Don Luigi Giussani e Alberto Methol Ferré, ottobre 1983
Don Luigi Giussani e Alberto Methol Ferré, ottobre 1983

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Il tema proposto fu un bilancio del pontificato di Giovanni Paolo II al giro di boa del quinto anno di pontificato.Lo riproponiamo alla vigilia della presentazione del volume “Il Papa e il Filosofo” (edizioni Cantagalli) che avverrà a Rimini mercoledì 27 agosto nel quadro dello spazio Invito alla lettura dell’odierna edizione del Meeting. Parteciperanno: Massimo Borghesi, Docente di Filosofia Morale all’Università degli Studi di Perugia; Guzmán Carriquiry, Segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina; Alver Metalli, Giornalista e Scrittore. Introdurrà Camillo Fornasieri, Direttore del Centro Culturale di Milano

 A.M: Osservando questo papa c’è una prima cosa che impressiona, ed è il suo impatto sulla gente. In Europa questo impatto è stato molto forte agli inizi del ponticato. In altri continenti, per esempio in America latina, ma anche in Africa, continua ad esserlo anche oggi. Invece chi lo critica, chi lo attacca, nelle diverse parti del mondo, sono soprattutto gli intellettuali. Perché il popolo lo ama e gli intellettuali lo attaccano e che rapporto c’è, in America latina ed in Europa, tra popolo ed intellettuali?

Luigi Giussani: Mi pare che gli intellettuali lo attacchino perché usa un sistema di categorie che deduce immediatamente dalla coscienza dell’avvenimento cristiano come fatto, come evento nella storia; fatto ed evento che investe l’umano nelle sue esigenze elementari per produrvi un risveglio e una nostalgia, una affezione e quindi una adesione al suo destino. Destino che poi coincide con il contenuto dell’evento stesso, cioè Cristo. Mentre l’intellettuale, se non conosce il cristianesimo in questo modo – innanzitutto come evento e come fatto che sfonda tutta la gabbia delle categorie ideologiche – è limitato ed inevitabilmente sente il discorso del Papa come non culturalmente evoluto, perché il Papa non assume le categorie ideologiche della cultura dominante.

Alberto Methol Ferré: Voglio rispondere raccontando un aneddoto. Quando il Papa venne in Messico io assistevo alla Conferenza di Puebla come esperto. Al termine dei lavori della giornata, nella notte, ero solito ritornare in albergo in taxi. Durante il percorso mi capitava di parlare con il taxista. Era la prima volta che Giovanni Paolo II viaggiava per l’America latina e che un papa veniva in Messico. Il taxista era un indio un po’ anziano, ed una notte mi disse: «Vede che, ogni giorno che passa, il Papa parla sempre meglio lo spagnolo?». Io non ho dato molto peso a questa sua esclamazione, a metà tra la domanda e l’affermazione e gli ho risposto più o meno: «sarà così», come dire, «se lo dici tu può darsi sia vero». Lui, alzando la voce, mi disse: «Sì, è proprio così. E sa perché? Perché nos quiere, ci vuole bene». Come mai riferisco questo episodio? Per dire che gli intellettuali, anche a Puebla, erano concentrati ad analizzare quello che diceva il Papa, ed il contesto ed il modo in cui parlava lo giudicavano trascurabile. Il popolo invece, che capisce il concetto attraverso il gesto, era stato sensibile alla variazione della pronuncia, ne aveva percepito il miglioramento, cosa a cui nessun intellettuale aveva fatto caso. Il popolo è molto più sottile degli intellettuali, le milioni di madri che osservavano il Papa accarezzare un bambino sapevano con precisione se lo faceva con amore o distrattamente, percepivano senza errore la verità di una testimonianza.

A.M. Già da queste risposte si inquadra anche l’altra questione, che e poi l’altra faccia della medaglia: il rapporto degli intellettuali con il popolo. Qual è, secondo voi, questo rapporto oggi? In Europa, per esempio?

