato che si inizierà da subito a lavorare alla canonizzazione di Romero. Si sa che segnalazioni di miracoli “ottenuti invocando il nome di Romero” sono già giunte presso la commissione istituita appositamente per raccoglierle e due in particolare verranno investigate a fondo, quella di un salvadoregno ventenne vissuto a Milano precipitato da un decimo piano e quella di una religiosa inspiegabilmente guarita. Soprattutto la beatificazione di Romero è additata dal prelato salvadoregno come un antecedente che apre le porte a molti altri casi. “Ne sono allo studio più di 500” conferma Escobar Alas, che nomina in ordine di probabile maturazione quello del gesuita Rutilio Grande, assassinato tre anni prima di Romero, il 12 marzo del 1977, e quello dei gesuiti dell’Università centroamericana massacrati il 16 novembre 1989.

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