GRACIAS MR. PRESIDENT. 4,7 milioni di persone beneficeranno delle nuove regole migratorie della riforma Obama. In maggioranza messicani e centroamericani

Latino soddisfatto /Foto AP
Latino soddisfatto /Foto AP

Ha citato la Bibbia, Obama – “Una volta eravamo stranieri anche noi” – nell’annunciare il più grande intervento in materia d’immigrazione da trent’anni a questa parte. Grazie ai suoi poteri esecutivi, la decisione del presidente americano permetterà a circa 4,7 milioni di padri di cittadini residenti di rimanere temporalmente negli Stati Uniti, senza rischiare le temute deportazioni nei paesi d’origine. Si tratta, di fatto, del via libera a una sorta di “ricongiungimento familiare” che con le norme attuali era molto difficile. I figli degli immigrati, infatti, anche se clandestini, potevano godere dello status di cittadini americani in virtù del principio di ius soli vigente negli USA, mentre i genitori perduravano in una situazione d’irregolarità, senza nemmeno la possibilità di pagare le tasse, pur – come accade nella realtà – lavorando da molti anni e spesso, ha riconosciuto Obama, “sfruttati e costretti a vivere nell’ombra anche se vogliono disperatamente rispettare le leggi”. La condizione per poter chiedere il beneficio è aver vissuto per almeno 5 anni nel paese, a partire dal 2010.

I permessi di soggiorno che otterranno saranno validi per tre anni, probabilmente rinnovabili alla scadenza.

Ma alla “carota” delle misure positive – a cui ne vanno aggiunte altre, come quelle che faciliteranno le pratiche per gli immigrati particolarmente qualificati (e quindi in primis per gli studenti) e per i giovani entrati illegalmente nel paese quando erano bambini (si calcola siano circa 300 mila) – Obama ha anche affiancato il “bastone” della tolleranza zero contro chi non rispetta le regole, prevedendo di rafforzare i controlli alle frontiere, nel solco di quanto peraltro fatto negli anni della sua Amministrazione: il governo di Obama ha infatti finora espulso circa 400 mila migranti ogni anno e ha provato a farlo dando la precedenza ai criminali, ai terroristi e in generale a persone che si crede possano nuocere alla sicurezza nazionale.

Inoltre verrà chiuso un programma piuttosto controverso chiamato “Comunità sicure”, che permetteva alle polizie locali di trattenere gli immigrati arrestati fino a quando i loro casi non venivano analizzati dagli agenti federali dell’immigrazione. Questo sistema sarà rimpiazzato con una nuova soluzione grazie alla quale i migranti arrestati dovranno sempre fornire le loro impronte digitali, ma in compenso spetterà alle agenzie locali stabilire se avvisare quelle federali per un’avvenuta violazione della legge sull’immigrazione.

Per quanto riguarda la provenienza dei soggetti beneficiati, degli 11,7 milioni di persone che vivono senza documenti negli Stati Uniti, il 70 per cento provengono dal Messico e dall’America Centrale. E non a caso, gli Stati con più persone beneficiate saranno California, Texas, Nevada e New Jersey, dove 50 ogni 1000 abitanti sono immigrati, in maggioranza ispanici.

Anche se l’opposizione repubblicana è insorta contro la decisione presidenziale – definendola un “abuso di potere” – a guardare la storia non è la prima volta che un presidente governa per decreto. Obama è stato uno dei più parchi nell’adottare questa possibilità: solo 193 volte contro, per esempio, le 3552 volte di Roosevelt. E anche Reagan aveva utilizzato lo strumento del decreto nel 1986 per legalizzare tre milioni di clandestini, così come Bush (padre) quattro anni dopo.

Le decisione naturalmente ha profonde implicazioni politiche. Quella di una grande riforma dell’immigrazione era stata una delle grandi promesse di Obama, candidato per cui si stima abbia votato il 70 per cento degli ispanici. L’impossibilità di approvarla nel Congresso – dove i democratici hanno perso la maggioranza – ha portato alla decisione di usare i poteri esecutivi.

L’obbiettivo del partito democratico è quello di assicurarsi il voto latino anche al prossimo giro, nel 2016, anche se gli ispanici – ormai 52 milioni di abitanti su 310 – votano poco. Il New York Times ha calcolato che si recano alle urne solo 11 milioni, mentre il 75 per cento dell’elettorato continua ad essere bianco e non considera tra le priorità la riforma migratoria.

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