Giussani: Tra intellettuali e popolo non c’è quel rapporto amoroso di cui parlava il professor Methol Ferré a proposito del Papa. Essendo media – che sono gli strumenti degli intellettuali al potere – purtroppo il popolo è lentamente formato nel senso letterale della parola -dagli schemi ideologici e pratici che gli intellettuali gli inoculano, quasi per pressione osmotica.

Methol Ferré: In America latina mi sembra di osservare un singolare fenomeno nell’area del potere. Un fenomeno che descriverei come una sorta di simbiosi tra il potere tradizionale ed un proletariato intellettuale di provenienza universitaria e di origine ideologica ultraizquierdista (di ultrasinistra). Il risultato, sul piano culturale, è la «vigenza» di schemi che si caratterizzano per la mancanza di comprensione dell’epoca, per una assoluta incapacità di dare intelligibilità storica agli avvenimenti. La prova che questi schemi sono fallimentari sta nel fatto che Giovanni Paolo II rompe le previsioni dell’intellighenzia che li produce. Quanti di questi intellettuali hanno pensato e ripetuto che la crisi della Chiesa cattolica post-conciliare dava luogo ad una sua progressiva decomposizione! Ed invece, con questo papa, sta succedendo qualcosa di ben diverso. E alcuni, pochi, i più onesti, riconoscono che Giovanni Paolo II è oggi l’unica figura propositiva a livello internazionale, innovatrice rispetto alla opacità dei due centri egemoni nel mondo, che non esercitano più alcuna attrazione e che pertanto devono ricorrere alla violenza per ottenere consenso. Ciò che per gli intellettuali è simbolo di «anacronicità» diventa, contro i loro stessi schemi, un fattore di «progresso». E un paradosso che si trovano davanti, e che li divide dal popolo semplice dell’America latina.

A.M. Tra gli intellettuali, in America latina, si sentono giudizi sul Papa di natura più politica; lo qualicano un «conservatore». In Europa invece, tra gli intellettuali, anche cattolici, circola un’accusa di natura più culturale; lo si considera premoderno, si dice che non capisce le esigenze degli uomini del nostro tempo. Mentre il primo tipo di critiche ha come retroterra il marxismo, che in America latina, per quanto in crisi, ha comunque una maggiore tenuta, il secondo parte da quella posizione scettica davanti alla vita che contraddistingue ormai tutta la cultura europea. É possibile identicare ulteriormente, sulla base della vostra esperienza, questi due retroterra?

Methol Ferré: A partire dalla mia esperienza, direi che la critica al Papa muove dalla convergenza di due aree: dai settori medi-piccolo borghesi dell’America Latina e dal marxismo. I primi hanno la tendenza ad imitare le abitudini delle società permissive degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale. Anche per essi l’idea di emancipazione è intesa, al fondo, come emancipazione da una responsabilità. Non accettano dunque la fermezza e la giovialità dell’ascetismo del Papa. Soprattutto la giovialità ascetica di Giovanni Paolo II gli è intollerabile. Accetterebbero di più un ascetismo sofferente e tormentato. Anzi, ne avrebbero bisogno proprio per dimostrare che la ascesi, la disciplina e il dominio di sé è una frustrazione della vita, e che essi sono invece per l’affermazione della vita. Ciò che irrita di Giovanni Paolo II è la sua trasfigurazione libera e positiva della vita. Se avesse una spiritualità anacronistica lo odierebbero molto meno e non criticherebbero la sua pretesa «premodernità». L’ascetica di Giovanni Paolo II rappresenta, al contrario, la liquidazione più radicale delle sopravvivenze gianseniste nella Chiesa. E ciò fa a pugni con la mentalità piccolo borghese, la quale, non a caso, si trova a suo agio con il marxismo, che è il secondo grande accusatore del Papa in America Latina. Tanto più oggi che il marxismo ha toccato il punto massimo di alienazione dalle masse. Che l’Unione Sovietica porti ai vertici il capo della polizia segreta rivela l’apice della separazione dal popolo, che è l’ambito del «pubblico» per antonomasia.

