IL SETTEMBRE ISLAMICO DELL’URUGUAY. In arrivo 120 siriani, altri 40 nel 2015. Poi ci sono i 6 detenuti di Guantanámo che potrebbero già essere nel paese

Pochi e pacifici
Pochi e pacifici

I sei reclusi di Guantanámo che l’Uruguay ha accettato di accogliere, e, si spera, integrare, non saranno i soli islamici che potrebbero ricevere la cittadinanza del piccolo paese sudamericano. Il manipolo di ex-jihadisti potrebbe aver già messo piede in terra charrua – la riservatezza era stata preannunciata dal portavoce del presidente Mujica – o farlo senza clamori nei prossimi giorni. A loro si aggiungeranno un buon drappello di siriani provenienti dal Libano. Si sa che questa seconda operazione è stata già messa a punto. I candidati sono stati preselezionati dall’Acnur, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, e intervistati sul posto, in Libano, da funzionari del governo dell’Uruguay. 120 stanno disbrigando le ultime formalità e sbarcheranno a giorni nell’aeroporto di Montevideo, altri 40 più avanti, nel febbraio del prossimo anno. L’accordo prevede l’apertura dei confini nazionali a 16 nuclei famigliari di profughi in fuga delle guerra civile dei quali almeno il 60 per cento dovranno essere bambini.

I 160 designati si aggiungeranno alla tradizionalmente scarsa presenza islamica in questo lembo di terra latinoamericana, il “fiume dove vive l’uccello” tradotto dalla lingua Guaranì. Non più di 300, stando alla “Guida della diversità religiosa di Montevideo” pubblicata dal sociologo Néstor de Costa nel 2008, meno dello 0,01% della pur esigua popolazione dell’Uruguay. Una proporzione infima se comparata con la popolazione islamica che vive nei due grandi paesi limitrofi, il Brasile e l’Argentina, che secondo all’Organización Islamica per l’America Latina supererebbe i due milioni di mussulmani, due terzi dei quali stanziati in Brasile che vanta la maggiore comunità musulmana dell’America Latina.

I primi arabi sono arrivati a queste latitudini all’inizio del ‘900, con la caduta dell’Impero Ottomano, ma erano per lo più cristiani, ed i musulmani di fede islamica che li hanno seguiti si sono integrati con facilità nella cosiddetta “Svizzera del Sudamerica” caratterizzata da istituzioni sociali e politiche rigorosamente laiche. A Montevideo la collettività islamica non supera le 50 persone, ed ha tre punti di riferimento: il Centro islamico egiziano, l’Islam Center Uruguay e la fondazione Islam Amigo. Tra le tre ci sono contatti ma non un vero e proprio coordinamento centrale. Ma anche così l’arrivo in Uruguay dei detenuti da Guantanámo e dei siriani dal Libano è una scommessa coraggiosa che si inserisce in una tradizione di accoglienza di profughi e rifugiati che ha visto stratificarsi nel tempo repubblicani in fuga dal franchismo, anarchici di diversa nazionalità e molti antifascisti anche italiani che hanno trovato rifugio in questo fazzoletto incastonato tra Argentina e Brasile quando l’aria era divenuta pesante nelle rispettive terre.

La Chiesa farà la sua parte nell’operazione accoglienza. La residenza dove i 160 siriani trascorreranno le prime sei-otto settimane appartiene alla comunità marista che con l’appoggio dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni darà alloggio ai profughi. Da parte sua lo stato fornirà casa, alimentazione, un corso di spagnolo, formazione e lavoro. La Congregazione dei Fratelli Maristi non è nuova ad un impegno siriano. Le lettere del religioso Georges Sabé dalla città di Aleppo sono state la lettura corrente dei suoi confratelli uruguayani nei mesi scorsi, i quali, quando hanno saputo dell’intenzione del presidente José Mujica di aprire le porte a detenuti e profughi del martoriato paese si sono subito offerti.

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