ORO MALEDETTO. Accampamenti abusivi e cercatori d’oro in Amazzonia. Il governo del Perù manda la truppa

La nuova cocaina
La nuova cocaina

Sloggiati i cercatori d’oro e smantellati gli accampamenti abusivi. Elicotteri e truppe di terra hanno sgomberato cinque accampamenti illegali per l’estrazione dell’oro sulle rive del fiume Santiago, nell’amazzonia peruviana. Gli interventi hanno distrutto un totale di 17 draghe impiegate per l’estrazione dell’oro dal letto del fiume. Nessun arresto registrato, giacché gli illegali hanno trovato rifugio nella fitta foresta tra le alture del monte Awajún.

Un mercato, quello delle miniere illegali, che produce il 20 cento dell’oro di tutto il paese e offre lavoro a circa 40.000 persone, perlopiù provenienti dagli altipiani delle Ande e da altre zone povere del Perù. Uomini diventati, dalla sera alla mattina, cercatori d’oro. Si tratta di un fenomeno esploso alla metà degli anni Ottanta, indotto dall’aumento esponenziale del prezzo dell’oro sui mercati internazionali. Una possibilità troppo ghiotta per non tentare la via di una ricerca illegale, sfiancante, fatta di intere giornate in mezzo al fango fino alle ginocchia, ma estremamente florida soprattutto per chi non ha altre possibilità.

L’offensiva del governo di Ollanta Humala ai cercatori d’oro abusivi del Perù è iniziata ad aprile su vasta scala. Il governo, incalzato sul piano internazionale, ha tentato dapprima la via pacifica mediante l’interruzione delle forniture di gasolio, necessarie per far funzionare i macchinari e camminare i camion. Poi l’intervento manu militari. Baracche bruciate, strutture a margine delle miniere distrutte, macchinari messi fuori uso.

Il primo obiettivo dichiarato del giro di vite delle autorità peruviane è quello di ridurre drasticamente l’impatto ambientale. Per separare i fiocchi d’oro dalla sabbia e dal suolo i cercatori utilizzano quantitativi rilevanti di mercurio, una tossina potente che, riversata nei fiumi e nel terreno, contamina la fauna ittica e compromette la catena alimentare. Non sono nuovi alla cronaca i casi di poliziotti, impiegati in queste operazioni, ricoverati negli ospedali con sintomi di intossicazione. La stessa costruzione dei rudimentali impianti d’estrazione del prezioso metallo comporta una lenta ma progressiva deforestazione dell’Amazzonia. Le stime ufficiali dell’ex ministro dell’ambiente peruviano Antonio Brack Egg parlano di circa 370.000 ettari di foresta andati distrutti dal 2000 a oggi. C’è poi – inutile negarlo – una ragione politico-economica: l’attività estrattiva è per larga parte nelle mani dei potenti cartelli della droga sudamericani. La criminalità legata a questi traffici è in constante aumento. E non è un caso se nei mesi scorsi alcuni analisti hanno definito l’oro “la nuova cocaina”.

Esiste, infine, anche un problema sociale, quello di lavoratori, anche minorenni, sottomessi ad una vita di stenti e turni di lavoro di 24 ore, pagati pochi dollari.

Secondo le dichiarazioni di Daniel Urresti, ex generale dell’esercito del Perù e attualmente responsabile delle operazioni di sgombero, il governo sta vagliando una serie di misure e di investimenti con lo scopo di ricollocare i minatori illegali soprattutto nei settori dell’agricoltura e del turismo.

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