A.M. Ma in America latina c’è anche chi approva questo Papa in base ad un ragionamento che suona più o meno così: «nalmente possiamo dormire tranquilli perché c’è un Papa che riafferma una disciplina, dei principi, punisce i trasgressori…». Ci sono dei settori dell’episcopato latinoamericano la cui ottica, anche se variamente espressa, è riassumibile in questa posizione. Vi sembra accettabile una interpretazione che vede nell’attuale Papa solo il grande restauratore della disciplina ecclesiastica e dell’ortodossia dottrinaria dopo gli sbandamenti e le «fughe in avanti» della stagione postconciliare?

Methol Ferré: È per l’appunto un’interpretazione, ed essenzialmente sbagliata. Capisco che ci siano dei settori, nella Chiesa, che abbiano vissuto più agitatamente di altri gli anni del postconcilio, e che più di altri siano rimasti traumatizzati dalla convulsa ricerca di nuove forme storiche di presenza della Chiesa. Costoro sentono che per alcuni aspetti questo papa ha chiuso il ciclo postconciliare. Dopo essere stata sulla difensiva per molto tempo la Chiesa, con il Concilio, ha levato le ancore; ora con Giovanni Paolo II è uscita fuori dallo specchio d’acqua portuale ed è entrata in alto mare. Nell’equipaggio – per continuare con l’immagine – c’è chi ha provato un po’ di nausea, chi ha vomitato, chi si è gettato in acqua. Ma non è più possibile rientrare in nessun porto. Capisco quindi che tanti si augurino che il capitano tenga il timone con energia, che non sia lacerato da incertezze e da dubbi. I dubbi possono essere concessi ad un filosofo, non a chi deve testimoniare la fede e la speranza agli uomini. Però non è certo una visione conservatrice o restaurazionista che può stare a bordo e navigare con questo papa. Chi si augura questo non capisce che Wojtyla è il primo vero frutto della novità nata dal Concilio, è la prima fioritura, il primo figlio del Vaticano Il. Perciò non può essere interpretato con categorie preconciliari.

A.M. Si può parlare di un «dormir tranquilli›› anche per taluni settori cattolici in Europa?

Giussani: Non me la sentirei di sostenerlo. Parlerei piuttosto di smarrimento che cerca di mutuare vie sicure attingendole a categorie ritenute certe dalla cultura dominante. Tale smarrimento induce a non ricercare l’acqua pura, la freschezza nuova, nella sorgente unica che è quella del semplice fatto annunciato.

A.M. E perché c’è questa paura? È uno smarrimento, quello che lei descrive, che nasconde piuttosto una paura. Non a caso il Papa ripete spesso: «Non abbiate paura››…

Giussani: Io credo che il Papa lo ripeta a quelle due categorie di cui abbiamo parlato prima; vale a dire il popolo quando è popolo, ossia semplicemente proteso dalle sue esigenze naturali, e la categoria dei «veri colti», cioè coloro che veramente ricercano. Mentre la sicurezza che domina nelle classi che hanno il potere – di tutti i generi – è una sicurezza disperata, che cerca di appoggiarsi nei ritrovati della cosiddetta scienza.

A.M. Anche in questo caso è paura, paura che guardandosi al fondo si trovi solo disperazione…

Giussani: È più una obliterazione che una disperazione. Io credo che bisognerebbe domandarsi se il fatto cristiano non sia ricondotto troppo all’identificazione con la cosiddetta «parola››, intendendo con ciò le parole che l’hanno espresso. Bisognerebbe domandarsi se non si sia dileguata l’imponenza del fatto cristiano come tale per ridurlo alle parole, magari alle parole del Vangelo. E una parola è suggerimento ad un’interpretazione, e l’interpretazione è sempre determinata, se non si e più che critici e vigilanti, dalle categorie della cultura dominante. A questo punto non sarebbe più la parola del Vangelo in quanto indice di ciò che è accaduto, ma la parola del Vangelo in quanto pretesto per svolgimenti supposti adeguati alle ritenute evidenze della cultura al potere.

A.M. Quindi a questo papa non si perdona di mettere in crisi una situazione del genere?

