MESSICO BARBARICO. Sopravviverà la democracia messicana all’assalto dei violenti?

Pioggia a Città de Messico – Foto Victor Camacho
Pioggia a Città de Messico – Foto Victor Camacho

Lo spaventoso massacro dei 43 studenti della Scuola Normale di Ayotzinapa ha provocato una indignazione sociale senza precedenti dopo il 1968. È una reazione giustificata e naturale. Considerando la storia passata e recente dello Stato di Guerrero, inevitabilmente doveva accadere una tragedia, e quello che sorprende è che non sia successa prima e che le varie istanze di governo non l’abbiano prevista ed evitata. Non tutto il Messico è Guerrero, ma adesso sembra che sia così.

Guerrero è uno Stato ricco di spiagge e di risorse naturali (è il nostro più importante produttore di oro), che soffre però di una emarginazione profonda: il 70% dei suoi abitanti vive in stato di povertà. La tassa di omicidi, quattro volte superiore alla media nazionale, è la più alta del paese, e forse lo è stata sempre. Guerrero è stato ingovernabile fin dai tempi delle colonie, ha accolto molto tardi la presenza della Chiesa (il suo primo vescovo è del 1819, quasi tre secoli dopo la Conquista) ed è stato teatro privilegiato di tutte le nostre guerre nazionali.

Nel Dizionario geografico, storico, biografico e linguistico dello Stato di Guerrero, di Héctor F. López, quasi in ogni pagina si può trovare una lite tra “montecchi e capuleti”, risolta non a fil di spada ma a colpi di machete. La sua storia política è stata un susseguirsi di usurpazioni, colpi di stato, tradimenti, illegalità, negligenze, destituzioni e divisioni risolte con spari e assassinii. Dal 27 ottobre del 1849, data in cui Guerrero fu costituito come Stato, e fino al 1942, anno in cui López pubblicò il suo libro, solo un governatore era arrivato al termine del suo mandato costituzionale.

Nulla di tutto questo sospettavo quando da bambino affrontavo insieme alla mia famiglia il viaggio annuale in occasione delle vacanze verso il porto paradisiaco di Acapulco. All’improvviso, nel 1960, mentre i personaggi celebri di tutto il mondo inauguravano il Festival Internazionale del Cinema ad Acapulco, ricordo nitidamente la terribile notizia: a Chilpancingo, capitale dello Stato, c’era stata una strage di contadini. Per me, e per molti messicani, fu la fine dell’innocenza: il riapparire del sustrato violento del Messico, del Messico barbarico.

Il governatore fu destituito; ciò nonostante, quei fatti diedero impulso all’attivismo della sinistra, favorito anche dal recente trionfo della Rivoluzione cubana. L’epicentro di questo spirito rivoluzionario fu proprio la Scuola Normale Rurale di Ayotzinapa. Fondata negli anni venti, seguì i principi dell’educazione socialista e mantenne sempre una chiara affiliazione al marxismo. Da questa scuola uscì Lucio Cabañas, che con un gran appoggio sociale dichiarò la guerra allo Stato messicano – così come Genaro Vázquez Rojas.

In tutta l’America Latina, l’attivismo rivoluzionario di Cuba si scontrò con l’Esercito, con il risultato che, negli anni 70, otto dei dieci paesi sudamericani erano governati da dittature militari. Il Messico era un’eccezione, per l’accordo non scritto stipulato con Cuba a partire dal 1959: il Messico fu l’unico paese del continente americano che si rifiutò di rompere i rapporti con Cuba, e in cambio Cuba si astenne dall’appoggiare i rivoluzionari messicani. Questo spiega perchè, negli anni settanta, il presidente Echeverría (1970-1976) aprisse le porte del paese ai rifugiati che fuggivano dal terrore militare del Cile e dell’Argentina, nello stesso momento in cui scatenava il terrore (soprattutto nello Stato di Guerrero) per eliminare tutti i gruppi di guerriglieri. In quegli anni, Guerrero divenne lo stato più militarizzato del Messico. Dopo un decennio di violenza intensa nota come la “guerra sporca”, e dopo la morte dei leaders guerriglieri, a partire dagli anni ottanta la zona cadde in una ingannevole calma, costellata da nuovi fatti brutali, come la strage di Aguas Blancas nel 1995.

