IL GERGO DI FRANCESCO/22. Se mi tocchi la mamma…

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Anche in questo caso, come per i due tarli che rosicchiano la Fede della Chiesa, non ho potuto fare a meno di sorridere. E’ stato quando ho letto la trascrizione della conferenza stampa tenuta da Francesco sull’aereo che lo portava nello Sri Lanka. Mi riferisco, ovviamente, alla “minaccia” diretta al dottor Gasbarri, amico suo e organizzatore dei viaggi papali, di dargli un pugno qualora si fosse preso la libertà di insultare la sua adorata madre, donna Regina Maria. Rispondeva alla domanda di un collega circa la strage dei giornalisti di Charlie Hebdo. Non so se anche sull’aereo, tra i giornalisti al seguito, ci sia stata qualche risatina. Nel mio caso sì, c’è stata, e appena represso il moto di risa la mente è corsa a briglie sciolte indietro nel tempo, giù giù verso l’adolescenza, o forse più indietro ancora, all’infanzia. Era lì che si stabilivano certe frontiere, certi codici da rispettare, che nello stesso momento diventavano anche altrettanti limiti da non oltrepassare. Alcune cose si potevano dire senza problemi però ce n’erano altre che comportavano un certo costo, a volte anche alto. Uno di questi argomenti tabù era la mamma, al punto tale che, quando la discussione diventava accesa e minacciava di prendere una brutta piega, si avvisava preventivamente l’altro di “non osare insultare mia madre altrimenti te le do”.

Il linguaggio degli argentini, l’ho già scritto in più di un Bergoglismo, è il frutto sedimentato dell’immigrazione avvenuta nel tempo, con il suo carico di diversità provenienti dalla lingua italiana e da tutti i suoi dialetti, dal francese e i suoi argot, dall’inglese, dal tedesco, dallo yiddish, dall’arabo. E anche dalle connotazioni religiose o politiche che venivano insinuate da chi adoperava tali lingue.

In tutti gli idiomi, senza eccezione alcuna, le espressioni oltraggiose rivolte alla madre sono tra le più roventi. Tra le più scarnificanti e inaccettabili. Si possono toccare tante cose ma la madre è sacra. Offendere la madre altrui è disprezzare l’essere più profondo di chi è oggetto dell’aggressione e, di converso, sentire insultata la propria madre è quanto di più oltraggioso possa esserci.

Il concetto fondamentale nella convivenza fra realtà umane e mentalità diverse deve essere quello del rispetto reciproco e nelle civilizzazioni più evolute lo è; però anche in queste ultime il sensore più sensibile di una sana tolleranza è rappresentato dalle cose più intime, siano esse convinzioni o affetti, e la religione e la madre è tra queste ultime.

Quando l’irriverenza tocca questo livello, allora si reagisce. Di qui la fatidica frase che ha fatto più volte il giro dell’orbe terraqueo: “Se il dottor Gasbarri, che è mio amico, dice una parolaccia contro la mia mamma è normale che si aspetti un pugno. Non si può provocare non si può prendere in giro la religione di un altro. Non va bene”.

Un gruppo di esagitati uccide venti persone a Parigi. La gente reagisce e scende in piazza stringendosi attorno a Charlie Hebdo. Molti di quelli che aderiscono al “Je suis Charlie Hebdo” neppure conoscevano la rivista. Altri pensavano che non valesse neanche la pena perder tempo per mettersi a criticare una pubblicazione come quella. Ma una aggressione così insensata passa sopra ad ogni altra divisione di gusti o opinioni.

Io non sono Charlie Hebdo. Lo dico senza problemi. Ma sono un giornalista, e pur considerando che coloro che facevano quella rivista distillavano cattivo gusto, una malcelata discriminazione e una ostentata mancanza di rispetto (non soltanto nei confronti di Maometto ma del genere umano) non posso non sentire tutto lo sdegno di fronte a un atto tanto sproporzionato e violatorio. Non in nome della libertà di espressione bensì perché non c’è niente che giustifichi il togliere la vita a un altro essere creato. Quelli che hanno compiuto questo gesto sono dei miserabili accecati dall’odio e dal fanatismo, punto e basta. Poi si potrà eccepire sulla qualità della satira delle vittime. E anche far notare che quasi in contemporanea al massacro di Parigi, in Nigeria morivano 2000 cristiani per mano di Boko Haram e poco prima, in Pakistan circa 200 bambini islamici che frequentavano una scuola allestita dall’esercito senza che nessuno sia sceso nelle strade a manifestare il suo ripudio e la sua indignazione.