Giussani: Si. Lo si accusa di non allinearsi con questo atteggiamento, e quindi da una parte lo si rimprovera per lo sconcerto, per la crisi che getta in quell’apparato di certezze (la cui origine è puramente ideologica); dall’altra lo si giudica come se ignorasse l’evoluzione affermata da questi sistemi culturali. Mentre il suo itinerario e tutta la formazione del suo pensiero, è ben lungi da questa ignoranza.

A.M. Per questo non è un buon papa, non svolge bene il suo ruolo? Intendo dire secondo quello che per le categorie dominanti deve essere e fare un buon papa?

Giussani: Non è ritenuto un buon papa in quanto non si allinea ai sistemi di pensiero dominanti. Tanto è vero che la rivendicazione nei suoi confronti, a mio avviso, si incarna nell’affermazione di una certa autonomia del singolo vescovo o delle singole conferenze episcopali. La disapprovazione che tanti ambienti ecclesiastici operano nei confronti dell’atteggiamento del papa è mossa in nome dell’autosufficienza dell’episcopato di un singolo Paese o del singolo vescovo. Questa non approvazione del Papa è uno staccare le proprie responsabilità da lui; come dire: «Lui è il vescovo di Roma e parla così, ma noi abbiamo la nostra concezione delle cose che è più adeguata ai tempi che viviamo». In questo senso dicevo prima che lo si accusa anche di non conoscere gli apporti significativi, ritenuti evidenti, della cultura al potere. Perciò bisogna distinguere la cultura al potere da quella che veramente ricerca.

Methol Ferré: Allo stesso tempo è singolare il fatto che Giovanni Paolo II affermi intensamente – in linea con Paolo VI – la collegialità episcopale ma come co-partecipazione nella Chiesa universale. Tutta la sua testimonianza va sempre nel senso di consolidare l’unione del papato con tutto il collegio episcopale. Lo vedo come un tratto assai caratteristico della linea del Papa.

Giussani: Coloro che lo accusano, se fossero più totalmente consapevoli, dovrebbero criticarlo di proseguire la linea del Paolo VI del Credo o dei suoi discorsi sul diavolo o della Humanae Vitae, cioè il proseguimento autentico di Paolo VI negli ultimi otto-dieci anni.

A.M: A proposito di Paolo VI spesso la cultura laicista – e in qualche caso anche cattolica – contrappone la «problematicità» moderna di Paolo VI alla «certezza» medievalista di Giovanni Paolo II. Per poi mostrare di apprezzare la prima contro la seconda…

Methol Ferré: Amano ora Paolo VI dopo che è venuto Giovanni Paolo II, non lo amavano prima. É un amore retrospettivo.

Giussani: In Italia, non solo. Amano un Paolo VI fermo ad un certo punto del suo itinerario sofferto, un Paolo VI fermato prima della famosa proclamazione del Credo.

A.M: Possiamo dire che mentre il Papa riafferma la speranza della gente semplice, alla cultura indica una ricerca, una responsabilità, una libertà dagli schemi, quelli del marxismo come quelli del capitalismo?

Giussani: Dà anche agli uomini di cultura la speranza, lo stimolo a cercare un’altra via.

A.M: E cos’è la speranza, l’attesa?

Giussani: L’attesa è l’esigenza naturale del popolo nella sua naturalezza sorgiva, ma anche degli uomini veramente colti, per i quali la cultura è una ricerca sincera di quale sia il senso della vita e della storia.

A.M: Qual è quest’«altra via››?

Giussani: È la preconizzazione di una civiltà nuova in cui il popolo possa trovare una vera dimora anche alle sue aspirazioni naturali.

A.M: Che cosa significa l’idea del Papa di un’Europa più grande? Per il Papa anche Cirillo e Metodio sono patroni d’Europa. Segno che per lui, l’Europa non si ferma a Yalta…

Giussani: Certo. È l’indicazione, più volte esplicitata, che una cultura e una civiltà europea che dia riscossa a valori adeguati alle esigenze dell’uomo può trovare la sua sorgente soltanto nella tradizione storica di tutti i popoli europei, cioè quella cristiana.

