UNA LITTLE SYRIA NEL CUORE DEL BRASILE. E’ il paese più attivo dell’America Latina nell’accoglienza di chi scappa dall’inferno della guerra. Migliaia i rifugiati siriani

Famiglia siriana a San Paolo
Famiglia siriana a San Paolo

La maggior parte sono uomini soli, tra i 20 e i 30 anni, con istruzione universitaria ed inglese fluente. Approfittano di una risoluzione voluta dal governo brasiliano per sburocratizzare la concessione di visti ai rifugiati e che ha portato a 1740 il numero di arrivi solo nel 2014 facendo del Brasile il paese più attivo dell’America Latina nell’accoglienza di chi scappa dalla guerra. La rivista Istoé ha raccontato le storie di alcuni di loro. Come quella del trentunenne Nasr Alden Moughrabiah, fuggito dalla Siria per non essere costretto ad arruolarsi nell’esercito. Vive a San Paolo e lavora come rappresentante di una marca di jeans e dice che il padre, la madre e il fratello stanno aspettando solo di vendere la loro casa a Damasco per trasferirsi con lui. Moughrabiah ha scelto vivere nei dintorni della moschea di Pari, diventata un punto di riferimento per questi profughi catapultati dall’altra parte dell’oceano. “Siamo come una scialuppa di salvataggio”, spiega la funzionaria Layla Lelo, brasiliana convertita all’islam e una delle fondatrici di “Oasis Solidario”, un gruppo che presta appoggio ai rifugiati in collaborazione con le autorità. Anche se per un altro dei fondatori, il siriano Amer Mohamad Masarini, il governo potrebbe fare di più: “È una cosa ottima che il Brasile abbia aperto le porte. Tuttavia i problemi iniziano non appena i profughi toccano terra: c’è poca gente in grado di dare informazioni – non dico in arabo – ma nemmeno in inglese”. Altre organizzazioni per i diritti umani, come la Commissione dei Diritti del Rifugiato, concordano: “La maggior parte dell’aiuto arriva dal terzo settore. Il governo deve organizzarsi meglio per far fronte al numero di arrivi, in aumento anche nel 2015”.

Sì, perché sono già circa 4 milioni i siriani fuggiti dal conflitto iniziato con una manifestazione pacifica durante le Primavere Arabe nel 2011 e che – ben lontano dalla fine – ha già lasciato 200 mila morti in 3 anni. “Lei non sa che cos’è la guerra”, ripete Mazen al-Sahli, un uomo di 45 anni che in seguito a un bombardamento ha perso la casa e il ristorante che aveva a Damasco. Ora vive a San Paolo insieme al figlio di 16 anni e alla moglie. Il Brasile è stato l’unico paese ad accettare la loro richiesta di asilo, dopo i dinieghi delle ambasciate di Svezia e Germania (ma va detto che questi due paesi in Europa accolgono da soli il 52 per cento dei rifugiati). Sono qui dal gennaio del 2014, poco più di un anno. “Poco alla volta stiamo ricostruendo la nostra vita”, dice. “È difficile ricominciare, ma è stato meglio venire qui che rimanere in un posto in cui non potevamo più uscire di casa per paura di morire”.

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