IL POTERE IN DOTE. Dinastie familiari dell’America Latina e ricerca della perpetuità politica

Coppie con potere: Daniel Ortega e Rosaria Murillo, Cristina e Nestor Kirchner, José Mujica e Lucia Topolanski, Ollanta Humala e la moglie Nandine
Coppie con potere: Daniel Ortega e Rosaria Murillo, Cristina e Nestor Kirchner, José Mujica e Lucia Topolanski, Ollanta Humala e la moglie Nandine

Il potere logora chi non ce l’ha. Viene da pensare che anche in America Latina conoscano bene il vecchio adagio andreottiano: dal presidente argentino Peron e la sua celebre moglie Evita ai fratelli Castro a Cuba, la storia del continente è piena di dinastie che si sono succedute nel potere e che continuano a farlo. E sempre con un argomento nobile alla base della perseverante aspirazione: non lo fanno per loro, lo fanno per il loro popolo.

L’esempio più recente arriva dall’Equador. Proprio in questi giorni si sta dibattendo una modifica costituzionale che permetta l’elezione senza limiti di mandato per tutte le cariche elettive, tra cui – neppure a dirlo – quella del Presidente. Promotore della modifica? Lui, l’attuale presidente Correa, tra l’altro già al terzo mandato. Uno scaltro escamotage per conservare lo scranno? No, per niente. Correa ha ammonito che il suo paese è atteso da “tempi duri” perché è in corso una “Rivoluzione conservatrice” che rischia di minacciare i successi conseguiti dalla sua amministrazione. Necessità storica, dovere, responsabilità verso il popolo, sacrificio: “mi trovo costretto a rivedere la sincera decisione di non candidarmi, perché ho la responsabilità di garantire che questo processo sia irreversibile”, sono state le sue parole.

Correa non è nuovo a questo genere di ripensamenti. Già nel 2009 lamentava di essere “esausto”, salvo poi ricandidarsi nel 2012, garantendo che sarebbe stata l’ultima volta.

La decisione spetta ora alla Corte Costituzionale, la quale dovrà stabilire con quali modalità modificare la Carta: se mediante un voto del Parlamento (dove Correa dispone di 100 seggi su 130) oppure tramite ad un referendum popolare.

Più spesso, invece, il potere è un affare di coppia.

In Argentina, Cristina Fernandez de Kirchner ha preso nel 2007 il posto di suo marito Nestor, in un classico esempio di successione matrimoniale. E forse solo la prematura morte di lui ha impedito una nuova staffetta.

In Nicaragua, dove la dinastia dei Somoza ha governato dal 1934 al 1979, l’attuale presidente Daniel Ortega, da 12 anni al potere, condivide quotidianamente con la moglie Rosaria Murillo gli argomenti più importanti della Nazione.

Sorte simile è toccata ai peruviani. Secondo tutti gli osservatori e l’opposizione, il presidente Humala sta conferendo alla moglie Nadine un ruolo sempre più rilevante in vari settori del suo governo.

Persino l’insospettabile presidente uruguayo José Mujica, noto per essere il Capo di Stato più povero del mondo, ha proposto come candidata vicepresidente la sua compagna di mille battaglie e di carcere durante la dittatura, nonché senatrice e moglie, Lucia Topolanski.

Mujica dovrebbe però fare attenzione, perché non sempre tali tentativi hanno buon esito. Gli elettori, infatti, hanno ancora l’ultima parola.

A Panama, per esempio, la pratica politica di mantenere il potere attraverso la successione coniugale non ha funzionato. Il presidente uscente Ricardo Martinelli, certo della vittoria del suo delfino, aveva imposto la moglie nel ticket presidenziale. Scelta che gli elettori hanno sonoramente bocciato nelle urne.

In Honduras, dopo il colpo di stato subito da Manuel Zelaya nel 2009, la moglie Xiomara Castro, scese nell’agone politico alla testa delle proteste che volevano il marito di nuovo al potere. Nel 2013 la sua nuova attività sfociò in una candidatura alla presidenza. Si presentava a tutti i comizi accompagnata dal marito, presentandolo come il suo miglior consigliere. Marito che peraltro riceveva molti più applausi di lei. La sconfitta fu inevitabile: probabilmente gli honduregni continuavano a preferire l’originale.

Infine, il caso più incredibile lo si è avuto in Guatemala. Qui, dopo dieci anni di matrimonio, la coppia presidenziale era addirittura giunta al divorzio. Ma non per dissidi familiari insanabili. Il motivo, molto più prosaico, era quello di riuscire ad aggirare il divieto costituzionale di candidare familiari del presidente in carica. Una soluzione che era nell’aria da tempo e che, indignata, la coppia aveva più volte bollato come “immorale”. Finché, al solito, il nobile desiderio di continuare le politiche sociali in atto aveva prevalso. A bloccare la staffetta ci ha pensato la Corte Costituzionale, per frode alla legge.

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