A.M: È stato detto, dal professor Methol Ferré, che Giovanni Paolo II è il primo Papa interamente formato dal Concilio. Cosa vuol dire?

Methol Ferré: Mi sembra che una delle più grosse difficoltà in cui si dibattono gli intellettuali sia stata e continui ad essere l’interpretazione del Concilio. Dal Concilio estraggono frammenti ma sono incapaci di coglierlo come evento nella sua sintesi. A me sembra che l’essenza del Vaticano II non sia tanto la riaffermazione delle verità ecclesiali di fronte alla Riforma, perché questo fu fatto dal Concilio di Trento; né tanto meno una semplice riaffermazione di queste verità di fronte agli errori dell’illuminismo. Il concilio è piuttosto lo sforzo di comprendere la verità contenuta nell’errore sia della Riforma che dell’illuminismo. Mi sembra che nel Concilio Vaticano II la Chiesa porti a termine creativamente, l’assimilazione, dal di dentro di se stessa, delle due sfide della storia moderna che restavano ancora pendenti e irrisolte nella loro completezza. Perciò io direi che il Concilio si sintetizza nelle due costituzioni che strutturano la sua totalità: la Lumen gentium e la Gaudium et spes. La Lumen gentium è appunto l’assunzione da parte della Chiesa della verità del protestantesimo. Preciso: non l’assunzione del protestantesimo, ma la riassunzione di molte verità basilari del protestantesimo, verità che la Chiesa reincontra questa volta a partire dalla propria interiorità ecclesiale. Mi riferisco soprattutto alla grande idea della Chiesa come popolo di Dio…

A.M: La interrompo perché a proposito dell’idea della Chiesa come popolo di Dio il teologo domenicano padre Chenu ha affermato di recente che proprio questa idea fu contrastata, nel Concilio, dall’allora arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla che sostenne, al contrario, il concetto di «societas perfecta».

Methol Ferré: Chenu fa questa affermazione andando contro i testi scritti degli interventi dell’arcivescovo Wojtyla. Wojtyla chiese che l’idea di popolo di Dio venisse posta nel testo prima che si parlasse della gerarchia e dei laici. D’altra parte, anche prescindendo da questo, è assurdo contrapporre l’idea di Chiesa-popolo e l’idea di Chiesa-società perfetta. Sono due concetti che non si riferiscono alla stessa cosa ma a cose completamente diverse. Società perfetta non identifica ciò che nel linguaggio abituale si intende con la parola «perfetta»; essa è invece una realtà che ha in sé le risorse per la propria indipendenza. Società perfetta, perciò, nel senso della tradizione scolastica è anche lo stato che è capace di sovranità per sé. La tradizione scolastica diceva che la Chiesa era anch’essa società perfetta, appunto per affermare la propria indipendenza dallo stato. Il problema, infatti, era che non fosse subordinata allo stato, che non avesse un fondamento concesso dallo stato, ma che gli derivasse dalla propria intima natura, cioè da Gesù Cristo.

A.M: Come può conciliare, questo Papa, la sua missione, l’annuncio, con il governo?

Giussani: A mio avviso si conciliano nel senso che il suo governo sta proprio nel favorire un’evoluzione del governo ecclesiastico fino alle sue strutture, secondo il contenuto dell’annuncio che lui ripete. L’impeto missionario del Papa non solo non esclude ma caratterizza una posizione di governo tanto chiaro nella direzione che assume, quanto paziente per far evolvere dall’interno la coscienza della ecclesiasticità di coloro che guidano o che esprimono la vita della Chiesa. Proprio il suo impeto apostolico, che superficialmente sembra ridurre la sua capacità di governo, realizza invece una forma di governo che non rompe, non forza, ma aspetta dalla coerenza- nella ripetizione del suo messaggio – la conversione delle coscienze della Chiesa, specialmente di coloro che la guidano o la esprimono.

Methol Ferré: Cioè è un governo che si attua più per convincimento ed esempio, che per amministrazione.

Giussani: Per questo uno degli strumenti di questa evoluzione che il Papa protegge sono i movimenti che costituiscono con il loro carisma una percezione rinnovata della vita della Chiesa, secondo l’intuizione fondamentale del Concilio.

