MOLTO CEMENTO, POCO PROGRESSO. Il governo del Guatemala chiede la mediazione della Chiesa nel violento conflitto tra indigeni e lavoratori di un cementificio

La guerra del cemento
La guerra del cemento

Il governo guatemalteco di Otto Pérez Molina corre ai ripari e chiede la mediazione della Chiesa per negoziare con gli indigeni che rifiutano le attività dell’industria estrattiva sul territorio delle loro comunità. Il capo del governo si è recato presso la sede della Nunziatura apostolica dove ha formalmente prospettato una richiesta di collaborazione alla Conferenza episcopale del Guatemala per avviare possibili soluzioni ad una crisi già sconfinata nella violenza. La situazione è peggiorata nelle ultime settimane quando un gruppo armato di dipendenti della “Cementos Progreso” ha aperto il fuoco contro alcuni leader della comunità indigena del distretto di Sacatepéquez, nel centro della Repubblica del Guatemala, causando una decina di morti e diversi feriti. La tensione è rapidamente cresciuta, obbligando le autorità a dichiarare il coprifuoco per scongiurare rappresaglie da parte di familiari e amici delle vittime.

Per comprendere le radici del conflitto bisogna risalire al 2006, quando la “Cementos Progreso”, storica impresa edile del paese nata alla fine dell’Ottocento, annuncia di voler costruire una grande fabbrica di cemento nei territori indigeni senza aver sondato gli umori della popolazione locale. Le prime proteste non tardano; l’insediamento industriale – a detta dei residenti – causerebbe danni ambientali ingenti e non garantirebbe benefici significativi alla popolazione del posto. Sul versante opposto molti dipendenti della fabbrica vedono nelle proteste un rischio per il proprio posto di lavoro al punto che alcuni, organizzati in vere e proprie squadre armate, rispondono con minacce e atti di vandalismo contro i leader delle comunità locali. La Chiesa non risparmia critiche nei confronti dei facinorosi. Ad agosto l’arcivescovo di Santiago del Guatemala, Oscar Julio Vian Morales, denuncia i violenti nel corso di una celebrazione ad Amatitlán: «Non si possono uccidere persone come se fossero animali. Anche agli animali dobbiamo rispetto, come si può non rispettare la vita degli uomini?». Per le autorità ecclesiastiche l’intervento stesso dell’esercito non favorisce la pacificazione ma rischia di trascinare la situazione verso un punto di non ritorno. La strada da percorrere – afferma la Chiesa – è quella del dialogo costruttivo tra le parti e il governo, che deve lavorare per il bene della società, creando posti di lavoro e garantendo l’istruzione pubblica per tutti. Un appello che ha aperto le porte alla richiesta formale di mediazione che il governo del Guatemala ha rivolto alla Chiesa.

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