Con l’arrivo del nuovo secolo, un esecrabile protagonista ha rafforzato la sua presenza: il narcotraffico. Guerrero era lo Stato ideale: un paesaggio scabro (zone montagnose intricate e isolate), una cultura ancestrale della violenza, una società debilitata dagli strascichi della guerra sporca e altrettanto povera – in alcune zone – come gli abitanti delle aree più povere dell’Africa. Però qualcos’altro attirò irresistibilmente la criminalità organizzata: la corruzione a livello politico. In molti municipi di Guerrero (e del paese) i presidenti municipali e i loro organismi di polizia proteggono i signori del narcotraffico, si associano con loro o, in alcuni casi (como a Iguala), sono loro stessi.

Nello Stato di Guerrero, il Governo del PRD (Partido Revolucionario Democratico), che da quasi dieci anni ne è alla guida, ha assistito a questo legame della politica con la criminalità senza battere ciglio (questo, nel migliore dei casi). Il potere federale è stato, per lo meno, assente e inefficace. E l’Esercito, che dispone di una base importante vicino ad Iguala, inesplicabilmente ha permesso che l’alleanza perversa istallasse la sue sedi.

L’alleanza ha prosperato. Oggi Guerrero concentra il 98% della produzione nazionale di papaveri. Il presidente Obama recentemente ha citato una relazione della DEA rispetto a un incremento del 324% nelle confische di eroina alla frontiera, tra il 2009 e il 2013. Buona parte proviene dallo Stato di Guerrero. Non è casuale che Iguala sia stata l’epicentro della tragedia: una narcocittà esportatrice di droga, governata dal crimine.

E gli studenti? Non disponiamo ancora di informazioni definitive, però il motivo del loro orrendo assassinio – degno dei campi di sterminio – sembra che sia stato questo: con le loro manifestazioni politiche, le loro proteste sociali e il loro idealismo rivoluzionario, davano fastidio agli affari e al potere del presidente municipale e di sua moglie (ora già detenuti), alleati al grupo criminale Guerrieri Uniti. Perchè ucciderli? Perchè erano “ribelli”, ha dichiarato uno degli assassini.

Alcuni anni fa a Monterrey un grupo di sicari incendiò il Casinò Royal e provocò 53 morti. Quella strage fece scattare tutti gli allarmi. La società, gli impresari, i mezzi di comunicazione collaborarono direttamente al rinnovo integrale delle polizie, investirono in opere sociali ed educative, furono esigenti con il Governo statale e, se non riuscirono ad eliminare il problema, lo resero gestibile. Qualcosa di simile è successo a Tijuana e ancora a Ciudad Juárez. Per gli altissimi livelli di emarginazione e il bassissimo livello educativo, difficilmente si potrà replicare il modello nello stato di Guerrero.

Il Messico ha bisogno di un sistema di sicurezza e di giustizia che protegga il bene più prezioso, la vita umana. La incessante marea delittiva non solo deve fermarsi, deve ritirarsi grazie all’azione legittima della legge. Ogni giorno che passa, il cittadino –deluso da tutti i partiti, dai politici e dalla politica – sprofonda sempre più nello scoraggiamento e nella disperazione. Per questo, il Governo ha l’obbligo di prendere tutte le misure possibili per controbattere a coloro che – ingiustamente – accusano il Messico di essre un narcostato. Dalla soluzione di fondo che si riesca a dare a questa allarmante debolezza dello Stato di diritto dipende – senza esagerare – la possibilità di sopravvivenza della democrazia messicana.

*Scrittore messicano e direttore della rivista Letras Libres

Traduzione dallo spagnolo di Francesca Casaliggi

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