A.M: Eppure proprio i movimenti ed il rapporto del Papa con alcuni di essi sono oggetto delle critiche più pesanti…

Giussani: I movimenti sono un capitolo d’accusa contro questo Papa in quanto costituiscono una sollecitazione autentica perché nasca proprio dalla coscienza del popolo di Dio il cambiamento della coscienza dei modi della Chiesa.

Methol Ferré: È così consapevole questa sollecitazione al popolo e alla sua coscienza nella gestazione dei movimenti, che questo Papa dimostra di incarnare in se stesso la Lumen Gentium come ecclesiologia del popolo di Dio. Le forme di autorità anteriori erano di più tendenti all’idea bellarminiana…

Giussani: …cui sono ancorate tutt’oggi molte posizioni ecclesiastiche, progressiste come ideologia e reazionarie come metodo.

Methol Ferré: Esatto, a tal punto che chi «processa» il Papa è costretto a basare la sua requisitoria su considerazioni perlomeno curiose. Come quelle che ho letto su un articolo di Zizzola secondo cui i «bagni di folla» del Papa sono una sorta di sua intrinseca necessità fisiologica. Da latinoamericano sono rimasto meravigliato che si cercasse di interpretare un fatto storico nuovo come il rapporto del Papa con il popolo, ricorrendo ad un argomento extrastorico come questo della misteriosa fisiologia papale. Nella foga che hanno alcuni di attaccarlo mi pare che non ci si accorga di cadere nella irrazionalità.

A.M: Per essere esatti mi pare che una delle argomentazioni centrali dell’articolo che è stato citato dal professor Methol Ferré è che quello di Giovanni Paolo II non è un ponticato universale. E ciò sia per le sue origini polacche, che conserverebbe in forma limitativa della missione papale, sia per il tipo di azione che svolge, ad esempio sul piano internazionale. Sarebbe insomma un ponticato che «divide», di parte.

Methol Ferré: Cosa significa «di parte», o «di tutti»? Gesù Cristo scelse Israele tra tutti i popoli dell’epoca e, all’interno di Israele, chiamò dodici a seguirlo, cioè una infinitesima parte. Chi lancia l’accusa di «parzialità» muove da una concezione astratta di universalità; mentre l’universalità è sempre concreta, perché l’universale vive realmente solo nel particolare e ci sono momenti in cui determinate particolarità si caricano di universalità e diventano significative per il resto delle particolarità. Questo è il solo modo in cui l’universale si incarna nella storia. L’universale astratto esiste solamente nella mente degli intellettuali sradicati, non in quella dei «veri colti», come diceva Giussani, che sono sempre immanenti alla vita del popolo.

A.M: Ma in che senso è «universale››, come voi dite, questo pontificato?

Giussani: Innanzi tutto perché la sua unica preoccupazione è quella di annunciare e delucidare l’avvenimento di Cristo e del suo Corpo misterioso nel mondo che è la Chiesa. O popolo di Dio, che ha una sua consistenza autentica ed esauriente, tant’è vero che anche Paolo VI chiamava il popolo cristiano una realtà etnica sui generis. In secondo luogo, perché proprio come l’evento cristiano in quanto tale (cioè Gesù Cristo e la Sua Chiesa), l’annuncio si rivolge al cuore dell’uomo, che è uguale in tutti i tempi e in tutto il mondo, tant’è vero che la parola del Papa ottiene l’immediato consenso dei popoli di ogni latitudine. Dovunque è andato, il popolo gli ha risposto.

A.M: Qual è, secondo voi, il vero obbiettivo degli attacchi al Papa?

Methol Ferré: Nell’epoca anteriore a Pio XII, o prima ancora, sia provenienti dagli ambienti secolaristi di segno liberale che da quelli marxisti, gli attacchi erano rivolti per lo più alla Chiesa nel suo complesso. Mi sembra che oggi, invece, la situazione attuale di quest’ultima favorisca il fatto che gli attacchi si concentrino non sulla Chiesa in quanto tale, ma sul suo centro, su ciò che unifica il corpo cattolico nel suo insieme. Chi attacca il Papa sa o spera di poter contare sul silenzio o sulla confusione anche di taluni nella Chiesa.