Io sono fra quanti considerano che i cattolici dovremmo sentirci molto più offesi e indignati, perché le offese alla nostra fede sono state molto più pesanti delle caricature su Maometto. Ma sembra che ci teniamo di più a non essere additati come oscurantisti o intolleranti (e per timore di questo giudizio sopportiamo gli insulti, le offese, le aggressioni, e addirittura le profanazioni, in silenzio ) che a reagire. E parlando di reazione non mi riferisco in nessun modo all’uso di un kalashnikov o di qualunque violenza, compreso il fatidico pugno.

Credo che le parole di Francesco occorra prenderle da questo punto di vista. Quel fervore giovanile che ci faceva ribollire il sangue quando offendevano la madre, deve esserci anche nel cattolico maturo, più addomesticato, più pacato, ma sempre pronto a venir fuori per difendere quello in cui crede e ama. Per un adolescente era la donna che lo aveva fatto nascere, per un uomo di fede lo è anche Maria, madre nostra e madre di Dio (concetto sempre difficile da spiegare a un non credente); e Madre lo è anche la Chiesa. Ecco perché “Non si può provocare, non si può prendere in giro la religione di un altro. Non va bene”. Perché è come se offendessero mia madre.

Un pugno in faccia non sembra molto cristiano, ma è sicuramente molto umano di fronte a uno che non sta semplicemente (e magari intelligentemente) esprimendo una critica o il suo dissenso bensì insultando pesantemente quello che abbiamo di più caro.

Così come non si può accettare che si limiti la libertà di espressione uccidendo i giornalisti, non si può neanche accettare che si confonda l’offesa, lo scarnio e l’oltraggio con l”ironia”.

Il pugno è solo un modo di dire, una immagine ben conosciuta per segnalare una reazione che prima delle mani è del cuore e di un doppio, singolare movimento: quello che porta ad aderire con più affetto, dopo ogni offesa, al Mistero del Dio incarnato e fatto uomo da un lato, e l’altro movimento simultaneo, quello di spiegare la portata salvifica dell’incarnazione per gli altri uomini e la storia intera dall’altro.

Traduzione dallo spagnolo di Mariana Gabriela Janún

  1. Quel Dio cattolico che ci “primerea” sempre
  2. Non “balconear” la vita, ma tuffarsi come ha fatto Gesù
  3. Una civilizzazione che si è “spannata” ha bisogno della speranza cristiana
  4. “Hagan lio”, perché la Buona Notizia non è silenziosa…
  5. Quella nullificazione che cancella l’Altro. Non lasciatevi ningunear…
  6. Quell’invito a “pescar” uno sguardo nuovo sulla società e sulla Chiesa
  7. Che pena una gioventù empachada e triste!
  8. “Misericordiando”. Dialogo con il Papa su un curioso gerundio
  9. Il “chamuyo” di Dio, seduttore ad oltranza
  10. Que Dios me banque! Se mi ha messo qui che ci pensi lui
  11. Lo spirito del soldato e i generali sconfitti del doverfaresimo
  12. “Giocare in attacco”. Le metafore calcistiche di un papa tifoso
  13. Cristiani gioiosi e facce da “cetriolini sott’aceto”
  14. La fiaba cinese dell’abolizione della schiavitù
  15. Viandanti della Fede tra scuola e strada
  16. Un consiglio ai “trepas” nella Chiesa: arrampicatori, fate gli alpinisti, è più sano
  17. “Recen por mi”. Un bergoglismo poco bergogliano? Forse. Ma a forza di chiederlo il Papa ci ha messo il copyright
  18. Non siamo guachos,abbiamo una Madre che si prende cura di noi!
  19. Aprite le ali e affondate le radici. No arruguen!
  20. La teologia dell’aquilone: “Dagli corda che scodinzola”
  21. I tarli che rodono la stoffa della Chiesa: rivalità e vanagloria

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