Giussani: L’attacco al Papa c’è in quanto è l’attore, l’esponente della riscossa dell’identità della Chiesa contro le immagini stabilite alla luce delle correnti di pensiero dominante.

A.M: Avete detto che il Concilio ha assunto anche la verità degli errori. Qual è la verità del marxismo?

Methol Ferré: Nessun errore vive un solo secondo se non per la verità che porta con sé. La verità del marxismo è lo sforzo di assumere il lavoro umano come misura dell’’economia e dare un senso alla rivendicazione della dignità umana che la classe operaia, oppressa nel sistema capitalista, esige. Succede però che, simultaneamente, il marxismo, che si sostiene in rapporto alla rivendicazione etica del movimento operaio, nella sua interpretazione si converte in un machiavellismo del proletariato che distrugge le basi etiche che danno significato alle rivendicazioni dello stesso socialismo. Paradossalmente, il marxismo è stato il più grosso parassita della verità della rivendicazione socialista. Non a caso sfocia infatti nel socialismo che si autodefinisce «scientifico››, negando la base etica della propria rivendicazione per convertirla nel risultato del gioco di forze strutturali. Finisce cioè in un machiavellismo storico contrario alla rivendicazione del senso del lavoro umano e della dignità dell’uomo. Il marxismo termina per divorare ciò che lo pone in movimento; per questo finisce trasformando i rivoluzionari in poliziotti. Ovunque.

A.M: La verità del marxismo è stata assunta nell’esperienza storica dei cristiani?

Methol Ferré: Solidarnošc è per me la prima assunzione reale della verità del socialismo e quindi la prima confutazione radicale del machiavellismo del marxismo. È la prima crisi essenziale del sistema sovietico, che non è rifiutato né da intellettuali, né da terroristi, ma dalla classe operaia stessa. L’altro aspetto essenziale che vorrei sottolineare è che siamo di fronte alla prima rivoluzione operaia legata intimamente alla Chiesa cattolica. La classe operaia si sente spiritualmente sostenuta dalla fede cristiana. Cosa impensabile dai tempi della Comune di Parigi: nessun grande avvenimento operaio era stato cosi intimamente legato alla consapevolezza ed alla presenza della Chiesa. Non è una presenza di sacerdoti, che fortunatamente non si sono messi direttamente nel mezzo di Solidarnošc, bensì lo hanno sostenuto spiritualmente. «Il calzolaio non vada oltre la scarpa». La Chiesa polacca è una Chiesa di buoni calzolai, perciò accadono questi fatti. Credo che gli avvenimenti polacchi segnino una nuova epoca nella storia del movimento mondiale dei lavoratori, ed esigano una reimpostazione di tutti gli schemi esistenti sino ad oggi, che dipendono dall’assenza della presenza cristiana nel mondo del lavoro. E ciò rompe tutti quegli schemi, anche cattolici, che si fondavano sul fatto – ritenuto definitivo – del divorzio della Chiesa dal mondo del lavoro.

A.M: Ripropongo la domanda anche a don Giussani. Qual è la verità del marxismo, magari per come è stato impugnato da tanti giovani in Europa? Ed il Papa ha assunto questa verità?

Giussani: Credo che la verità del marxismo sia la verità del socialismo originale. Questo Papa si fa leader della lotta per la liberazione dell’uomo che lavora, perciò di una rivoluzione etica che tende a liberare quest’uomo dall’essere considerato un ingranaggio di un sistema produttivo. Vorrei aggiungere che la rivoluzione dei giovani nel ’68 è stata proprio in questo senso: una affermazione, ancora romantica, della necessità di liberare l’uomo nelle sue esigenze espressive. Perciò la cultura dominante, non assumendo queste esigenze profonde, ha cercato di bloccare e di riassorbire nei propri schemi questa rivoluzione. E infatti l’ha fatta finire. Non l’ha fatta finire il cristianesimo!

A.M: In che senso il cristianesimo non l’ha fatta finire?

Giussani: Perché non si è mosso. E chi si è mosso ha aderito alla forma stessa della rivoluzione del ’68. Smarrendo tra l’altro la propria identità cristiana e la propria fede originale. E solo con Giovanni Paolo II che l’insorgenza del ’68 è stata recuperata nelle sue domande autentiche e disarmata nelle sue modalità violente. Il ’68 congiunse le esigenze originarie giuste (di liberazione dell’espressività dell’uomo), con dei metodi che ha assunto dalla cultura dominante. Mentre con Giovanni Paolo II le esigenze fondamentali sono state recuperate, ma sono state rese inutili le modalità del ’68 perché il Papa le ha riproposte dentro l’ordine di un’etica, di un’antropologia e di una storia sistematicamente liberatorie. Tant’è vero che a Milano ha detto che il ’68 è finito…

Methol Ferré: …perché è stato assunto e superato.

A.M: Cos’è, per voi, la liberta religiosa?

Methol Ferré: È innanzitutto una libertà che è generatrice di libertà. La costituzione stessa dell’umanità è a partire dalla liberta. La libertà religiosa è riconoscere il fatto che l’uomo può incontrare Dio solo umanamente, perche è umano in quanto è libero.

Giussani: Anzi, nell’espressione «libertà religiosa» c’è una parola di troppo, perché la libertà è sempre religiosa. Essendo la capacità di rapporto che l’uomo ha col proprio destino, essa è religiosa oppure non è libertà.

Methol Ferré: È impossibile concepire una relazione d’amore che non sia libera. Il Concilio ha sviluppato e ribadito con vigore questo punto.

A.M: E che necessità c’era di affermare, nel Concilio, un concetto così fondamentale?

Methol Ferré: Occorreva che la Chiesa assumesse fino in fondo un elemento fondamentale dell’illuminismo e che l’illuminismo è incapace di fondare.

Giussani: Sempre l’illuminismo è stato incapace di rispettare il principio che affermava.

Methol Ferré: Sì. Però, per un momento, ha supposto di poterlo fondare. Invece oggi non ci crede più. I figli dell’illuminismo sono nichilisti, pragmatici.

Giussani: Io credo che la necessità di riaffermare la libertà religiosa nella Chiesa sia anche del tutto originale, poiché l’alternativa, per la vita dell’uomo in quanto socievole, è l’affermazione della responsabilità verso un trascendente, oppure è la responsabilità verso lo stato. Non c’è n’è un’altra. E tutta la società moderna ha teorizzato lo stato come sorgente del senso dell’uomo, e quindi dei diritti dell’uomo. La libertà religiosa, nell’affermazione del Concilio, è perciò un annuncio originale, anche se prende spunto dal vocabolario dell’Illuminismo.

A.M: In America latina è impedita una libertà religiosa?

Methol Ferré: In molti paesi è gravemente limitata. A Cuba, per esempio. Ma è limitata anche nei regimi di Seguridad Nacional, che hanno perseguitato ecclesiastici solo per aver affermato i diritti elementari dell’uomo. Ma vorrei dire che la libertà religiosa, sotto mille forme, è minacciata continuamente.

A.M: Ed in Europa?

Giussani: Per la struttura stessa dello stato moderno, la libertà religiosa è tendenzialmente combattuta. Essa è permessa nella misura in cui rientra nelle categorie della cultura dominante. Laddove non vi rientra, non è permessa.

A.M: Don Giussani, non ci ha dato la sua definizione di libertà religiosa…

Giussani: La libertà religiosa è il diritto che la coscienza dell’uomo ha ad identificare e a creare la strada del proprio destino secondo una ricerca lealmente condotta alla luce delle esigenze originali del cuore dell’uomo. La coscienza dell’uomo è eminentemente interpretazione del segno della realtà. Perciò – a meno che Dio entri nella storia comunicando il suo volto e tracciando Lui la strada – volto, parola e strada del destino sono un’immagine creata dall’interpretazione della coscienza dell’uomo. E questo è il supremo diritto che la coscienza dell’uomo ha.

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